

La morte di Auguste
- Autore: Georges Simenon
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Adelphi
- Anno di pubblicazione: 2025
Il romanzo La morte di Auguste (Adelphi, 2025, titolo originale La Mort d’Auguste, traduzione di Laura Frausin Guarino) di Georges Simenon (Liegi, 13 febbraio 1903 – Losanna, 4 settembre 1989) fu redatto dallo scrittore belga di lingua francese vallone a Épalinges, nel Cantone di Vaud in Svizzera, nel 1966 e pubblicato lo stesso anno da Presses de la Cité.
Chez l’Auvergnat, ora rinomato ristorante situato in rue de la Grande-Truanderie, era un
bistrot in apparenza uguale agli altri, un po’ più invitante degli altri per via dei prosciutti e dei salami appesi in vetrina
di proprietà del quasi ottantenne Auguste Mature, bistrot che l’uomo aveva rilevato con i suoi risparmi e un po’ di soldi che il fratello gli aveva prestato nel 1913, senza immaginare che l’anno dopo lo avrebbero spedito al fronte. A quell’epoca al posto dell’attuale prima sala, denominata Senato, c’era la cucina, mentre la cucina di oggi, impeccabile dietro la parete di vetro, era la camera da letto di Auguste e sua moglie. Il locale, impreziosito da tre meravigliosi dipinti di Utrillo, che Auguste aveva ottenuto come rimborso, ospitava commensali di riguardo. Tutto filava liscio, andava bene. Auguste aveva preso, staccandola dalla parete, una fotografia ingiallita del bistrot com’era nel 1920, che lo raffigurava al bancone, in maniche di camicia, e un po’ defilata sua moglie Eugénie. La mostrava a due clienti della provincia, che avevano fatto molto onore alla cena e ai quali aveva appena offerto, personalmente, un cicchetto, nella fattispecie un’acquavite di Borgogna invecchiata. Erano le nove e mezzo e a qualche tavolo avevano già chiesto il conto. Si udiva, come sempre, il brusio delle conversazioni nelle due sale, e l’acciottolio di piatti e bicchieri. Nessuno se ne accorgeva più, così come non ci si accorgeva più dell’odore di cibo e di vino.
Fuori, nel vasto spazio delle Halles, si cominciavano a disporre gli ortaggi e i padiglioni erano già illuminati. Auguste raccontava sempre la stessa cosa ai clienti: come lui, da Riom, fosse arrivato a Parigi appena quindicenne; come, all’epoca, la gente si scannasse ancora in quel dedalo di viuzze buie intorno alle Halles; come lui facesse arrivare dal paese le specialità dell’Alvernia, per esempio quelle grandi pagnotte grigiastre, che erano esposte in vetrina. All’improvviso Auguste aveva barcollato per poi accasciarsi a terra; trasportato dal figlio Antoine e da un cameriere nella sua camera, respirava ancora con un respiro sibilante che gli deformava la bocca, come se non riuscisse più a governare il movimento delle labbra. La cosa più impressionante era quell’occhio aperto dallo sguardo vitreo. Antoine continuava ad avere tutto sotto controllo, specie dalla parte del Senato. Svolgeva al tempo stesso il ruolo di padrone e di maître ma, piegandosi allo stile del locale, aveva sostituito lo smoking tradizionale con un completo blu scuro.
«Mio padre... un malore...», stava dicendo all’ambasciatore.
Auguste era stato colpito da un ictus.
La respirazione si era fatta più debole. Di quando in quando il corpo di Auguste era attraversato da due o tre movimenti convulsi, come se protestasse contro quello che gli stava capitando.
Les Halles de Paris è stato il nome delle halles centrales, mercato di vendita all’ingrosso di prodotti alimentari freschi, situato nel primo arrondissement, il cuore della capitale francese. Les Halles è inoltre il nome del quartiere circostante. I mercati generali, chiamati da Émile Zola “il ventre di Parigi”, fanno da fondale a questo dramma familiare, che porta alla luce gli istinti più bassi, uniti a rancori, invidie e meschinità. Un romanzo breve, che colpisce al cuore.
Quello che giaceva nel letto non era un uomo, ma una cosa incosciente, di lì a poco immobile per sempre.

La morte di Auguste
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