Presentato come uno dei più perfetti scrittori moderni, Vladimir Nabokov è ormai un nume tutelare della storia della letteratura mondiale.
Moriva in Svizzera, a Montreux, elegante cittadina sulle sponde del lago di Ginevra, il 2 luglio del 1977. Scrittore bilingue (sarebbe più corretto scrivere trilingue, in realtà, perché parlava fluentemente anche il francese): russo ma naturalizzato statunitense, dopo i primi lavori celati sotto lo pseudonimo di Vladimir Sirin, raggiunse la fama con un romanzo scritto in lingua inglese: Lolita (1965), pubblicato in Francia dopo aver ricevuto vari rifiuti editoriali a causa della trama di argomento scabroso. Il libro sarebbe stato tradotto dallo stesso Nabokov in russo soltanto dieci anni dopo la sua prima pubblicazione.
Indubbiamente si tratta dell’opera più celebre di Nabokov, il cui nome è indissociabile ormai da Lolita, dall’intrigo sensuale della sua trama esplicitamente erotica che tuttavia non sfiora mai l’osceno. La cifra stilistica principale dello scrittore russo è la creatività linguistica, unita a un tema ricorrente: lo scarto tra il reale e il fantastico, ma anche a un profondo amore per l’arte intesa come creazione.
Oltre che scrittore, Vladimir Nabokov fu poeta, critico letterario, traduttore, saggista e insegnante universitario. Le sue Lezioni di letteratura, tenute alla Cornell University, hanno fatto storia e sono state pubblicate in italiano da Adelphi in un volume imperdibile che, per le sue audaci dissertazioni su autori quali Marcel Proust e James Joyce, non può mancare negli scaffali degli studiosi di letteratura.
Nell’anniversario della sua scomparsa, proviamo audacemente a sfidarlo sul piano metaletterario: quanto hanno in comune Nabokov e il protagonista del suo libro capolavoro Lolita? Chi è il vero Humbert Humbert?
La vita di Vladimir Nabokov
Nabokov nacque in Russia, a San Pietroburgo, nel 1899, ma emigrò in Occidente dopo la Rivoluzione di Ottobre nel 1917. Le sue origini erano russe, tuttavia crebbe con una sensibilità e una visione fortemente influenzate dalla cultura europea. Si laureò in lingue romanze e slave a Cambridge, al Trinity College, e per un periodo si stabilì a Berlino, in seguito a Parigi. In questi anni giovanili iniziò la sua attività letteraria in russo, mascherato dietro lo pseudonimo di Vladimir Sirin: il primo romanzo è Mašen´ka, Maria, edito nel 1926. Le sue prime opere risentono fortemente dell’influenza di grandi autori russi, quali Dostoevskij. La svolta viene con il trasferimento negli Stati Uniti nel 1940, reso necessario a causa delle persecuzioni razziali, quando Nabokov iniziò a scrivere e pubblicare in inglese e le sue opere conobbero una maggiore diffusione di critica e pubblico.
Negli USA gli venne assegnato il ruolo di research fellow presso il dipartimento di Entomologia del Museo di Zoologia Comparata dell’Università di Harvard. Forse non tutti sanno che il passatempo primario di Vladimir Nabokov non era propriamente la scrittura, ma un’altra passione: l’entomologia. Il grande autore era infatti un appassionato di farfalle, di cui possedeva una sterminata collezione. Una celebre foto lo ritrae in aperta campagna con ai piedi pesanti scarponcini di flanella mentre tiene in mano un retino: sembra la lancia di un guerriero, in fondo possiamo individuare un parallelismo tra “l’acchiappare farfalle” nella realtà e la fantasia necessaria a uno scrittore per inventare le sue storie. La passione di Nabokov per i lepidotteri era iniziata da bambino, quando a sette anni inseguiva farfalle nella grande tenuta di campagna di famiglia a Vyra: fu uno zio a istruirlo sull’argomento, ma anche la madre, che ebbe una formazione da biologa, era una grande appassionata e gli insegnò come conservare le farfalle ad ali distese nelle apposite teche.
I romanzi inglesi di Nabokov seguono un filone sperimentale: vi troviamo le trame più disparate, dalla storia di un giocatore di scacchi al giallo poliziesco di stampo identitario, come L’occhio e Camera Oscura. I libri di Nabokov avevano trame kafkiane, che giocavano con l’idea stessa di romanzo, seguivano una sorta di indagine metaletteraria.
Nelle opere dell’autore possiamo rintracciare anche un altro filone, una sorta di fil rouge che sottilmente le intreccia e le lega, l’ossessione sessuale per donne più giovani, una sorta di progressiva rivelazione del lato oscuro e scabroso dell’animo umano: è anche la trama sotterranea di La gloria, un libro giudicato “perfetto” che precede Lolita, e ritornerà nei successivi scritti dell’autore quali Pnin, Fuoco pallido e Ada o l’ardore. Proprio per questo merita un’analisi più approfondita il capolavoro letterario di Nabokov, Lolita: nel 1955, dopo essere stato rifiutato da vari editori proprio per il tema di cui trattava, divenne un successo planetario portando la fama di Nabokov alle stelle.
Recensione del libro
Lolita
di Vladimir Nabokov
La pubblicazione di “Lolita” in Francia
La fortunata pubblicazione di Lolita si deve anche alla moglie dello scrittore, la traduttrice russa Vera Slonim (meglio nota come Vera Nabokov), che si portò sottobraccio le oltre 457 cartelle del romanzo varcando le frontiere dei vari Stati trattando con gli editori perché accettassero di dare una chance a ciò che, secondo la dicitura corrente dell’epoca, era definito “materiale osceno”. Il Comstock Act, al tempo in vigore, stabiliva che un testo che trattava tale argomento non potesse essere inviato per posta: cosicché la povera Vera iniziò la sua crociata in difesa dell’opera del marito.
L’editore, infine, lo trovò, a Parigi, era l’Olympia Press e trattava letteratura erotica e d’avanguardia.
Da quel momento Lolita divenne il successo letterario che oggi tutti noi conosciamo: ma quanto c’era di vero in quella storia?
La vera storia che ispirò “Lolita”: il caso Horner
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Come in molte delle opere di Nabokov, è difficile scindere il discrimine tra fantasia e realtà. Lo scrittore era di certo segretamente ossessionato dal tema, come ci rivelano alcuni scritti precedenti, ma la scintilla che gli fece iniziare il manoscritto di Lolita fu un fatto di cronaca realmente accaduto. Si trattava del caso Horner che, negli anni Cinquanta del Novecento, vide imputato un uomo di mezza età che aveva rapito una ragazzina non ancora maggiorenne portandola con sé on the road attraverso gli Stati Uniti. La giovane, all’epoca del principio dei fatti appena undicenne, era Sally Horner e l’uomo che la rapì si chiamava Frank La Salle. Nella realtà il caso si concluse, sempre che sia possibile dirlo, con un finale migliore rispetto al libro: Sally riuscì a salvarsi, dopo ventuno mesi di abusi, confessando la verità a una vicina; mentre Frank La Salle fu arrestato e condannato all’ergastolo. La giustizia trionfò; ma il destino ci mise lo zampino ponendo comunque alla storia un epilogo tragico: Sally Horner morì giovanissima, un paio di anni dopo, coinvolta in un incidente d’auto. Un destino analogo, anche se solo in parte, tocca anche alla Lolita del libro.
Vladimir Nabokov non ammise mai di essersi ispirato al caso Horner, anche se le similitudini sono evidenti; inoltre alcuni amici dello scrittore narrano quanto fosse coinvolto dalla vicenda, mentre, proprio in quegli anni, era impegnato nella stesura del misterioso manoscritto. L’autore stava attraversando un periodo di crisi creativa e il fatto di cronaca sembrò suggerirgli uno spunto, forse risvegliando fantasmi sopiti da tempo nel suo immaginario.
Nel romanzo, ovviamente, il genio di Nabokov complica le cose, perché non ci sta narrando un caso di cronaca, ma la storia di un’ossessione (quanto avesse di autobiografico, impossibile stabilirlo, ma l’insistenza sul tema nei suoi scritti alimenta dei dubbi a riguardo: forse un’ossessione segreta?) e ci pone nella mente del rapitore, ovvero il professor Humbert Humbert.
Nelle pagine di Lolita scopriamo un uomo intelligente, lucido, professore di letteratura francese, addirittura un fine intellettuale, tra l’altro perfettamente consapevole del proprio desiderio malsano e patologico per una ragazza-bambina.
La percezione della giovane viene filtrata esclusivamente attraverso il suo sguardo; non ci vengono mai svelati i pensieri di lei, abbiamo contezza solo di quelli di lui. Lei è viene vista unicamente come un oggetto del desiderio.
Non possiamo sapere fino a che punto la storia di Sally Horner abbia influenzato la creazione del personaggio di Dolores Haze, alias Lolita. Però possiamo entrare nella mente di Nabokov, riflettere su come lo scrittore si sia identificato - in maniera straordinaria, tanto da apparire inquietante - nel rapitore. La letteratura, del resto, ci offre svariati esempi di grandi autori che svilupparono passioni malsane per delle ragazze-bambine: pensiamo all’Alice di Lewis Carroll, o a Virginia, la moglie bambina di Edgar Allan Poe.
Il libro dell’autrice canadese Sarah Weinman, pubblicato da Knopf nel 2018, The Real Lolita: The Kidnapping of Sally Horner and the Novel that Scandalized the World, sostiene la tesi secondo cui il caso Horner sia stato l’ispirazione all’origine di Lolita.
Nabokov era il vero Humbert Humbert?
Nella realtà, naturalmente, Vladimir Nabokov era un uomo rispettabile, uno scrittore di fama, un intellettuale, un uomo sposato con una donna che si sarebbe gettata nelle braci ardenti pur di difenderlo. Era anche padre di un bambino, Dmitri, che ne avrebbe curato l’eredità letteraria. Niente a che vedere con il suo protagonista; l’ossessione, tuttavia, torna nei suoi scritti con un’intensità sconcertante. Forse l’uomo Nabokov, come il suo protagonista, aveva avuto un trauma giovanile?
Nel libro si narra che Humbert Humbert fu sconvolto dalla morte della ragazzina di cui da giovane era innamorato, Annabel Leigh (il nome pare sia ispirato alla Annabel Lee di Poe), il suo primo amore: lo spettro di Annabel ritorna nella metamorfosi della pre-adolescente “Lolita”.
La letteratura non è realtà: questo il grande, l’eterno mistero, la grande narrazione del “possibile” che nutre la creazione artistica. Con la scrittura di Lolita, Nabokov aveva reso visibile un lato oscuro, nascosto, della perversione umana mettendolo nero su bianco: senza condannarlo né assolverlo, semplicemente decretandone l’esistenza.
La presunta verità narrativa svanisce dinnanzi alla prorompente forza letteraria dell’incipit, una dichiarazione d’amore viscerale, totalizzante, che svela il lato più irrazionale della passione:
Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi. Mio peccato, anima mia.
Ancora oggi Lolita è considerato un romanzo controverso: l’epoca del MeToo lo ha condannato senza troppi preamboli, definendolo una storia di violenza e di stupro. Un vero e proprio “scandalo”. Ci si è perfino interrogati sulla questione chiedendosi se, in tempi recenti, il libro di Nabokov avrebbe trovato un editore: ma non è certo questo il problema, perché a ben vedere non lo trovava neppure nel 1960, lo testimonia la crociata di Vera Nabokov.
L’argomento era (e rimane tuttora) divisivo, sebbene i tempi siano mutati: il libro non rientra certo nel categoria, oggi imperante, del “politicamente corretto”, finisce nel mirino della cancel culture ma lo salva, in parte, il suo status di capolavoro. Il movimento femminista non ama Lolita, né la visione ambigua e provocante che il protagonista propone della ragazza. Tanto che la parola “Lolita”, negli anni, si è guadagnata uno status linguistico a sé stante venendo a descrivere un peculiare tipo umano: l’adolescente precoce che suscita desiderio negli uomini maturi, da qui la definizione di “essere una Lolita”.
È anche vero che noi vediamo Lolita, la troviamo descritta esclusivamente attraverso la lente del desiderio maschile: lo stesso nome le viene dato, non è un nome reale. Ma questo non è un limite, anzi, forse è proprio la forza della narrazione stessa.
Leggere “Lolita” ai tempi del “MeToo”
La letteratura, in fondo, non ha il compito di promuovere ruoli nobili o personaggi irreprensibili dall’elevata forza morale, ma di favorire l’empatia: nelle pagine Nabokov riesce a farci empatizzare con il personaggio meno morale della vicenda. Sarebbe stato più facile, dopotutto, assumere il punto di vista della ragazzina; ma non era quello l’intento, Vladimir Nabokov era un grande narratore, non voleva comporre una bella storia edificante, ma calare i lettori nell’incubo, nel buio, nel baratro del dubbio, che è proprio ciò che la vera letteratura si propone di fare sin dall’inizio dei tempi.
La realtà, proprio come la fine letteratura di Nabokov suggerisce, è più complessa: Lolita rimane un capolavoro proprio per le sue mille sfumature, per le sue molteplici chiavi di lettura. Il libro va oltre i minimi termini della trama, scava nelle insidie morali, nell’oscurità della mente umana che non è mai lineare e dogmatica come lo è l’ideologia. Da una parte c’è la morale, dall’altra c’è Lolita, che va ben oltre i confini di giusto e sbagliato e ci costringe a porci la fatale domanda: quello che Humbert Humbert (H.H.) prova per Dolores è amore? Quali confini ha l’amore?
Non si tratta di un’opera romantica, ma di una storia ossessiva, oscura, quasi patetica, un dramma dalle sfumature a tratti persino comiche; però è anche vero che nell’amore domina sempre un sentimento oscuro. Il protagonista è consapevole della sua lucida follia, della sua perversione, cionostante continua ad amare “tormentosamente” la giovane. Da un certo punto di vista sembra che Lolita ci narri l’amore attraverso il suo fallimento: questo è chiaro sin dall’incipit.
Rimane impossibile, leggendo il capolavoro di Nabokov, distinguere chiaramente i ruoli di vittima o di carnefice, non empatizzare con l’ossessione amorosa del protagonista, non lasciarsi trasportare dalla follia di un amore morboso, sbagliato e, a tutti gli effetti, condannabile, dunque indicibile. Nabokov, però, lo ha reso dicibile tramite l’artificio letterario: ancora oggi da lettori ci chiediamo, pur sapendo bene che si tratta di un’opera di finzione, se il vero Humbert Humbert fosse lo scrittore stesso. Questa è la prova inequivocabile di un romanzo riuscito.
Lucidamente condanniamo Lolita, la visione distorta e morbosa del suo protagonista-narratore; eppure non possiamo fare a meno di soccomberle. Senza dubbio Nabokov con questo libro ci ha donato la sua migliore lezione di letteratura.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Vladimir Nabokov, il vero volto dell’autore di “Lolita”
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