Nel 1924 la capitale francese inizia a stare stretta a Georges Simenon.
Vivevo a Parigi da due anni. Mi sentivo soffocare. Ero una specie di segretario, anzi di galoppino, di uno scrittore poco conosciuto e mediocre. Portavo le sue lettere alla posta, scrivevo gli indirizzi sulle buste, insomma, avevo un ruolo di scarso prestigio. Mi venne voglia di conoscere la Francia.
Niente treno per lui e l’automobile è fuori discussione: troppo costosa. Sceglie la barca. Adelphi nel novembre 2024 ripercorre le tappe di un viaggio inedito, alla scoperta di un paese diverso dall’immaginario comune, osservato dalla fitta rete di canali che lo percorre. Si intitola Una Francia sconosciuta (traduzione di Maria Laura Vanorio, con una nota di Ena Marchi) e raccoglie una serie di reportage pubblicati su quotidiani e riviste dell’epoca (“France Marine”, “Figaro”, “Marianne”, “Humanité”). E un corredo di immagini in parte scattate dallo stesso Simenon, in parte opera del fotografo Hans Oplatka che lo accompagnerà in un viaggio in auto per il paese nel 1931.
“Una Francia sconosciuta”: il reportage di viaggio di Simenon
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Una Francia sconosciuta è una dichiarazione d’amore per le vie d’acqua del paese. Un reportage appassionato, ma onesto. Simenon è capace di mettere in risalto la meraviglia che convive con l’incredibile fatica del viaggio intrapreso, insieme a un pizzico di incoscienza. A dettare legge sulla scelta del mezzo e dell’itinerario è la carenza di risorse economiche:
D’altra parte non ero nessuno, facevo la fame, ero pagato malissimo.
Ma il ruolo fondamentale nella decisione di partire si deve all’inesauribile curiosità di uno degli scrittori più prolifici della storia.
Così nel 1928, a venticinque anni, acquista una barca e parte per sei mesi.
Comprai d’occasione una barca di cinque metri, la Ginette. Una tenda, due materassi, un piccolo quadrato a poppa per la macchina da scrivere e le pentole: per vivere c’è pur bisogno di un minimo di cose.
L’equipaggio è formato dalla moglie Tigy, dalla domestica Boule e dal cane danese Olaf. Simenon non sa niente di navigazione: ma impara in fretta, come per la scrittura. E dopo pochi mesi può considerarsi un esperto di itinerari e percorsi.
Bisogna imparare il linguaggio dei canali, decifrare i fischi dei rimorchiatori che indicano quale arcata dei ponti intendono imboccare così da evitare collisioni. Ci sono chiatte lente da superare prima delle chiuse. Rischi: sassi a pelo d’acqua, fango, mulinelli, tunnel non illuminati, piene. E chiuse: 1800 di cui almeno 1500 azionate dai viaggiatori.
Sul Rodano un ispettore li avvisa dell’impossibilità di procedere per via delle piene. Simenon non ci sta:
Mi misi d’accordo con i ragazzi della squadra notturna, che lasciarono la porta della chiusa accostata. Partimmo con il favore della notte.
E poi la numero 76, dove i battellieri facevano scendere donne e bambini perché la porta era così fradicia che temevano un incidente. O il guardiano del Midi che nonostante i richiami non apre la paratoia. Alla fine Simenon lo trova che sonnecchia al sole.
Con gli occhi socchiusi si dette un colpo sulla gamba: “È di legno. Me la sono procurata in guerra. Prendo trecentocinquanta franchi al mese oltre alla mia pensione, trecentocinquanta franchi per riposarmi, e lei pretende che per questa cifra mi metta a far funzionare la chiusa?” Aveva ragione. Ci siamo fatti un bicchiere.
Incontri, gite al casinò e colazioni in barca di Simenon
Anche i rapporti con le persone cambiano sull’acqua. È una scala sociale differente dal resto della Francia, quella fotografata dallo scrittore che si trova a suo agio.
I battellieri sono persone per bene. Erano pronti ad aiutarci.
Capita a Reims, dove piove a dirotto per una settimana, la biancheria è tutta bagnata, il telone installato sulla barca non tiene non c’è modo di ripararsi. Le chiatte sono ferme per la piena.
Da una barca vicina ci osservavano. Ne scese una donna enorme, che con i pugni sui fianchi ci disse: “Da quant’è che non mangiate qualcosa di caldo?” Era una settimana buona.
Scatta l’invito:
Fu un pasto squisito, uno dei più gustosi della mia vita.
A Le Grau-du-Roi si rompe il motore: bisogna fermarsi e attendere la sostituzione. La Ginette viene ancorata a cento metri dalla spiaggia. In paese c’è un casinò.
Mia moglie e io scendevamo nudi a terra, dove ci aspettavano i vestiti. Abbastanza eleganti, per altro. Dopo il casinò ce li toglievamo e ritornavamo a nuoto.
Ma ci sono anche le zanzare:
Per proteggermi mi sistemavo sulla testa una pezza di garza e fumavo la pipa a più non posso, tanto che un giorno andò tutto a fuoco.
Ai residenti si presenta un andirivieni pittoresco dalla spiaggia dove è montata la tenda con la domestica alla barca: quando vuole un caffè, Simenon usa un fischietto e Boule da terra parte con il suo prezioso carico.
Lei si buttava coraggiosamente in acqua e, quando questa le arriva al collo, si metteva a gridare: “Signore, signore, presto, prenda il vassoio!”.
Simenon continua a scrivere anche in viaggio
Non è però una vacanza, non per Simenon che per l’intero viaggio mantiene un ritmo forsennato di lavoro, arrivando a scrivere fino a 80 pagine e a 7 racconti al giorno.
A Lione dovevo spedire immediatamente il manoscritto di un romanzo popolare. Non c’era un posto in cui potessi rifugiarmi al riparo dagli sguardi. Fui costretto a piazzare il mio tavolino pieghevole sulla banchina di scarico, ai piedi di un grande muro. Dalle cinque del mattino battevo sui tasti a tutto spiano. I pochi passanti mi prendevano per pazzo.
L’episodio richiama alla memoria l’aneddoto, metà leggenda metà verità, secondo cui l’editore Eugène Merle gli propone di scrivere un romanzo in tre giorni sotto gli occhi del pubblico, chiuso in una gabbia di vetro. Alla fine non se ne fa nulla, anche se c’è chi giura di averlo visto.
In ogni caso niente va perduto: luoghi, personaggi, atmosfere. Simenon ha una memoria di ferro e non perde mai di vista il suo scopo: scrivere. La Francia d’acqua sarà teatro di romanzi e racconti celebri:
- Il Cavallante della “Providence”,
- La Chiusa n. 1,
- Firmato Picpus.
Ma si devono a quei mesi di navigazione anche tutte le rassicuranti locande in riva ai fiumi dove il commissario Maigret si ritira con la moglie alla ricerca di un po’ di pace dalla vita parigina e finisce, inevitabilmente, per farsi coinvolgere in una nuova indagine.
Non sono mai stato uno scrittore analitico. Sono un istintivo. Procedevo, diciamo così, a intuito. Cominciavo un romanzo senza sapere esattamente dove stessi andando. Questa incertezza durava fino all’ultimo capitolo. Non nego che la scoperta della Francia attraverso i suoi corsi d’acqua […] me l’ha non solo rivelata nei suoi più piccoli anfratti, ma ha costituito una miniera di ambientazioni per i miei romanzi. […] E il romanzo si scriveva da sé
L’atmosfera di quel microcosmo liquido e per sua natura in continua trasformazione lo conquista per sempre:
Ho fatto tre volte il giro del mondo, ma se chiudo gli occhi è questo il primo ricordo che mi torna in mente. Sugli argini le lavandaie battevano la biancheria ridendo a crepapelle. Tutto trasudava gioia di vivere.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Georges Simenon in barca per la Francia: un libro racconta il viaggio tra chiuse e canali
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