Kermesse
- Autore: Leonardo Sciascia
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Sellerio
Kermesse (Sellerio, 1982) è una raccolta di modi di dire in dialetto del territorio di Racalmuto. Indicati in ordine alfabetico come nella forma del dizionario, ciascuno di essi è seguito da un puntuale e godibile commento. Una nota di Sciascia spiega il senso di questa sua silloge:
“Intitolo questo libretto Kermesse per collegarlo, anche se vagamente, a quell’altro di venticinque anni fa, Le parrocchie di Regalpetra: poiché "Kermesse" è, nei Paesi Bassi e nel settentrione della Francia, la festa della parrocchia. La parrocchia è quella di Racalmuto, in provincia di Agrigento: dove sono nato e dove effettualmente vivo. La festa che si celebra in queste mie note – scritte tra il 1975 e l’altroieri – è quella della memoria”.
Il maestro di Regalpetra ritorna dunque al paese natio, mettendo in atto il piacere del ricordo. Tanti gli aneddoti da lui raccontati sull’espressione indicata e si rimane stupiti del fascino che il narratore esercita, illustrandone origini e significato.
Volendo portare appena qualche esempio, andiamo alla voce "Nun mi futtinu: dintra ci su’ li cavaddi". In lingua: “Non mi fottono (non me la fanno): dentro ci sono i cavalli”.
Era il 3 novembre del 1880 quando per la stazione di Racalmuto transitò il primo treno. Tanta la folla che assisteva al sorprendente, prodigioso spettacolo. C’era anche Camillo Picataggi, “vecchio galantuomo” mai allontanatosi dal paese. Non si dava pace, non riusciva a comprendere come una locomotiva a vapore potesse trainare le carrozze di un treno. Il vapore, pensava, poteva al massimo muovere il coperchio “di una pentola che bolle”. Impossibile quindi che mettesse in movimento carri “grandi come case”. Tutti si aspettavano che si arrendesse vedendo la locomotiva, ma:
“dopo un momento di perplessità pronunciò quella frase, rimasta nel parlare popolare a significare gratuita e testarda diffidenza, in genere; oscurità di mente nel progresso, in particolare”.
Ostinatamente era rimasto fermo nella convinzione che dentro, senza essere visti, vi fossero i cavalli. Fa sorridere l’episodio dall’ingenuo candore, ma ci sono nel testo anche brani che rimandano a situazioni politiche.
Per esempio: "Ci sputassi vossia". L’espressione, in lingua “Ci sputi lei", ha un significato proverbiale: indica un’azione che si è costretti a fare, anche se teoricamente si ha la libertà di non farla. Riguardo all’origine, Sciascia narra la storia di un certo Salvatore Provenzano, realmente accaduta. Questi la pronunziò perché sulla scheda elettorale, dove doveva esprimere la preferenza, era già stampigliato il "sì" come consenso al fascismo:
“per cui al votante altro non restava che leccare la parte gommata della scheda, chiuderla e imbucarla nell’urna”.
Poiché Provenzano, avendo l’intenzione di scrivere un "no", si rifiutò di fare ciò, disse al presidente del seggio che fosse lui a chiuderla e imbucarla.
"Ci sputi", dunque: un modo per disprezzare il regime fascista.
“Tragidiaturi” è chi rende il vivere una tragedia per sé e per gli altri. Sono quelle persone che assillano, ricattano, minacciano. Sono i sofisti che ragionano utilizzando la scienza del peggio. Il significato del termine cambia da luogo a luogo. A Racalmuto il personaggio è una specie di "ingegnoso nemico di se stesso": si arrovella, si rode di preoccupazione e di apprensione, diffida ed è malcontento anche delle cose buone e belle.
Immancabile l’ombra di Pirandello. Sciascia, alla voce "Signureddi" (Le piccole signore), ne ricorda la novella La casa dei Granella, straordinario racconto la cui architettura, tra spiritismo e superstizione religiosa, riguarda una casa presa in affitto dai Piccirilli, che la ritengono infestata da spiriti maligni che li ossessionano. Da qui la controversia giudiziaria: il Granella, locatore, li cita in giudizio perché vogliono rompere il contratto di locazione e infamano la reputazione dell’abitazione.
"Signureddi", spiega Sciascia, sono i fantasmi, gli spiriti, a volte maligni altre volte protettori, che amano scherzare, “facendo volare in cucina qualche stoviglia o vengono a spostare qualcosa ai piedi del letto”.
Del tutto maligni sono i fantasmi degli ammazzati in casa e allora occorrono benedizioni e messe in suffragio. L’esito è di deprezzare quella casa in caso di vendita; anche un inquilino sfrattato inventa l’esistenza degli spiriti, gettando sull’abitazione la malafama (in dialetto “filama”) per renderla inaffittabile, invendibile. Un’invenzione utilitaristica dunque le "Signureddi", ma reali nell’immaginario collettivo.
Due anni dopo, nel 1984, l’operetta rifluisce nella più ampia raccolta intitolata Occhio di capra, pubblicata da Adelphi. Il titolo, in dialetto "uocchiu di crapa", è desunto da una voce già presente in Kermesse e indica un fenomeno atmosferico:
“del sole quando, al tramonto, è tagliato obliquamente da strisce di nuvole: per cui appare come una pupilla che guarda strabicamente”.
Potrebbe essere “indizio di pioggia, per l’indomani alla stessa ora”.
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Forse per un refuso di trascrizione nel commento al libro di Sciascia, e’ scritto che "le parrocchie di Regalpetra " e’ di 25 anni fa. Se non sbaglio il libro è uscito nel 1956-57. Grazie per la tempestività delle notizie e delle buone recensioni.
Gentile lettore, grazie della cortese e gradita attenzione. Le preciso in merito all’osservazione che "Le Parrocchie" sono state pubblicate nel 1956 per conto della casa editrice Laterza e che la nota cui lei si riferisce, virgolettata, non è mia, ma di Sciascia. Lascio a lei ogni deduzione. Quindi, nessun refuso.