Elsa
- Autore: Angela Bubba
- Genere: Storie vere
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Ponte alle Grazie
- Anno di pubblicazione: 2022
Elsa è l’impugnatura della spada, l’emblema della forza. Nomen omen, dicevano i latini: nel nome è contenuto il segno del destino.
È proprio questo presagio, che ne accompagna la nascita, a donare alla storia di Elsa Morante il respiro vasto dell’epica.
Nessuna spada somiglia a un’altra spada, Elsa. Ricordalo.
Ci sono creature che per abitare il proprio nome – divenire ciò che sono – impiegano tutta la vita.
Elsa Morante è diventata sé stessa scrivendo: attraverso la scrittura ha abitato la forma della spada, sognando il fuoco in cui è stato forgiato l’acciaio.
“Il senso dell’arte non è altro che il senso del dolore”, afferma l’io narrante in apertura, ed è proprio questa verità a essere riscoperta e disvelata nel corso delle pagine. Elsa di Angela Bubba (Ponte alle Grazie, 2022) è stato definito un romanzo e non una biografia: ma in realtà non inventa nulla. Tra le righe di questo libro chi ha letto Morante può rintracciare svariati indizi e riferimenti che rimandano ai romanzi, alle lettere e ai racconti della scrittrice. Nessuna frase è casuale. Fatti e situazioni sono già stati narrati da Morante stessa e in questo libro vengono riproposti magistralmente tramite una narrazione fiume che interseca letteratura e vita. Il dato biografico, a ben vedere, non prevale mai sull’opera e ci restituisce il ritratto complesso e dolente di una donna che sembra votata, per sua scelta, a una disperata infelicità.
La voce di Elsa, come l’urlo di un bimbo, percorre le pagine raccontando e raccontandosi. La vita si dipana tra scelte consapevoli e fatti accidentali giungendo così a ricostruire il personaggio sfuggente di una scrittrice. L’identità di colei che scrive è chiara; mentre la donna è inafferrabile, inconoscibile come un segreto. Neppure chi la ama riesce a comprenderla. Elsa è perseguitata dai suoi demoni, dalle sue visioni, parla con i suoi personaggi e solo nella scrittura sembra, infine, abitare il proprio spazio vitale.
L’infanzia di Elsa Morante
È affascinante scoprire il personaggio di Elsa Morante bambina. Una Morante inedita e niente affatto inventata: il lato fanciullesco di Elsa infatti, a ben vedere, emerge in molti suoi scritti, da Le straordinarie avventure di Caterina - il libro scritto da una Morante tredicenne che sarebbe stato dato alle stampe da Einaudi nel 1959 - alla raccolta poetica Il mondo salvato dai ragazzini (1968).
La scrittrice non ha mai cessato di far parlare il “fanciullino” che abitava in lei che, in fondo, non era che un alter ego dell’immaginazione e della fantasia. Uno spirito che deve abitare l’animo di ogni artista - inteso come colui che ha il potere di riscoprire la “fanciullezza del mondo” e mostrarla così allo sguardo altrui sotto un’altra veste, rinnovata, purificata, quasi primigenia.
Elsa bambina è un personaggio audace, irriverente, tormentato che sembra già riflettere, in ogni gesto e pensiero, la grande scrittrice che sarà. Vuole essere la Prima, vuole essere la Sola; è selvatica e non ha bisogno degli altri. “Incanto e disperazione”, queste due caratteristiche sono la sua essenza vitale e, al contempo, la sua croce. Tenero e affettuoso il rapporto con la madrina, donna Maria Guerrieri Gonzaga, la prima a cogliere la scintilla del talento in quella bimbetta povera, pallida, selvatica, poco incline ad adattarsi agli usi e costumi sociali. Maria Guerrieri sembra anche essere la sola a comprendere il segreto tormento che divora Elsa; bambina anomala, figlia di due madri e di due padri, che rivendica un’identità a sé, la sua assoluta e peculiare unicità di essere al mondo. Lo sguardo amorevole della madrina, che la sorveglia e guida nella vita, appare venato da una preoccupazione recondita: è come se guardando Elsa crescere sentisse, sotto la pelle, i dolori, le difficoltà e le sofferenze che quell’anima ardente e infuocata sarà costretta ad attraversare nella vita.
“Sono la prima della classe”.
Lascia che i polpastrelli scorrano sulla carta, spessa e porosa. Odora di rum.
"Sono la prima in molte cose".
“Cosa significa per te essere la prima?”
“Significa essere sola”.
I dialoghi rivestono un’importanza fondamentale nel romanzo di Angela Bubba, sono la chiave di volta del pensiero, il cuore pulsante del poderoso congegno narrativo che l’autrice mette in moto per rivelare ciò che è inconoscibile, come lo scarto esistente tra lo scrittore e la sua opera. Le battute sferzanti dei personaggi dicono molte cose, riescono a dare voce persino ai silenzi. Nei frequenti colloqui tra Elsa e coloro che la circondano si palesano vere e proprie tematiche filosofiche: il senso della vita, della morte, lo scopo dell’arte. Le frasi pronunciate - chi ha letto Morante lo sa - non sono mai casuali: si ritrovano stralci tratti da diari, dai libri, dalle poesie della scrittrice, però Angela Bubba è molto abile nell’amalgamare il tutto nello schema narrativo, senza trasformare la lettura in una ricerca pedissequa alla citazione.
Il rapporto con Alberto Moravia
Il rapporto complesso e tumultuoso con Alberto Moravia occupa gran parte della narrazione. Elsa e Alberto appaiono come anime unite e indivisibili, incapaci di esistere l’una senza l’altra persino dopo il loro allontanamento. In queste pagine si compie l’inaudito: credo sia il sogno di ogni lettore poter assistere a una conversazione letteraria tra Moravia e Morante. Angela Bubba realizza il miracolo donandoci appassionanti dialoghi in cui i due discettano amabilmente su Dostoevskij, oppure discutono la poesia di Arthur Rimbaud.
Sono due menti diverse che raramente trovano un punto di incontro, eppure attraverso il contatto si accendono come due sassi sfregati l’uno contro l’altro, sprigionano scintille, divampano come un fuoco.
Alberto pratica una sorta di ascesi, di igiene dell’immaginario. Le idee di Elsa sanno invece di selvatichezza. All’inizio sono sempre ambigue, informi, opulente. Ogni ragionamento ha un che di barbarico.
In una diade sentimentale intima e intricata come quella costituita da Moravia e Morante bisogna addentrarsi in punta di piedi, con rispetto e pudore, e Angela Bubba vi riesce. L’autrice non giudica, rimane imparziale, e così ci mostra il conflitto che è parte integrante della relazione amorosa.
Elsa è gelosa di Alberto, ma al contempo nutre per lui una stima sconfinata; lo ama come nessun altro, eppure lo tradisce. Odio e amore si amalgamano in una miscela esplosiva, annullano ogni confine, rivelandoci l’ambiguità dei rapporti profondi in cui l’amore, alla fine giace sul fondo, come un sogno obliato, un residuo di dolcezza dimenticato, eppure ineliminabile. Ci sono incontri destinati, dice Alberto ad Elsa, consapevole di non potersi mai realmente congedare da lei.
Un mondo letterario
Nel mezzo accadono gli incontri con personaggi che agli occhi del lettore appaiono come vecchi amici: Pier Paolo Pasolini, Natalia Ginzburg, Umberto Saba, Sandro Penna. Un piccolo tumultuoso mondo letterario in cui i maggiori autori del nostro Novecento si conoscono, si sorridono e stringono la mano, bevono insieme un caffè non zuccherato in un locale e, così facendo, nella familiarità del quotidiano scorrere dei giorni, prendono di nuovo vita.
La relazione tra Morante e Pasolini si svela sotto una nuova luce. C’è l’ammirazione di Elsa per quel giovane poeta presentatole da Alberto, e poi ci sono i dissidi provocati da quella marea che è l’esistenza che immancabilmente scombina le carte in tavola, lancia i dadi, cambia le regole del gioco. Pasolini a un certo punto diventa per Elsa un “nemico”, quando critica aspramente il suo romanzo capolavoro La Storia. Con sgomento allora lei deve riconoscere che il suo Pier Paolo è cambiato, non è più lo stesso. Sono sempre le persone a noi più vicine coloro che ci feriscono più profondamente. Eppure Elsa lo perdona, sceglie di accettare la sincerità aggressiva e sfrontata di Pasolini, colui che in fondo più di ogni altro le era stato “tanto amico”.
La scrittura materna di Elsa Morante
Angela Bubba sceglie di concentrare la propria visione biografica su una ferita insanabile: la maternità non vissuta di Elsa Morante. Scopriamo dunque che Elsa abortisce in giovane età e poi trascorre il resto della propria vita a dialogare con il figlio perduto, cui da nome Arturo, in onore del poeta amatissimo Arthur Rimbaud. Sarà proprio Arturo, il ragazzo che porta il nome di una stella, il protagonista del suo libro più acclamato, L’isola di Arturo, che le varrà il premio Strega nel 1957.
I libri sembrano essere i frutti del ventre sterile di Elsa: la scrittrice riversa nelle pagine la sua maternità, attribuisce ai suoi personaggi caratteristiche filiali. I dialoghi immaginari con il fantasmatico Arturo costituiscono l’ossatura salda della narrazione: in quei colloqui Elsa rivela sé stessa, la propria fragilità di donna abbandonando, soltanto per un istante, i panni decorosi di scrittrice illuminata. Morante cerca il figlio perduto anche nell’amore con uomini più giovani, come il pittore statunitense Bill Morrow, ma pare non trovarlo mai. Tutto ciò che lei ama perisce.
Angela Bubba infine scarnifica la ferita all’origine della prosa di Morante mostrandoci il colloquio impossibile con Medea, l’autrice dell’inconcepibile figlicidio. La scrittrice e il noto personaggio della tragedia greca si trovano a parlare l’una di fronte all’altra, gli occhi negli occhi, dando vita a una scena che ricorda da vicino i celebri Dialoghi con Leucò di Cesare Pavese.
“Tu vedi ciò che soffri”, dice la Donna del mito alla Scrittrice e questo imperativo sembra riflettersi in ogni pagina che Elsa Morante ha scritto, con la penna, con la carne e con il sangue. Ogni parola generata e creata, come il frutto stesso del suo seno.
Elsa di Angela Bubba - un libro in bilico tra romanzo e biografia - è un grande elogio alla letteratura percepita come “un fatto eterno” e a una donna, Elsa Morante, che ha fatto di quella tensione verso l’eternità lo scopo di una vita, realmente vissuta soltanto tra le righe.
Tutto infine si riduce a quell’interrogativo supremo, addensato nel fondo imperscrutabile della spirale dell’anima: “Vivere, dunque? O scrivere?”
Elsa
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