Dalla parte di lei
- Autore: Alba de Céspedes
- Casa editrice: Mondadori
- Anno di pubblicazione: 2021
«Questa è la storia di un grande amore e di un delitto», con queste parole la scrittrice presentava il libro al suo pubblico nel 1949. Eppure la prefazione di Alba de Céspedes, terminate le oltre cinquecento pagine di romanzo, mi pare riduttiva: vorrei quasi correggerla, dirle che in realtà non ha colto l’esatta misura di ciò che ha scritto, che ne sta dando una visione limitante, distorta.
Dalla parte di lei è la storia di Alessandra Corteggiani e anche quella di un’intera schiera di donne che non hanno avuto voce, che sono state sottomesse, piegate, relegate nell’ombra da una società patriarcale. Il colpo di pistola finale – il gesto fatale che chiude il romanzo – è da intendersi come l’estremo manifestarsi di una ribellione che corre sottotraccia in ogni pagina: il lettore lo sente quell’urlo, quella rabbia silente che conduce la protagonista a premere il grilletto, sin dalle prime righe. È quell’urlo a guidarci nella lettura riflettendosi in tutti i gesti che si fanno tragici anticipatori del delitto finale in una drammatica escalation: il suicidio della madre, il disprezzo del padre, il solenne matriarcato professato con amara rassegnazione dalla nonna in Abruzzo, la docile sottomissione praticata da Fulvia e Lydia per compiacere il desiderio maschile.
Il delitto compiuto da Alessandra Corteggiani vuole essere un atto di liberazione – ed esprime, sottotraccia, una rivolta di genere.
È proprio questo aspetto a rendere un romanzo del 1949, ripubblicato da Mondadori nel 2021 in una nuova edizione, di sconcertante attualità. Oggi si discute molto riguardo al lavoro di cura e accudimento che grava unicamente sulle spalle delle donne, del resto i soggetti più penalizzati dalla pandemia. Sono state le donne nel 2020 ad occuparsi dei figli costretti a casa dalla Dad, degli anziani fragili e non autosufficienti, sobbarcandosi di conseguenza un peso enorme che la società attribuiva semplicemente al loro ruolo di mogli, di madri, di angeli del focolare domestico. Nessuno in quei momenti chiedeva ai loro mariti di svolgere un lavoro assistenziale che tuttora si crede spetti al genere femminile per vocazione. Sono state le donne a pagare il prezzo più alto della situazione pandemica: molte hanno addirittura perso il lavoro, altre sono state costrette a lavorare il doppio sommando agli orari deliranti dello smartworking la cura della casa, la supervisione scolastica dei figli, il sostegno e l’assistenza ai genitori anziani che necessitavano di essere accuditi, nutriti, protetti.
Dalla parte di lei di Alba de Céspedes oltre settant’anni fa si addentrava proprio nelle pieghe di quella che ancora oggi appare come una ferita aperta: la disparità di genere.
La protagonista, Alessandra Corteggiani, io narrante dell’intera storia, si scontra con questa realtà sin dalla prima infanzia osservando il turbolento matrimonio dei genitori.
Siamo a Roma nella prima metà del Novecento: all’interno di un anonimo appartamento di via Paolo Emilio 30, nel quartiere di Prati – all’epoca ancora popolare. In questo contesto i ruoli di moglie e marito appaiono drammaticamente definiti da abitudini e mansioni specifiche: l’uomo lavora tutto il giorno e rincasa soltanto a sera inoltrata, mentre la donna rimane a casa a svolgere le faccende domestiche; l’uomo deve essere accudito e nutrito con un lauto pasto, mentre la donna di quel pasto può mangiare anche le briciole; la domenica l’uomo si reca al bar per bere con gli amici, mentre la donna rimane in salotto a cucire. Ogni giornata si ripete identica a se stessa in una ripetizione che sembra farsi preludio di un annullamento. A osservare il penoso teatrino è la figlia della coppia, Alessandra, che sin dalla più tenera età sviluppa una devozione assoluta per la madre e matura, di conseguenza, un sordo rancore nei confronti del padre.
Per la prima volta l’avevo sentito entrare nel nostro raccolto mondo femminile come un insidioso nemico. Mi era sembrato fino ad allora che egli fosse una creatura di razza diversa, a noi affidata, cui si dovessero solo cure materiali.
Eleonora Corteggiani, la madre di Alessandra, appare come l’eroina tragica della prima parte del libro. È una donna colta, intelligente, arguta: legge molti romanzi, conosce a memoria l’intera opera di Shakespeare e sogna un futuro da pianista. Novella Madame Bovary, personaggio etereo e inafferrabile, giungerà a togliersi la vita per amore. Quella della madre – morta suicida – rappresenta la prima ribellione femminile cui Dalla parte di lei dà voce. Eleonora si sottrarrà al potere che il marito ha su di lei attraverso la morte: ma nella sua morte fisica si riflette in realtà una morte spirituale che era iniziata molto tempo prima. Sono magnifiche le pagine in cui Alba de Céspedes delinea la condizione femminile dell’epoca: per le donne di metà Novecento il matrimonio era come una macina, un processo di lento logoramento che infine le conduceva alla vecchiaia dopo aver risucchiato da loro ogni bagliore di giovinezza, energia e vitalità, dopo aver spento ogni residuo d’amore. Nel grande caseggiato di via Paolo Emilio le donne vivono un’esistenza a sé – separata da quella maschile – come monache o prigioniere. Una vita vissuta nella claustrofobica ristrettezza degli spazi domestici: nelle cucine, negli androni oscuri delle scale, nelle camere da letto.
Tutte, rassegnate, accettavano con il nascere del nuovo giorno il peso di nuove fatiche: si davano pace considerando che ogni loro gesto quotidiano era appoggiato al gesto simile compiuto, al piano di sotto, da un’altra donna ravvolta in un’altra sbiadita vestaglia. Nessuna avrebbe osato arrestarsi, per tema di arrestare il moto di un preciso ingranaggio.
Giunta la sera le donne fuggivano nelle case buie dalle stanze grigie per preparare la cena e così, conclude de Céspedes, si spegneva “un’altra giornata di inutile giovinezza”. Nella penombra delle sale da pranzo si alimentava tuttavia negli animi delle donne un sordo rancore nei confronti della tirannia degli uomini, un muto disprezzo per il loro egoismo, che si tramandava di generazione in generazione. Erano uomini che nei loro confronti non avevano mai parole d’amore né un pensiero indulgente, rientrati in casa sapevano solo dire «La pasta è scotta» seminando il malumore. Questa è la lezione che la giovane Alessandra Corteggiani impara osservando le trame familiari del cortile in cui è nata. Al meccanismo spietato che macina le vite delle donne lei si propone di sfuggire; ma il “come” ancora le sfugge.
Nella seconda parte del romanzo assistiamo a un’evoluzione: la morte precoce della madre determina una crescita obbligata nella figlia, determinata a non cadere nella stessa trappola. Alessandra abbandona il nido familiare e si trasferisce in Abruzzo dove la accoglie la rigida nonna paterna che vive come un’imperatrice nel suo podere. È lei ad amministrare le regole della casa, della famiglia e del lavoro con la risolutezza tenace di un colonnello. La figura della nonna rappresenta un nuovo modello femminile, per certi versi antitetico rispetto a quello della madre di Alessandra. La nonna si è adattata al suo ruolo facendo della famiglia stessa il regno del proprio personale matriarcato. Sarà sempre lei a insegnare alla ragazza una dolceamara verità:
Le donne vivono una vita contraria al loro carattere e alla loro natura, ai loro sentimenti e ai loro impulsi: perciò debbono essere molto forti. (…) Ma quante volte una donna deve consapevolmente morire nella sua miserabile vita di ogni giorno?
La nonna crede di educare la nipote a uno stile di vita votato al lavoro e al sacrificio, sottraendola così al cattivo esempio dato dalla madre, per farne la sua erede. Alessandra però si ribella a quell’ordine taciturno e operoso, a quel “sordido destino femminile”: capisce che non è quella la sua storia di donna. Rifiuta un buon matrimonio e persino l’eredità del podere, quindi fa ritorno a Roma decisa ad affermare sé stessa attraverso lo studio e il lavoro.
È proprio da questo punto che Alessandra Corteggiani inizia a delinearsi come vera protagonista del romanzo, dopo aver seguito il travaglio delle generazioni, subentrando quindi alla madre e alla nonna. Se finora ha narrato l’esistenza altrui vista attraverso i suoi occhi, adesso soltanto inizia a scrivere la propria, che si inscrive nel solco delle precedenti rifiutando, tuttavia, fermamente di ripeterne il destino.
Dalla parte di lei inizia delineando la trama di un incontro: ma perché questo incontro effettivamente si compia dobbiamo attendere la terza parte del libro. Per tutta la prima metà infatti della persona di Francesco Minelli non sappiamo nulla, di lui non v’è traccia – eppure sarà proprio Francesco ad avere un ruolo decisivo nell’intera vicenda narrata.
Incontrai per la prima volta Francesco Minelli a Roma, il venti ottobre mille novecento quarantuno.
L’incipit ci rivela da subito l’impostazione memoriale del romanzo. Alessandra Corteggiani rievoca a ritroso la propria storia sino a giungere allo snodo fondamentale: l’incontro con colui che diverrà suo marito e sarà, infine, la sua vittima. Amore e morte, eros e thanatos, appaiono invincibilmente legati come nella tradizione greca. Il fatto scatenante – l’omicidio scandaloso – viene relegato a una manciata di pagine finali in una conclusione fulminante che appare quasi affrettata. In verità, a una rilettura più attenta, si possono individuare le tracce disseminate dall’autrice nelle pagine come a preludio del tragico finale.
L’episodio che, in particolare, sembra prefigurare il delitto è l’uccisione del gallo da parte della giovane Alessandra. Nel corso del soggiorno in Abruzzo, nel grande podere della nonna paterna, la ragazza strangola con le proprie mani lunghe e affusolate il bel gallo ricco di piume che spadroneggia nel pollaio. Non è difficile cogliere nell’animale un riflesso metaforico del patriarcato. Nell’uccidere il gallo Alessandra sfoga per la prima volta la rabbia in lei soppressa e taciuta dopo la morte della madre: le sue mani si stringono lungo il collo del pennuto e, premendo forte, paiono rivendicare una lunga sequela di torti. Salvando le galline del pollaio dalla supremazia del gallo Alessandra Corteggiani attua anche la propria personale liberazione.
Le mani, quelle candide mani che infine compiono il crimine, sono colpevoli o innocenti? La domanda si agita nella mente del lettore come uno sciame di vespe impazzito amplificando gli interrogativi, duplicando i dubbi.
“ Tutte le donne sono innocenti ”, pensa Alessandra mentre attende una sentenza che sa già inappellabile. In questo assunto possiamo cogliere il vero significato dell’intero romanzo, la morale ambigua che all’epoca della pubblicazione apparve scandalosa.
La prima a difendere a spada tratta l’opera di de Céspedes fu la scrittrice Maria Bellonci, fondatrice del premio Strega, che scrisse in un’accorata lettera all’amica:
Alba, cara, sta certa. Hai scritto un libro importante per la vita delle donne e, in assoluto, un libro molto bello del quale non si potrà tacere.
All’elogio affettuoso di Maria Bellonci fece eco un’altra lettera di Leonetta Cecchi Bentivoglio che ammirava il romanzo, tuttavia muoveva una critica all’unilateralità dell’esposizione. Tra le righe Leonetta anticipava a de Céspedes le riserve del marito, Emilio Cecchi, la cui recensione pubblicata su L’Europeo non sarebbe stata altrettanto benevola:
Tutte le donne si riconosceranno con emozione in tante vicende da te toccate con tanta sensibilità ed efficacia, in specie nella seconda parte del libro, nella vita coniugale di Alessandra. Gli uomini troveranno che manca la contropartita: finirai col dover scrivere un “dalla parte di lui”. Del resto un tantino troppo unilaterale, l’esposizione del rapporto d’amore e di vita famigliare, appare anche a certe donne e un pochino anche a me.
Appare significativo, del resto, che fossero proprio gli uomini i primi critici del romanzo di Alba de Céspedes: come a dimostrare che il punto di vista prettamente femminile non poteva essere compreso appieno dal suo “pianeta opposto”, ovvero la mente maschile. Nella sua recensione, Cecchi infatti definiva la protagonista una “mitomane” che “uccide l’amore per eccesso d’amore”. Da uomo Emilio Cecchi pronunciava su L’Europeo il proprio irrevocabile verdetto: vestendo la toga di giudice condannava Alessandra Corteggiani, dando così prova di non aver colto l’anima del romanzo.
Dalla parte di lei vorrebbe essere un’arringa di difesa, ma si propone in realtà più come un atto d’accusa nei confronti di una società miope che non vede il dolore delle donne e non comprende neppure la loro innocenza. Una società che è persino capace di accusare una donna dello stupro di cui lei stessa è stata vittima perché “vestiva troppo scollata” o “aveva la donna troppo corta”. La disparità di genere oggi è ancora un nervo scoperto e dolente, il che rende il romanzo di de Céspedes una narrazione contemporanea profondamente immersa nel dibattito femminista attuale. Alessandra Corteggiani con quel colpo di pistola sembra insorgere contro tutte le offese, manifeste o silenti, che le sono state arrecate nel corso della vita: non è il marito Francesco la sua vera vittima designata.
Alba de Céspedes dà voce a una donna che pensa, a una donna che scrive, e che tramite l’intelletto si ribella alla propria condizione di subalterna. Alessandra Corteggiani non si piega alla visione di un marito che la vorrebbe tranquilla e sottomessa, e crede di poter mendicare il suo amore regalandole una borsetta costosa. Alessandra da ragazza vuole studiare; da donna vuole lavorare ed essere riconosciuta dal marito come sua pari, con uguale dignità. Ma questo non è possibile e il suo amore si riduce così a una pura sublimazione: tanto da far pensare che non sia davvero suo marito Francesco colui che ama, piuttosto un’immagine ideale da lei creata nella propria mente. L’amore cede così il posto all’illusione dell’amore e al bisogno bruciante che ogni donna ha di essere riconosciuta per sé stessa, come soggetto pensante, al di là del suo corpo e del ruolo di cura e accudimento che la società, suo malgrado, le impone.
Dalla parte di lei è un libro che contiene molti altri libri come una serie di scatole cinesi – è romanzo di formazione, narrazione psicologica e di stampo neorealista, è anche un romanzo storico che ci racconta l’ascesa del fascismo e la resistenza partigiana. A tenere il filo di tutte le scritture che vi si intersecano è sempre quell’urlo sommerso che infine esplode in una presa di coscienza la cui eco si riverbera ancora oggi.
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