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Recensioni di libri

Poeta al comando di Alessandro Barbero

Sellerio, 2022 - Con il consueto fascino e seduzione narrativa, Barbero racconta l’impresa epica della presa (e caduta) di Fiume da parte di Gabriele D’Annunzio e dei suoi legionari e arditi.

Graziella Atzori Pubblicato il 13-12-2022
Poeta al comando

Poeta al comando

  • Autore: Alessandro Barbero
  • Genere: Romanzi e saggi storici
  • Categoria: Narrativa Italiana
  • Casa editrice: Sellerio
  • Anno di pubblicazione: 2022

Con il consueto fascino e seduzione narrativa, il professor Alessandro Barbero, accademico di Storia Medievale presso l’Università del Piemonte Orientale, scrittore fecondo e romanziere, racconta l’impresa epica della presa (e caduta) di Fiume da parte di Gabriele D’Annunzio e dei suoi legionari e arditi, nel libro Poeta al comando (Sellerio, con concessione a "La Repubblica", pp.185, 2022).
In esso scopriamo i segreti e i pensieri più intimi di un genio che fece della sua vita un’opera d’arte, sentendosi al di sopra dei comuni mortali, animato da un fuoco vitale inestinguibile, da energia velata di malinconia per la consapevolezza costante della morte, per l’incomprensione dei più, pur essendo idolatrato dalle donne, di cui aveva sempre fame, e amato con devozione da quanti ne condividevano le idee e la visione della vita: la bellezza come bene assoluto e supremo.

"Voi siete miei, disperatamente miei"

afferma il Vate in un discorso rivolto agli arditi. Tutti erano presi da un sogno di libertà totale ispirato dal capo, dall’utopia di giustizia sociale in terra, almeno nel piccolo stato del Quarnaro, di cui D’Annunzio fu il Comandante per mandato popolare. Ne ebbe la reggenza dal Governo Giolitti per 16 mesi, fino al voltafaccia governativo con il trattato di Rapallo, stipulato tra Italia, Croazia e Slovenia, secondo il quale egli doveva abbandonare perentoriamente la città, con le buone o con le cattive. Avvenne con il cannoneggiamento del Regio Esercito italiano capeggiato dal generale Caviglia, nel "Natale di sangue" del 1920.

Barbero descrive gli ultimi due mesi della Reggenza. Con ironia benevola mostra gli eccessi e le idiosincrasie di Gabriele D’Annunzio, l’insofferenza verso qualunque autorità, l’erotismo sfrenato, la tendenza irrefrenabile alle spese folli, l’uso di cocaina, la vanità. Come se fossimo stati lì, in modo immaginifico conosciamo le sue abitudini, l’insonnia, l’immaginazione sempre attiva. Tocchiamo i suoi oggetti, il portasigarette d’oro con il motto inciso "Ardisco, non ordisco", il pastrano con il collo di lupo, accarezziamo la cagna fedelissima. Non manca la tipologia caratteriale del leader, la sua franchezza, il coraggio, la condivisione del rischio, il cameratismo anche con i più umili e popolani, la difesa delle donne.

La Carta Costituzionale del Quarnaro, la più avanzata d’Europa, ammirata anche da Lenin, contemplava la difesa del lavoro, la parità tra i sessi, il diritto di voto alle donne, il riconoscimento di ogni minoranza etnica, linguistica e religiosa, in primis il diritto all’istruzione per tutti.
Il finanziatore del Vate, il senatore Cosulich, badava essenzialmente agli affari e all’aumento dei capitali, sperando che l’impresa fiumana attirasse investimenti. Non poteva condividere lo spirito degli articoli costituzionali redatti anche con l’ausilio di sindacalisti e socialisti, specie l’articolo della Carta in cui si affermava a chiare lettere che la proprietà privata è sacra ma solamente negli aspetti di utilità sociale; diversamente doveva essere espropriata. Promuovere l’istruzione scolastica con scuole apposite per i croati poi... no, il senatore non poteva ammetterlo. E infatti la Costituzione, considerata sovversiva, fu il vero motivo della repressione italiana, dell’incipiente guerra fra compatrioti, a cui D’Annunzio saggiamente rinunciò. Avrebbe potuto piazzare e puntare le mitragliatrici verso le Forze Armate, ma non lo fece.
Decise allora di lasciare definitivamente la politica attiva.
I legionari, spesso affamati a causa delle restrizioni governative su viveri, carbone e petrolio, in quei mesi furono costretti a razziare all’esercito regolare alcune decine di cavalli, diversi dei quali vennero divorati.

Il libro è un intreccio continuo tra Storia e vita privata. D’Annunzio non fa a meno di accogliere le proposte amorose della giovanissima figlia di Cosulich, diciassettenne innamorata pazzamente di lui. È una ragazzetta smunta e anemica, una "cosa", ma "dolce cosa", che l’amante focoso e tenero chiama Cosetta, come la protagonista de I Miserabili di V. Hugo, e di cui desidera gustare la "susina".
Il Comandante fa giustiziare una banda di magnaccia sfruttatori di contadine miserabili, costrette a prostituirsi con la forza bruta. Una di esse, la più ribelle, era stata torturata e seviziata, uccisa e poi gettata in un pozzo.
L’episodio suscita nel poeta sdegno, orrore ed estrema pietà, insieme a un sentimento che va al di là del bene e del male:

"E come sempre, era tradito da non so che cosa che aveva dentro: per cui come a Re Mida in oro, a lui tutto, ma tutto! si trasformava in sensazione di bellezza. Le parole stentate delle ragazze fiammeggiavano dentro di lui, coniate in oro."

La narrazione è attribuita da Barbero a Tom Antongini, testimone, segretario e amico di D’Annunzio per decenni. È lui la voce narrante del romanzo. Sono memorie datate molti anni più tardi, nel 1944, a Salò.
L’estetica del poeta non va considerata come semplice godimento, pur essendo il piacere uno dei suoi costituenti essenziali; dipinge un quadro di armonia universale, dove tutto splende collegato al tutto (panismo) e trova il suo perché, la giusta collocazione.
Fiume, la "città olocausta", è perduta. Il dolore del Comandante, ferito da un calcinaccio cadutogli sul capo durante il cannoneggiamento del Palazzo, è espresso con tono drammatico e commovente. In un momento cruciale, presto superato, l’uomo mette mano alla pistola, avrebbe voluto morire.
Come poter vivere, dopo un grande progetto ideale infranto? Solo dopo Fiume nascerà la perentoria affermazione dannunziana "Me ne frego".
Il Vittoriale diverrà il rifugio, il culto di quanto di lui il mondo non comprese.

Barbero accenna anche a una profezia inquietante dell’"Orbo veggente" sulla decadenza e fine della civiltà occidentale. Non so confermare questa previsione da parte del Vate, ma lo storico non può inventare pensieri tanto essenziali, non si permetterebbe, sebbene abbia romanzato la Storia con grande maestria.

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© Riproduzione riservata SoloLibri.net

Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Poeta al comando

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