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Recensioni di libri

Il mare colore del vino di Leonardo Sciascia

Adelphi, 2011 - Una raccolta di racconti del grande scrittore siciliano, una serie di storie che cercano di far conoscere la Sicilia senza stereotipi.

Patrizia Falsini
Patrizia Falsini Pubblicato il 29-10-2018

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Il mare colore del vino

Il mare colore del vino

  • Autore: Leonardo Sciascia
  • Genere: Raccolte di racconti
  • Categoria: Narrativa Italiana
  • Casa editrice: Adelphi
  • Anno di pubblicazione: 2011

"Il mare colore del vino" è un’opera a lungo meditata da Leonardo Sciascia nei suoi viaggi, composta di racconti più o meno brevi che danno l’idea del viaggio.
Il titolo della raccolta non è dettato da una reminiscenza classica, ma dalla considerazione di un giovane durante un viaggio in Sicilia.
Tutti i racconti danno un’idea della società del tempo come "Il lungo viaggio", storia di migranti illusi, ma anche altre come "Filologia" in cui dei giudici cercano di capire il pericolo mafioso partendo dall’analisi della parola oppure "Gioco di società", nel quale una signora cerca di ottenere la morte del marito convincendo l’interlocutore che sia tutto un gioco.
È la prova che la violenza ormai ha permeato tutta la società e non deve usarla nessuno.

C’è anche l’intermezzo comico del giovane idiota "Giunfà" oppure la novella in cui l’emigrante espone le sue ragioni in modo anche violento.
In tutte le novelle c’è la Sicilia, terra a volte crudele ma pur sempre bellissima.
Sciascia vuole farla conoscere per combattere gli stereotipi fasulli che l’hanno caricaturizzata. Anche per questo motivo "Il mare colore del vino" è una lettura indispensabile.

Il mare colore del vino

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© Riproduzione riservata SoloLibri.net

Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Il mare colore del vino

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Commenti: 1

  • Federico Guastella
    9 marzo 2020, 21:35

    Il mare colore del vino, libro edito da Einaudi nel 1973, è la seconda raccolta di racconti pubblicata da Sciascia, in cui l’autore esprime disincanto e scetticismo, attivando il potere di riflessione del lettore. La “Nota” posta alla fine del volume fornisce alcune notizie:

    “Questi racconti sono stati scritti – con altri, pochi, che non mi è parso valesse la pena di raccogliere e riproporre – tra il 1959 e il 1972. Ho cercato di metterli nell’ordine in cui sono stati scritti (non, forse, nell’ordine in cui sono stati pubblicati sui giornali, riviste e antologie): e credo che il lettore potrà verificare la giustezza dell’ordine cronologico mettendoli in corrispondenza dei libri che nello stesso arco di tempo ho pubblicato. Qualcuno è internamente datato: “La rimozione”, per esempio, scritto quando fu rimossa la salma di Stalin dal mausoleo (o quando se ne ebbe notizia); e “Filologia”, scritto – profezia piuttosto facile – al costituirsi della commissione antimafia”. Sulle motivazioni della stampa, precisa che in libreria erano stati molto richiesti i racconti da cui erano stati tratti un film (“Un caso di coscienza”) e due telefilm (“Gioco di società” e “Un lungo viaggio”). Sciascia non può non pubblicarli per gli ottimi rapporti con i suoi lettori e anche perché vi si trova, a suo dire, una specie di sommario della sua attività. “Tra il primo e l’ultimo”, conclude, “si stabilisce come una circolarità: una circolarità che non è quella del cane che si morde la coda”.

    Tredici i racconti della raccolta che si aprono a ventaglio. E già alcuni di essi erano stati sapientemente illustrati in opere precedenti. E ve ne sono alcuni che si distinguono per i nuovi argomenti come ad esempio il personaggio di Giufà, a cui Sciascia si accosta manifestando una particolare sensibilità rispetto agli apporti del folklore. A volo di uccello si potrebbe dire che questi suoi racconti spaziano dalla tradizione popolare arabo-sicula (“Giufà”) alle faide tra famiglie mafiose (“Western di cose nostre”), dall’etimologia della parola “mafia” (“Filologia”, composto in occasione dell’istituzione della commissione nazionale antimafia) alla passione investigativa (“Un caso di coscienza”), dal problema dell’emigrazione (“Il lungo viaggio”) alla rivalità tra i paesi (“Reversibilità”, il primo che apre la raccolta), dal genere poliziesco (“Gioco di società”) al volto autoritario del potere (“Apocrifi sul caso Crowley”) a una tragica storia nell’ultima storia “Eufrosina”. In “Rimozione”, che evoca “La morte di Stalin” nella raccolta “Gli zii di Sicilia”, si parla della delusione provocata dal “declassamento” di Santa Filomena, voluto dalla chiesa cattolica, posto in relazione allo stupore di un militante comunista per la “rimozione” della salma di Stalin dal mausoleo. E’ il racconto che intitola la raccolta, “Il mare colore del vino”, ad essere il più felice sul piano stilistico-letterario. Vale la pena di tentarne una sintesi a volo d’uccello. La strategia narrativa, che per certi aspetti fa pensare al viaggio in treno di Mattia Pascal, è quella di una lunga conversazione tra viaggiatori che condividono lo stesso scompartimento da Roma fino alla Sicilia. Anche nel romanzo di Vittorini, Conversazione in Sicilia (1941), il protagonista compie compie un viaggio in treno per raggiungere la propria terra natale. Diversa qui la provenienza geografica. L’ingegnere Bianchi, trentacinquenne ad occhio e croce di Vicenza, che per lavoro ha girato mezzo mondo, si reca a Gela per svolgere il suo lavoro nello stabilimento petrolifero dell’Anic. Cos’è un viaggio egli si chiede durante il tragitto? “Il fatto è’ pensava l’ingegnere “che un viaggio è come una rappresentazione dell’esistenza, per sintesi, per contrazione di spazio e tempo; un po’ come il teatro, insomma: e vi si ricreano intensamente, con un fondo di finzione inavvertito, tutti gli elementi, le ragioni e i rapporti della nostra vita.” Viaggia in compagnia di una famiglia composta dal professore Miccichè, dalla moglie Lucia, dai loro due bambini Lulù e Nenè. C’è anche una ragazza di una ventina d’anni aggregata a loro per parentela o per amicizia o per casuale coincidenza. Via via si apprenderà che era stata loro affidata dal fratello di lei per non viaggiare da sola. Si chiama Gerlanda. Avendo superato una grave malattia, indossa in piena estate un abito monacale nero profilato di bianco per un voto a San Calogero, protettore di Nisima, paese del gruppo familiare in provincia di Agrigento. Abbastanza loquaci gli adulti, terribilmente maleducati i bambini. Finissimo lo sguardo psicologico di Sciascia nell’evidenziarne il carattere dal vivo delle situazioni. Conflittuali i coniugi che si scambiano continui battibecchi, e oppositivo, irriverente riguardo all’autorità genitoriale soprattutto Nenè, un bambino di appena quattro anni, che coglie sempre l’occasione per manifestare un’irriverente astuzia, utilizzando le armi della minaccia e del ricatto. Il viaggio, lunghissimo e logorante, consente all’ingegnere di apprendere qualcosa che non sa della Sicilia e dei siciliani. Puntiamo per un attimo l’attenzione su Nenè. Oltre alla vivacità, il bimbo ha un’immaginazione poetica che egli esprime quando il treno attraversa la costa ionica di fronte a Taormina. Subito il professore prova una sorta di esaltazione:

    "Che mare! E dove c’è un mare così”". "Sembra vino" disse Nenè.

    La sua esclamazione che il mare ha il “colore del vino” inconsapevolmente è la riproduzione di un verso di Omero ed è a questo punto che si apre una conversazione sul rapporto tra l’arte e la realtà. “Il mare colore del vino: ma dove l’ho sentito?” Si chiedeva l’ingegnere.

    “Il mare non ha il colore del vino, ha ragione il professore. Forse nella prima aurora, o nel tramonto: ma non in quest’ora. Eppure, il bambino ha colto qualcosa di vero: forse l’effetto, come di vino, che un mare come questo produce. Non ubriaca: s’impadronisce dei pensieri, suscita antica saggezza”.

    Suggestivo questo suo monologo che coglie il valore della metafora, d’una metafora dal gusto espressionistico come in pittura i cavalli azzurri di Franz Marc: l’effetto di estasi che la vista del mare produce, uno stato contemplativo che fa superare barriere mentali, consentendo la riappropriazione di valore non omologabili. Nenè è il divino fanciullo incline alla poesia, grazie alla fertile immaginazione ancora non contaminata da un vivere consumistico. In conclusione, godibili questi racconti-apologo di Sciascia: vi si trova, oltre alla leggerezza della scrittura, il disincanto stemperato da una ironia a volte dolente, talora indignata sui sentimenti della commedia umana.

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