Amico di Leonardo Sciascia, Gesualdo Bufalino e Vincenzo Consolo, è morto all’età di 88 anni Giuseppe Leone (Ragusa, 24 dicembre 1936 – Ragusa, 17 aprile 2024), fotografo e fotoreporter che ha raccontato la Sicilia.
Reinventano la realtà le immagini di Giuseppe Leone in un armonioso rapporto di visioni e di sguardi introspettivi che evocano un tempo senza tempo.
Siamo tra gli anni Sessanta e Settanta quando andava di paese in paese per fissare i momenti più salienti della comunità coi suoi personaggi e usi e costumi. Con lui l’area degli Iblei si inserisce nel rapporto letteratura-fotografia, nella relazione fra testo e immagine. Oltre a destare maggiore interesse alla lettura, i due linguaggi danno insieme informazioni aggiuntive: “civiltà dell’immagine” e “civiltà della parola” aprono così nuovi orizzonti alla conoscenza. Il testo narrativo precede l’apparato iconografico, cioè il racconto per immagini: a volte le fotografie recano un titolo, altre volte lasciano al lettore la possibilità di darselo. Due modalità, dunque, di lettura del territorio: la scrittura e la fotografia incrementano anche un’emozionalità visionaria.
Aveva mostrato padronanza illustrando il volume di Mario Giorgianni – introdotto da Rosario Assunto - "La pietra vissuta" (Sellerio, 1978), dove gli amabili scatti custodiscono il patrimonio della cultura rurale che gravita nell’ambito della grande masseria e della piccola casa contadina, asse nevralgico dell’economia ragusana con i campi chiusi, visti dai Borboni come modello per l’agricoltura siciliana. Favorivano la rotazione agraria con il conseguente passaggio dalla produzione cerealicola alla leguminosa che notevolmente influì sullo sviluppo della zootecnia. “Paesaggio rurale barocco” quello dei muretti a secco che lo ricamano. La definizione di Mario Giorgianni illumina su un quadro sostanzialmente nuovo, dove l’architettura contadina è l’esito del protagonismo della campagna, affermatosi con la classe dei massari, piccoli proprietari e affittuari, da cui prese corpo la nobiltà minore. Vennero così uomini nuovi, tra cui commercianti, sensali, carrettieri, mentre nelle fiere si esprimevano speranze ed energie.
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L’occhio indagatore di Giuseppe Leone ha colto interni ed esterni e ha messo in evidenza il fascino di chiaroscuri animati da una energia che prontamente si trasferisce nel cuore e nella mente dell’osservatore-lettore. A guidarlo era stato l’etno-antropologo Antonino Uccello che, studioso di S. A. Guastella più volte citato nei suoi libri, aveva instancabilmente raccolto nelle campagne i reperti materiali della civiltà dei padri, custodendoli nella casa museo di Palazzolo Acreide, cittadina barocca del siracusano. Non a caso Leone aveva esordito illustrandogli il volume "La civiltà del legno in Sicilia" (1972).
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L’opera "La contea di Modica" (1983), che si apre con l’affabulante discorso di Sciascia sulla dinastia dei Chiaramonte e sui Cabrera, è impreziosita armoniosamente dalle 116 fotografie, in bianco e nero e a colori, del nostro espertissimo fotografo. Scattate dalla metà degli anni Cinquanta, riprendono aspetti suggestivi: la campagna cosparsa di carrubi, gli squarci cittadini, uomini e bambini dediti anche ai loro passatempi. Due immagini esprimono la memoria di Chiaramonte Gulfi nella quale si mescolano flussi ancestrali: in una il bimbo che gioca a palla tra il portale chiaramontano e la scalinata per San Giovanni; nell’altra gruppi di ragazzini che su quel piano eseguono il gioco, solo per i maschietti, dello "Scinni e ncravacca" (Scendi e salta sul groppone; ‘ncravacca o accràvacca si diceva per indicare il montare a cavallo della mula, bestia umiliata da insistenti percosse, vittima sacrificale indispensabile alla vita d’allora). L’obiettivo li coglie in salti di indubbia abilità: uno di loro poggia le mani sul dorso dell’ultimo della fila e si porta a cavalcioni di quelli che seguono e stanno sotto.
Le collaborazioni di Giuseppe Leone con gli scrittori
A Palermo, la casa editrice Sellerio è luogo privilegiato di incontri. Così familiarizza con Sciascia (incontrato per la prima volta nel 1977), con Bufalino, con Matteo Collura, per citare appena alcuni nomi. Difatti, le sue fotografie raccontano la storia dell’amicizia fra costoro e fanno da supporto alle loro pubblicazioni.
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Della sua arte lo scrittore di Comiso parla nello scritto una "Kodak per Faust" nell’opera "Cere perse", a proposito del volume "La Contea di Modica":
Evidentemente il fotografo (che con questa e le sue opere precedenti si aggiunge ai maestri dell’odierna fotografia siciliana, da Sellerio a Scianna) ha compiuto una scelta di cui non lo ringrazieremo abbastanza, essendo la sua testimonianza complementare alle altre, e insieme a queste necessaria per chi pretenda un’esauriente idea storica e umana dell’isola.
Anche con Vincenzo Consolo, che si abbeverava di malinconia, ha collaborato Leone: degna di nota l’opera "Il barocco in Sicilia" (Bompiani, 1991), dove l’argomento centrale è dato dall’evento sismico del 1693 e dalla successiva ricostruzione dei luoghi devastati della Sicilia sud-orientale. Memorabili i fulminei fotogrammi: c’è un tuffo nel passato in un progetto di bellezza architettonica e umana: palazzi e chiese, nonché donne vestite a nero, anziane, bambini, sacerdoti e suore, confraternite in processione, emigranti. Siamo nella città-teatro le cui strade talvolta esprimono un’immobile solitudine, talora convivialità con giochi e feste assiepate di gente vociante.
Nella sua “bottega” si trovano più di 500 mila scatti e sono sessanta i fotolibri recanti i testi dei migliori scrittori della letteratura del Novecento. Ne ricordo alcuni oltre a quelli citati:
- "Invenzione di una prefettura. Le tempere di Duilio Cambellotti" nel Palazzo del Governo di Ragusa di Sciascia-Leone (1987);
- "L’isola nuda. Aspetti del paesaggio siciliano" di Bufalino-Leone (1990);
- "L’isola dei Siciliani" (1995) di Mormino-Leone;
- "Feste e culti religiosi in Sicilia" (1997) di Mormino-Leone (le cui immagini sono a colori);
- "La musica degli Iblei dalla contea alla provincia" di Collura-Leone (2001);
- "Il matrimonio in Sicilia" (2003);
- "Immaginario barocco" (2006);
- "Un viaggio lungo mezzo secolo" di Buttitta-Leone (2008).
Leone ha scritto:
Nell’autunno del 1984, alla galleria La Tavolozza di Viale Libertà di Palermo, Leonardo Sciascia organizzò una mostra sui ’Paesaggi Iblei’ visti interpretati da Piero Guccione tramite la sua pittura e da me attraverso la fotografia. Il catalogo era accompagnato da una breve ma vibrante nota dello stesso Leonardo Sciascia (grande appassionato di entrambe le arti); in tale nota mise a confronto con citazioni ed esempi le differenti peculiarità e modi espressivi sia della pittura sia della fotografia. Da quel lontano 1984 la mostra non si è più ripetuta; delle opere di allora, disperse in diverse collezioni, è rimasto solo un piacevole ricordo. Nel 1989 Sciascia muore. Da allora sono trascorsi vent’anni; e quest’anno appunto si commemora il ventesimo anniversario della sua scomparsa. Per tale evento, a venticinque anni dall’inaugurazione di quella mostra, simbolo di una grande amicizia, noi amici di Sciascia in questo lembo di terra iblea abbiamo deciso di ricordarlo pubblicando questo volume.
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Si riferiva al testo Leonardo Sciascia "Dalla Sicilia alla Spagna" di Guccione-Leone (2009).
Amorevole poi la sua voce cortese nel raccontare il rapporto tra lui e Sciascia, Bufalino e Consolo nel libro "Storia di un’amicizia" (2015), curato da Giuseppe Prode. Poiché i fatti di cui non si parla, diceva Stuart Mill, restano muti, vale la pena di accennare a riferimenti specifici: il suo celebre scatto – il primo - che mostra un treno, i cui vagoni sembrano minuscoli rispetto all’ampiezza del paesaggio, sul ponte della vallata San Leonardo, e Ragusa Ibla sullo sfondo; l’esposizione a Bergamo presso la galleria Ceribelli, nonché la mostra a Ragusa dedicata a Gesualdo Bufalino, Vincenzo Consolo e Leonardo Sciascia nel periodo 1978-2011. Ha scritto Prestifilippo:
Leone è un bracconiere di epifanie. Nel corso di quasi settanta anni di attività ha percorso in lunga e largo la Sicilia. Non c’è villaggio dell’entroterra o paesino della costa che non abbia fotografato, prima che uno dei due sparisse, definitivamente, per dirla con le parole del suo grande amico, lo scrittore Vincenzo Consolo. Scattando, senza sosta, ha messo in salvo, condotto a riva i relitti di un naufragio culturale.
Non solamente ha padroneggiato con perizia l’obiettivo per cogliere mimiche e significati, ma, entrando in contatto con i maggiori scrittori, lo sentiamo come il depositario della memoria letteraria: conosceva segreti e aneddoti e portava con sé la voglia di comunicare l’amore visivo, quanto mai suggestivo, per la sua terra d’Isola, rivelando alla letteratura – ha scritto Salvatore Nigro – "la Sicilia più vera, quella degli uomini come quella della pietra vissuta e del paesaggio”. C’è sempre una tenace volontà documentaria e c’è lo sguardo di incanto che, senza far scadere l’immagine nella retorica del sentimento, coglie singolari aspetti estetici.
Del resto, è conoscenza la fotografia che, nascendo da un’empatia tra soggetto ed oggetto, si fa incontro di percezione e racconto, compenetrazione della propria e altrui identità, dando luogo ad un resoconto di viaggio che diventa patrimonio culturale collettivo.
Forse ancora meno noto è il volume Viaggio in Campania (prefazione di Concetto Prestfilippo, Plumelia, 2022), dove egli si fa turista fra i turisti: è il “tour” a consentirgli una ricerca su Napoli e la Campania (Pompei, Salerno, la costiera Sorrentino-Amalfitana, Paestum, Benevento, Buonalbergo, Teggiano fino a Procida). L’opera proietta l’osservatore in un’atmosfera estetica, pressoché onirica, di paesaggi, monumenti, luoghi con la prevalenza del “bianco” dalla tenera luminosità nelle diverse sfumature. È il momento del diletto pervaso d’armonia e di quiete; gli scatti sono il risultato di una attenta elaborazione disegnativa: lo studio dello spazio e della scelta dei soggetti fanno contemplare la bellezza storica e paesaggistica bramata dai viaggiatori dell’Ottocento.
Anche nella recente pubblicazione “Pausa pranzo” (Plumelia edizioni, 2022), i cui testi sono di Concetto Prestifilippo e la prefazione di Federica Siciliano, l’arte di raccontare è prevalente nei suoi scatti fotografici. Ora è una narrazione di convivialità la quale per esempio si manifesta in particolare, all’ombra degli allegri carrubi che macchiano di verde la campagna iblea. Sono sempre uomini, donne, bambini che si ritrovano nella sosta del ristoro. Tanti gli sguardi nel con-tatto empatico. Un turbinio di gesti coi loro momenti emotivi coinvolgono e conducono l’osservatore in un’armoniosa bellezza rusticana o paesana, le cui plurime scene attraversano magicamente il reale. L’intenso lirismo comunicativo crea dunque uno scenario dall’atmosfera loquace e a volte silenziosa; lascia all’immaginazione la vita che si svolge negli ambienti aperti o chiusi, mentre la figura umana esprime l’essenza del vivere in momenti che fanno risaltare anche le piccole sfumature di un mondo di cui vengono colti i mutamenti dal passato al presente.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Addio a Giuseppe Leone, il fotografo amato da Sciascia e Bufalino
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