
Il giocatore
- Autore: Fëdor Michajlovič Dostoevskij
- Genere: Classici
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Feltrinelli
La produzione di Fëdor Dostoevskij è così ampia e variegata che è molto facile venire a conoscenza solo delle sue opere più famose, quelle che sono diventate parte dell’immaginario collettivo, come Delitto e castigo, I fratelli Karamazov e Le notti bianche. Ciò nonostante esistono testi altrettanto importanti e celebri da meritare di essere letti, tra cui I demoni, L’idiota e La mite. Il giocatore (Feltrinelli, 2012, traduzione di Serena Prina), che forse è tra i più noti tra quelli citati in precedenza, segue perfettamente lo stile dell’autore russo. Dettato a voce e scritto dalla futura moglie in poco meno di un mese, a causa di problemi nati dai suoi debiti di gioco, è diventato uno dei classici della letteratura ottocentesca per la sua capacità di raccontare l’ossessione dell’essere umano per l’azzardo, per la possibilità di vincere o di perdere tutto nell’arco di pochi minuti. E per mostrare questo modo di fare, mette in scena a Roulettenburg, una città tedesca inventata, il meglio, o il peggio, della nobiltà francese, russa e inglese.
Ero io stesso un giocatore: me ne resi conto in quello stesso istante. Mi tremavano le mani e le gambe, la testa mi girava.
I protagonisti del romanzo sono molti; lo stile unico di Dostoevskij di far incontrare tanti personaggi diversi in pochi luoghi per descrivere le loro interazioni sociali si ripropone pure questa volta. Anche se può sembrare un’opera corale, il punto di vista è uno solo, anzi, quello che il pubblico ha la possibilità di leggere sono le note scritte, quasi in contemporanea, da Aleksej Ivanovic, un precettore di un importante generale russo con un grave debito economico sulle spalle. I suoi occhi permettono di capire cosa succede, le sue opinioni sono il filtro che viene messo al libro per venire a conoscenza degli assurdi dialoghi, alcune volte anche integralmente in francese, tra le nobiltà europee.
Roulettenburg diventa un luogo di ritrovo dove le famiglie più ricche si incontrano per spendere soldi alla roulette. Il testo infatti si divide tra i capitoli dove il gioco d’azzardo è l’unico protagonista e i lunghi capitoli dialogati dove si confrontano i vari personaggi. Tutti i cambiamenti più importanti prendono luogo al Vauxhall, come se fosse il solo posto dove i protagonisti abbiano la possibilità di migliorare o peggiorare la loro condizione di partenza. Quello di cui parla Dostoevskij è il rapporto opprimente con un vizio che, nel libro, è rappresentato da ogni classe sociale. L’uomo senza soldi, il borghese, il nobile asfissiato dai debiti alla ricerca di una ripresa economica e il nobile ricchissimo di qualsiasi nazionalità si trovano allo stesso tavolo con gli altri. Tutti loro puntano una somma diversa, ma il fine è il medesimo: guadagnare il maggior numero di denaro possibile. Ovviamente ciò che li porta a scegliere quella soluzione è diversa per ognuno di loro; non partono tutti dalla stessa condizione iniziale, alcune volte non perdono neanche soldi propri, ma il risultato non cambia.
Non incolperò più i giovani di essere sventati, e anche quel disgraziato, quel vostro generale, adesso trovo difficile accusarlo. Comunque di soldi a lui non ne darò, come lui vorrebbe, perché a parer mio è del tutto rincitrullito, solo che io, vecchia scema, non sono più intelligente di lui. In verità. Iddio ti punisce anche nella vecchiaia, e ti fa scontare l’orgoglio.
Il giocatore di Fëdor Michajlovič Dostoevskij è uno dei romanzi più importanti della sua epoca. La storia editoriale dietro la stesura del libro è quasi interessante quanto l’opera stessa. La clausola contrattuale, nata dai suoi debiti di gioco, che lo costringeva a consegnare un testo all’editore in pochissimo tempo, pena perdita dei diritti di tutti le opere per i nove anni successivi, completa il significato intrinseco di ciò che è raccontato. Aleksej Ivanovic è solo una sfumatura del suo autore, che, a causa dei suoi vizi, promette al lettore di smettere di giocare un “domani” e mai “oggi”.

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