

Il fu Mattia Pascal
- Autore: Luigi Pirandello
- Genere: Classici
Accingendomi a scrivere la recensione de “Il fu Mattia Pascal”, mi chiedo se effettivamente questo libro ne abbia bisogno. Il romanzo più celebre ed importante della produzione pirandelliana, molto spesso inserito nei programmi scolastici come oggetto di studio o anche solo come “lettura consigliata”, in realtà non dovrebbe avere segreti per la maggior parte dei lettori. Ma forse proprio questo suo essere così famoso e nominato potrebbe averlo reso un tantino “scontato”, con la conseguenza che molti lettori potrebbero avere di esso solamente un vago ricordo, o averlo addirittura saltato a pie’ pari per dedicarsi a libri meno conosciuti e che per questo appaiono più interessanti e quindi una rilettura o magari una prima lettura potrebbero risultare stimolanti e perfino sorprendenti.
Il lettore verrà certamente intrigato dalla trama, storia di un uomo, o forse di un ragazzo diventato uomo troppo in fretta, che non riesce a trovare nella vita e nella società un suo posto definito. Un caso fortuito, inaspettato, sembrerà offrirgli su di un piatto d’argento il modo di risolvere definitivamente i propri problemi, ma ben presto dovrà accorgersi che la soluzione scelta è diventata impraticabile e, peggio ancora, dai risvolti irreversibili.
Trama
Mattia Pascal, orfano di padre, è un ragazzo senza arte né parte. Innamorato della dolce Oliva, viene respinto dalla ragazza, che sposa il vecchio amministratore Batta Malagna. Ma non arrivano figli. Malagna, infuriato, colpevolizza Oliva, Mattia si offre di aiutarla a generare un figlio per ingannare il marito ovviamente sterile, ma Oliva, troppo onesta, rifiuta.
Per aiutare l’amico Pomino, innamorato della bella Romilda ma troppo timido, Mattia riesce ad introdursi fra le frequentazioni della ragazza e della terribile madre Marianna Dondi, vedova Pescatore. Ma il destino è in agguato: Mattia si innamora di Romilda e, quando lei gli si offre, la mette incinta, salvo scoprire poi che lo scopo della ragazza e della madre è quello di far ripudiare Oliva al Malagna e fargli riconoscere il figlio in arrivo come suo. Davanti all’inganno e alla disperazione di Oliva, Mattia riesce infine a convincerla ad ingannare a sua volta il marito. Con Oliva incinta “di un figlio legittimo”, adesso il Malagna pretende che Mattia sposi Romilda per riparare. Mattia in un primo tempo rifiuta sdegnosamente.
Fin qui, la trama è la stessa di “Liolà”, ma Mattia non è lo spensierato e spavaldo eroe della commedia. Cedendo alle pressioni della società e soprattutto dell’amata madre, Mattia sposa Romilda e va a vivere con lei e la suocera. Inizia così una vita d’inferno, con una moglie che forse non l’ha mai amato e una suocera che non gli perdona di aver mandato a monte il loro piano.
Ma un giorno, più per caso che per altro, Mattia decide di sparire per qualche giorno e, capitato in un casinò, vince una somma molto consistente. Mentre si accinge a tornare in famiglia da trionfatore, per caso viene a sapere che, in sua assenza, un cadavere sfigurato è stato ritrovato al suo paese e che la suocera e la moglie sono state ben contente di riconoscerlo come lui. L’occasione è propizia per sparire sul serio: cambiato nome in Adriano Meis, Mattia va a cercare fortuna in un’altra città.
Ma un personaggio fittizio non ha diritti e Mattia se ne accorge subito, quando si trova nell’impossibilità anche di comprarsi un cagnolino perché implicherebbe il doversi registrare e pagare una tassa. Ciò nonostante prende alloggio da un affittacamere e trascorre un lungo periodo a contatto con personaggi loschi o semplicemente strani, finché s’innamora della timida e dolce Adriana. E alla fine proprio l’amore per lei gli farà capire quanto sia assurdo il suo stato di fantasma di se stesso, che non gli permetterà mai di offrire niente alla donna che ama. Non reggendo più la situazione, Mattia simula il suicidio di Adriano Meis e ritorna al suo paese.
Tornato, si rende però conto che rientrare nella sua vita precedente, per quanto possibile dal punto di vista puramente tecnico e legale, causerebbe troppo dolore a due persone che gli sono state care e a una creatura innocente. La sua scelta finale sarà quindi diventare il fantasma del fantasma di se stesso, scelta a quel punto praticamente obbligata. Avendo sempre cercato di vivere vite che non gli appartenevano (in fondo anche diventare padre di figli non riconosciuti come suoi è stato un tentativo più o meno conscio di vivere una vita non propria), rimarrà in pratica senza identità, pur prendendo la storia con filosofia.
In effetti, il personaggio di Mattia Pascal, sebbene più debole e conformista di Liolà, ha in comune con lui un certo modo leggero di prendere la vita, di chi non si preoccupa né si arrabbia mai fino in fondo e sembra a tratti quasi osservare dall’esterno quello che gli succede. Anche il dolore, la rabbia, l’amore vengono pennellati a tratti tenui, appena appena accennati dall’autore, che preferisce focalizzarsi su riflessioni puramente filosofiche, quali ad esempio la teoria del “lanternino”, parte centrale del libro e forse suo elemento più importante. Le emozioni provate da Mattia hanno accenti commossi ed accorati, mai sanguigni. Per contrasto, sono invece molto marcati i caratteri della maggior parte dei personaggi che lo circondano: il nevrotico Pomino, la fiera Oliva, la terribile Pescatore, l’isterica Romilda, tanto che l’incontro con la persona quasi evanescente di Adriana sembra creare una situazione ideale, un incontro di anime.
Non spaventi il nome di Luigi Pirandello, troppo spesso associato ad un tipo di scrittura “seria” e “pesante”: la lettura è scorrevole ed estremamente piacevole e le varie ed intricate vicende di Mattia Pascal interesseranno certamente i lettori. “Il fu Mattia Pascal” è un romanzo appassionante e piacevole, che però porterà a riflettere e costituirà sicuramente un arricchimento, valendo certamente la pena di scoprirlo o riscoprirlo.

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Una perdita di tempo assurda... tempo che l’insegnante poteva utilizzare per insegnarmi a scrivere in italiano.
Lo stupido romanzo è stato pubblicato al tempo su una rivista. Praticamente è come "Il segreto" ma per i tempi dei poveri.
E’ come se vi costringessero a vedere tempesta d’amore, sappiate che è quello, ma più difficile perchè è scritto in una lingua con delle lettere in più rispetto all’italiano.
Io volevo programmare, invece mi tocca leggere sta *******
Perdonate l’italiano, ma noi a scuola facciamo altro...
Viaggia per l’Italia e per l’Europa Mattia Pascal che ha già assunto il nome di Adriano Meis; infine si stabilisce a Roma presso la famiglia Paleari-Papiano, dove si innamora della timida, quasi evanescente Adriana, cui aspira il cognato: vedovo e prepotente, Terenzio Papiano. Neanche a farlo apposta si chiama come lui:
“Apparve tutta confusa una signorinetta piccola, piccola, bionda, pallida, dagli occhi ceruli, dolci e mesti come tutto il volto”.
Innamoramento ideale il suo, per necessità di cose, e vissuto nella compenetrazione di anime senza ogni minimo contatto materiale. Il padre di lei, Anselmo Paleari, che ha interessi teosofici e coltiva esperimenti spiritici, lo intrattiene con riflessioni argute sull’anima e gli espone la sua convinzione sul sentimento della vita, paragonabile a un lanternino acceso nell’uomo:
“Un lanternino che ci fa vedere sperduti su la terra, e ci fa vedere il male e il bene; un lanternino che projetta tutt’intorno a noi un cerchio più o meno ampio di luce, di là dal quale è l’ombra nera, l’ombra paurosa che non esisterebbe, se il lanternino non fosse acceso in noi, ma che noi dobbiamo pur troppo creder vera, fintanto ch’esso si mantiene vivo in noi. Spento alla fine a un soffio, ci accoglierà la notte perpetua dopo il giorno fumoso della nostra illusione, o non rimarremo noi piuttosto alla mercé dell’Essere, che avrà soltanto rotto le varie forme della nostra ragione?”.
Come a dire che si conosce poco della realtà, giacché un lanternino genera poca luce e quindi non permette una conoscenza approfondita di essa: il mondo così come appare è soltanto un punto di vista, un’illusione. Ogni epoca, infatti, proietta la luce dominante e specifiche virtù: ad esempio il lanternino di luce rossa fa cogliere la virtù pagana quale una pienezza di vita, invece quello di luce viola la virtù cristiana, ossia una mortificazione della vita terrena. Nell’epoca della modernità il lume ha finito il suo olio sacro, sono cioè cadute tutte le certezze della metafisica che sostenevano l’uomo a sopportare il fardello dell’esistenza. L’espressione “strappo nel cielo di carta” è appunto la metafora di questa crisi: il fatto che il cielo di carta sia bucato indica appunto il crollo dei valori tradizionali: debole è il lanternino che, privo di olio sacro, lascia al buio l’uomo senza più prospettive né fuori né dentro di lui, essendo ogni cosa in un divenire incessante e in comunione con l’universo:
“Noi, - non so se questo possa farle piacere – noi abbiamo sempre vissuto e sempre vivremo con l’universo; anche ora, in questa forma nostra partecipiamo a tutte le manifestazioni dell’universo, ma non lo sappiamo, non lo vediamo, perché purtroppo questo maledetto lumicino piagnucoloso ci fa vedere soltanto quel poco a cui esso arriva; e ce lo facesse vedere almeno com’esso è in realtà”.
Pirandello : il genio del Novecento italiano.