Le notti bianche
- Autore: Fëdor Michajlovič Dostoevskij
- Genere: Classici
- Categoria: Narrativa Straniera
Aprendo il romanzo Le notti bianche di Fedor Dostoevskij, le prime parole sulle quali si posano gli occhi sono parole delicate di Turgenev. Questo libro inizia infatti con una citazione bella e impalpabile di Turgenev e poi, di slancio, subito dopo, ci sono le quattro notti, brevi e bellissime, dei due protagonisti. Lui è un sognatore solitario, lei la bella Nasten’ ka, una fanciulla delicata e fragile. Siamo a Pietroburgo e il nostro sognatore (che non ha nome) gira solo per la città. Sono ormai otto anni che vive a Pietroburgo, ma non conosce nessuno. Percorre le stesse strade tutti i giorni, riconosce i visi delle persone e le case una ad una. Le ricorda tutte. Vive in completa solitudine, aiutato solo dalla sua immaginazione che riesce a portarlo ovunque. Una notte esce per i suoi soliti passi e nell’oscurità, scorge una ragazza affacciata alla ringhiera che piange. Lui giunge in suo aiuto porgendole il braccio, perché nota un uomo che sta per importunarla pesantemente. Lei accetta. Passeggiano nella notte e si raccontano. Lui trema, gli sembra un sogno, non è abituato ad “incontrare” qualcuno.
Si danno appuntamento per la notte seguente, ma lei pone i termini di un patto. Ci sarà solo se egli promette di non innamorarsi di lei. Il sognatore accetta. E cos’altro potrebbe fare? Gli sembra un sogno poter parlare con una donna.
Nella loro seconda notte, lei gli chiede consiglio. Da un anno, più o meno, si era innamorata di un inquilino di sua nonna. Ma lui era troppo povero e non poteva sposarla, così era partito per Mosca e le aveva promesso che sarebbe tornato. Ma ancora non lo aveva fatto.
Lui ascolta in silenzio e le consiglia di scrivergli una lettera.
Nella loro terza notte, lei aspetta l’amato dopo aver scritto la lettera, ma l’amato non arriva.
Il sognatore la guarda, la vorrebbe proteggere, soffre in silenzio perché non può parlarle del suo amore soffocato. Riuscirà a dichiararsi solo alla quarta notte e lei, in lacrime per il suo amato che non è più arrivato, gli chiede di trasferirsi a casa di sua nonna e di affittare una camera. Lui accetta entusiasta. Non gli sembra vero. Camminano e fantasticano su tutto quello che faranno insieme, fino a quando l’uomo amato da Nasten’ ka,arriva e lei gli corre incontro. Il sognatore rimane a guardarli con il cuore in frantumi.
“Le notti bianche” è un piccolo grande capolavoro di Dostoevskij . In assoluto uno dei suoi romanzi più belli. È un libro sulla solitudine, sulla necessità di comunicare, sulla voglia e il bisogno di amare, ma anche sulle proprie paure, sul timore di lasciare le proprie abitudini per quanto banali e odiose possano essere. È un libro sull’amore soffocato, ma anche sulla felicità impareggiabile donata da un incontro. Sulla gioia che può scaturire anche da una serie di parole regalate a noi stessi. Parole per noi soli e per nessun altro. È commovente e dolcissimo il camminare per Pietroburgo di questo sognatore. E a seguire i suoi passi si rischia di tremare... Si trema tanto, per la dolcezza.
Con “Il mattino“, l’ultima parte del libro, sono finite le sue notti colme di vita. Lui legge, nella luce del sole, una lettera di Nasten’ ka dove gli chiede perdono. La legge e la rilegge fino alle lacrime. Ma le ultime parole del libro sono colme di amore e di gratitudine, racchiudono in una domanda tutto il senso del romanzo e danno vita, forse, al finale più bello che abbia mai letto:
“Dio mio! Un minuto intero di beatitudine! È forse poco per colmare tutta la vita di un uomo?”
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Sul fondo di un romanzo che anticipa l’esistenzialismo novecentesco, in cui il protagonista si limita ad osservare la vita degli altri e ad immaginare la propria, si staglia una doppia repulsione, non solo quella del protagonista verso il mondo, ma anche quella di quest’ultimo verso il protagonista. Sotto un cielo, la cui espressività universale schiaccia la futilità e l’inezia di un mondo,tanto crudele, quanto vano, in un romanzo tutt’altro che casualmente scritto in prima persona, ambientato nella Russia zarista della metà dell’Ottocento, l’anonimo protagonista, come un sognatore dall’animo paradossalmente disilluso, non crede che valga la pena lottare e torturarsi per l’esistenza,così come gli altri esseri umani la concepiscono,abbandonandosi ad uno stato vegetativo,caratterizzato da un insano e complesso tumulto interiore. Tormentato dalla domanda riguardo cosa scateni la cattiveria umana,nonostante quello stesso cielo magico ed alchemico, che come un segnale divino avrebbe dovuto rassicurare e guidare l’umanità, il protagonista si rifugia in un mondo immaginario e a tratti visionario, attraverso il quale, come un pittore, dipinge e sbiadisce,a seconda dell’umore,le strade più isolate,gli angoli più remoti,le abitazioni più nascoste e i volti più reconditi di Pietroburgo, verso i quali si sente completamente estraneo. Trasforma così la sua vita in un monologo interiore,che per quanto possa risultare patetico,non è mai banale, al contrario è come avvolto da una complessità sconosciuta ai suoi simili. Come scisso dal mondo circostante,come irrimediabilmente separato dalla realtà,imprigionato in un mondo immaginario da lui stesso creato, dal quale non riesce e non vuole uscire,su di lui grava una solitudine minacciosa, capace di condurlo alla follia. Così, in preda al delirio, vaga senza una meta precisa per le strade della città,come in cerca di una sorta di scintilla che gli possa donare la comprensione di quel mondo così estraneo,che gli possa mostrare come fanno gli altri esseri umani ad abbandonarsi a quella tortura senza senso, fatta di sofferenza e dolore,di inganno e tradimento, che chiamavano vita. L’innamoramento simboleggia il suo tentativo di abbandonarsi a quel mondo reale,così distante e incomprensibile, quel mondo che non gli appartiene affatto,simboleggia il suo uscire fuori dal guscio di quell’immaginario fittizio, che funge al tempo stesso da armatura e da prigione, fino all’essere respinto da quell’amore il cui tradimento rappresenta il rifiuto di quella realtà in cui, finalmente travolto dalla passione, ha provato a credere. Come senza congedarsi la ragazza sparisce sotto la luce fioca e malinconica della luna, così scompare, senza preavviso, quel brivido vitale che lo ha attraversato durante quelle magiche quattro notti e che,fino ad ora,non era mai riuscito a comprendere. Così arriva a considerare la sua diversità e la sua sensibilità come delle colpe che inevitabilmente si tramutano in una condanna, in una maledizione che pesa irrimediabilmente e tragicamente sulla sua anima così fragile.
Non c’è modo per l’uomo di sottrarsi all’amore.
Non c’è modo di allontanare una simile forza dal cuore.
Non si controlla, è un mostro spietato, ci avvolge tutti e , bramoso della nostra anima, ci trascina verso i sentieri dell’eternità.
Nettare e ambrosia sono per lui i sogni, i sorrisi le angosce e le illusioni.
Non esiste umana cosa che da lui non dipenda.
Fëdor Dostoevskij lo aveva ben intuito e altrettanto meravigliosamente ce lo ha raccontato.
Queste pagine sono luminose e maestre di vita.
Queste pagine sono medicina del cuore.
Queste pagine sono speranza e condivisione
per chi troppo spesso si scontra a denti stretti con il dolore.
La loro lettura non è altro che "Un intero attimo di beatitudine!"
È forse poco per l’intera vita di un uomo?