

Stefan Zweig. La fine di un mondo
- Autore: Raoul Precht
- Genere: Storie vere
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2025
Il nuovo libro di Raoul Precht, saggista, traduttore e grande narratore, è interamente dedicato a Stefan Zweig, lo scrittore viennese di origine ebraica, nato nel 1881: autore notissimo, amato da molte generazioni di lettori, cosmopolita, poliglotta, vissuto in quel periodo della storia europea che coincise con la Belle Epoque, finita nella macelleria della Prima Guerra Mondiale e poi, dopo la parentesi della Repubblica di Weimar, con l’ascesa del nazionalsocialismo di Hitler, tragicamente sottovalutato al suo primo affermarsi in Germania, ma poi, dopo l’invasione e annessione dell’Austria, rivelatosi per quello che saprà fare in Europa. Il libro di Precht, intitolato Stefan Zweig. La fine di un mondo (Ares, 2025), è una vera miniera, un insieme di notizie, di aneddoti, di documenti, di testimonianze che nel corso del tempo lo studioso ha messo insieme in un volume snello, meno di duecento pagine, dense però della ricostruzione precisa, dettagliata, di un mondo di cui Zweig fece parte, insieme a tanti altri intellettuali, noti e notissimi, che disegnarono un ritratto dell’Europa colta sull’abisso della sua fine imminente.
Il ritratto dello scrittore, drammaturgo e poeta è a tutto tondo, mentre contemporaneamente viene raccontata la sua vita privata, i suoi studi, i suoi interessi culturali, i viaggi, gli spostamenti a Londra, a New York, in Brasile, il matrimonio con la ricca Friderike, madre di due figlie, con cui lo scrittore avrà sempre un cattivo rapporto, le amicizie, il crescere della sua fama di autore capace di vendere molte migliaia di copie dei suoi libri. Raoul Precht, nei nove capitoli in cui il libro si articola, ripercorre l’intera storia di questo intellettuale importante, amante dell’Europa e della lingua tedesca, narratore di storie ambientate nel mondo borghese che lo scrittore conosceva molto bene, poco interessato alla politica, studioso attento della storia a cui dedicò molta parte della sua produzione, generoso con gli amici artisti in difficoltà dopo l’avvento del nazismo; le Leggi di Norimberga avevano delimitato con chiarezza il ruolo degli ebrei, privandoli di molti diritti e soprattutto della possibilità di pubblicare in Germania le loro opere, ma stranamente Stefan Zweig non si sentiva davvero ebreo e mantenne sempre un atteggiamento appartato, rifiutando di aderire ad appelli e denunce contro un regime che bruciava i libri. I suoi amici, Joseph Roth, Thomas e Klaus Mann, pur se da diverse posizioni, lo accusarono di lontananza, quasi tradimento per il suo dichiarato astensionismo da ogni militanza politica. Preferiva parlare attraverso le sue opere letterarie.
Precht le esamina con attenzione e analizza diffusamente i diversi generi letterari con cui lo scrittore austriaco ebbe a cimentarsi; già mentre studiava letteratura all’Università scriveva poesie di un certo rilievo, che lo fecero conoscere nell’ambiente intellettuale; scelse poi di dedicarsi al teatro; siamo nel 1907 quando esordisce con il dramma Tersite, per poi proseguire con un certo successo, anche come librettista per il musicista Richard Strauss, che collabora con lui dopo che il grande Hugo von Hofmannsthal era morto. Ma il grande successo di Zweig si deve al racconto breve, alla novella, che insieme alla biografia furono il successo duraturo che la sua opera conserva fino ai nostri giorni. Le sue novelle furono trasformate in film famosi, pubblicate fino a oggi da editori significativi. Una fra le tante, Ventiquattr’ore nella vita di una donna, ambientata a Montecarlo e pubblicata nel 1926, ebbe nuova vita in una edizione illustrata per l’editore Donzelli nel 2013; Lettera di una sconosciuta, del 1922, è tuttora reperibile dal 2009 presso l’edizione Adelphi. Novelle, in realtà quasi romanzi brevi, che sono capaci di mostrarci con quanta profondità psicologica, con quale valenza simbolica, con quanta eleganza formale Stefan Zweig si sia misurato nella stesura dei suoi testi.
Precht descrive a lungo anche la genesi delle sue biografie, dedicate alle sfortunate regine, entrambe decapitate, Maria Antonietta e Maria Stuarda; la più significativa forse quella dedicata all’antieroe Fouché, del 1929, ministro di polizia di Napoleone, “capace di raggiungere i suoi scopi solo grazie a una totale amoralità”. Probabilmente però, ci spiega Raoul Precht, il motivo per cui ancor oggi è amatissimo questo autore, morto suicida in Brasile insieme alla seconda moglie Lotte, giovanissima, si deve anche e non solo alla letteratura: dopo l’ascesa del nazismo egli manifestò idee pacifiste ed europeiste, una forma di atteggiamento profetico nel quale è possibile riconoscerci oggi, in tempi così difficili.
Se in Europa non riconoscessimo più alcuna opposizione o superiorità fra di noi, se non sottolineassimo con ostilità le differenze, se ammirassimo spontaneamente le superiorità individuali di una nazione rispetto all’altra, ci eleveremmo verso quella forza morale che è sempre stata decisiva nella storia di tutti i tempi.
Tutto il lavoro culturale di Zweig ha cercato nella sua lingua, il tedesco, la sua realizzazione artistica. La violenza che il nazismo ha usato, trasformando la lingua europea di Goethe e di Holderlin in un brutale urlo osceno, basti pensare alla parola Endlosung (“soluzione finale”), è una delle ragioni, non la sola, che spinse l’autoesiliato Zweig a organizzare con precisione la sua morte e quella della sua Lotte: un tubetto di veronal, dopo aver riordinato la scrivania, il suo luogo di lavoro intellettuale durato una vita intera.
L’apparato iconografico sui luoghi della vita di Zweig, note approfondite, una ricca bibliografia completano il volume, che ha in copertina la foto ironica, elegante e sorridente del protagonista di questa storia europea ricchissima di suggestioni, capace di parlare ai lettori di oggi per la sua profonda sincerità, talvolta anche con la mancanza di coraggio, ma dotato di una penna di narratore assolutamente straordinaria.

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