La casa editrice Adelphi nel mese di settembre ha portato in libreria l’attesissimo Ucronia (pp. 159, traduzione di Federica Di Lella e Giuseppe Girimonti Greco), il libro tratto dalla tesi di laurea di Emmanuel Carrère, pubblicato per la prima volta in Francia nel 1986, circa quarant’anni fa, eppure incredibilmente attuale.
Il titolo originale della pubblicazione francese era Lo stretto di Bering, poiché in quel termine era racchiusa e definita la principale ucronia storica, ovvero la decisione sovietica di eliminare la voce enciclopedica su “Berija” - braccio destro di Stalin - convertendola e rimpiazzandola con “Bering”, il celebre stretto marino che divide gli Stati Uniti dalla Russia. La prova che la Storia, comunemente detta, è stata scritta dai vincitori e non dai vinti e di conseguenza tradisce un punto di vista non esattamente imparziale.
Per la versione italiana si è invece scelto di porre al centro l’argomento principale del libro, custodito in una parola enigmatica che appare come un misterioso sigillo posto a suggello del testo: “Ucronia”. Un termine che si pone subito come un interrogativo al lettore, lo costringe a uno sforzo intellettivo, lo conduce immancabilmente a domandarsi: cosa significa?
Stuzzicare la curiosità, del resto, è esattamente ciò che il genio di Carrère si propone di fare attirando così i suoi lettori in un labirinto di congetture e di ipotesi che non lasciano tradire un’unica verità.
L’Ucronia secondo Carrère
Ucronia è un saggio smilzo, macchinoso, sicuramente diverso dalla letteratura, in bilico tra cronaca giornalistica e confessione privata, cui il grande scrittore francese ha abituato i suoi adoranti lettori. Si trova poco Carrère in queste righe, raramente l’autore dice “Io” con la sua formidabile verve, però si comprende già la fluidità del suo pensiero e, soprattutto, i temi che diverranno ricorrenti nei suoi libri successivi e sui quali, il futuro scrittore, tornerà a discorrere con una certa ossessività.
In queste pagine filosofiche, analitiche, riflessive, a tratti persino pedanti, leggiamo la voce di un Carrère venticinquenne che si abbandona al gioco delle congetture cercando di definire un concetto, quello di Ucronia, che negli anni Ottanta del Novecento appariva ancora indefinito e sul quale era stato scritto pochissimo: fatto, quest’ultimo, che ringalluzzisce il giovane Emmanuel Carrère che infatti dice, con il suo caratteristico tono compiaciuto, di aver provato:
“Una puerile vanità al pensiero di essere una sorta di pioniere in questo campo della conoscenza.”
“Ucronia” di Emmanuel Carrère: il libro tratto dalla tesi di laurea dello scrittore
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Naviga in acque perigliose lo studente di letteratura che riporta, nero su bianco, i principali studi e le opere sull’Ucronia: un tema sfuggente, persino ardito, che gode di una fama niente affatto riconosciuta rispetto alla sua consorella Utopia, coniata dal grande umanista Tommaso Moro.
Il termine Utopia deriva dal ou-tòpos, letteralmente “che non è in nessun luogo”; mentre Ucronia deriva dal greco ou-chrònos, “che non è in nessun tempo”. Entrambe sono accomunate dal prefisso privativo, eppure designano cose ben diverse. Il termine Ucronia fu coniato nel 1876 dal filosofo francese Charles Renouvier e spiegato nel saggio dal titolo omonimo accompagnato dal sottotitolo Schizzo storico apocrifo dello sviluppo della civiltà europea, non come è stato, ma come avrebbe potuto essere.
Appunto, “non ciò che è ma ciò che avrebbe potuto essere”; da qui si dipana la riflessione di Carrère che affronta la storia da un punto di vista controfattuale mediante le principali ucronie letterarie, ovvero immaginando un Napoleone vittorioso a Waterloo e fautore di un regno-impero universale o la vittoria di Germania e Giappone nella Seconda guerra mondiale (nello specifico l’ucronia di cui parla è La svastica sul sole di Philip K. Dick, scrittore cui Carrère avrebbe dedicato un altro libro Io sono vivo, voi siete morti) e così via, sino a un ripensamento di Pilato che avrebbe modificato per sempre la storia della cultura occidentale.
Una riflessione, quella di Pilato, che è degna di essere sottolineata almeno due volte, come un mantra di vita:
Pilato invece intuisce un’altra cosa. Che il limite della potenza degli dèi è il libero arbitrio che ci arroghiamo.
Da bravo universitario, Emmanuel Carrère apre la sua dissertazione citando Giovanni Papini (il nome del grande scrittore e saggista apparirà come una benedizione inattesa per gli studenti italiani di letteratura che si sono affaticati sulle “sudate carte”); Papini, dice lo scrittore, aveva proposto di istituire una cattedra universitaria di Ignotica, per studiare “tutto ciò che non sappiamo”. Iniziativa interessante, senza dubbio; ma subito Carrère giunge all’argomento di suo interesse con la consueta stoccata tipica della sua scrittura intrepida, venata di sarcasmo.
Se avessimo seguito il suo consiglio, oggi lo studio sull’Ucronia avrebbe fatto più progressi.
Oggi l’argomento analizzato dal Carrère laureando appare di un’attualità sconcertante, poiché il “tempo senza tempo” dell’Ucronia si adatta in maniera incredibile al nostro presente frammentato che sfugge a ogni categoria narrativa e ha fatto della Post-verità la cifra dominante di un’epoca di incertezze.
“Ucronia” di Emmanuel Carrère: una riflessione sul presente
Emmanuel Carrère parla di Ucronia per definire i “mondi possibili”. Il concetto, coniato da Renouvier, significa: “che non è in nessun tempo.” Non si può dare collocazione all’Ucronia, non ha coordinate; eppure esiste.
Nel corso della lettura è inevitabile incorrere in una riflessione: cos’è l’Ucronia? Una trama di sogni, una sequenza di ipotesi, una realtà parallela, una storia che si sovrappone alla Storia. È questa, in fondo, la materia di cui si nutre la letteratura: la possibilità di immaginare scenari possibili nei quali il reale è un inganno, che non può essere spiegato. In quest’ottica la realtà non è altro che uno degli scenari plausibili, facoltativi, uno dei miliardi di “presenti possibili”.
“Che perfino quello che noi sappiamo della nostra storia individuale non sia a sua volta illusorio? Anche l’ucronia potrebbe essere vera. Tutte le ucronie potrebbero esserlo.”
Tutta la letteratura ci parla di ciò che avrebbe potuto essere e non è stato. È una storia di fantasmi e di eterno rimpianto. L’ucronia, osserva a un certo punto Carrère nella sua dissertazione, non potrebbe esistere “senza un profondo dolore” e dunque dal nostro interesse ad agire in nome della perdita nel tentativo di cambiare il passato. L’ucronia deriva proprio da questo interesse retrospettivo, la possibilità di riscrivere la memoria, che è una caratteristica molto umana: il tentativo inesausto di liberarsi dal peso della realtà attraverso degli espedienti fantasiosi o artistici.
In un’intervista rilasciata a La Lettura, l’inserto culturale del Corriere della Sera, in occasione del lancio del libro lo scrittore ha espresso un’osservazione acuta, che fa riflettere. In quell’occasione Carrère ha detto:
“Tutti noi pratichiamo l’ucronia in un modo o nell’altro, inventiamo biografie possibili.”
Questa è la verità suprema della società delle Post-verità, una possibilità che i social network hanno, a tutti gli effetti, esasperato: siamo tutti ucronisti, perché ciascuno di noi sceglie come narrarsi, inventa la propria storia.
Ciò che Emmanuel Carrère scrivendo la sua tesi di laurea, quarant’anni fa, non aveva potuto prevedere è che oggi viviamo in un’epoca ucronica, al di là del tempo, esplorando gli infiniti possibili attraverso aggiustamenti, giustificazioni, piccoli autoinganni e artifici di natura digitale.
L’ucronia del presente si avvera nel termine Post-truth, ovvero Post-verità (eletta parola dell’anno nel 2016 dagli Oxford Dictionaries) dove ogni fatto e notizia appare posto al vaglio dell’incertezza, e persino una notizia falsa (la cosiddetta fake news) può essere spacciata per autentica ed è in grado di influenzare l’opinione pubblica, persino dal punto di vista politico.
Viviamo in un tempo di ucronie reali - e non solo letterarie.
Colpisce inoltre che Carrère abbia scritto questo breve saggio prima di essere Carrère, ovvero l’autore venerato che tutti conosciamo, lo scrittore del capolavoro L’avversario, il vincitore del Premio Strega Europeo 2023.
In queste pagine così peculiari e strettamente analitiche lo leggiamo come studente, prima di essere scrittore. E se non fosse mai diventato scrittore?
Anche questa è una specie di ucronia, in fondo, la possibilità di sviluppare una narrazione parallela al reale.
Il saggio scritto da Carrère prima di diventare Carrère ci ricorda che tutti noi viviamo in un tunnel esistenziale, la nostra vita non è che una delle infinite possibilità; per questo leggiamo, perché una vita sola non basta.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Ucronia” di Emmanuel Carrère: un libro che parla al presente della Post-verità
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