Nella recente serie Netflix di Mike Flanagan La caduta della casa degli Usher, ispirata ai racconti di Edgar Allan Poe, vengono citate di frequente poesie dell’autore che sono state inserite nella trama come parte naturale della sceneggiatura.
Una di queste è Annabel Lee (1849), che dà il nome anche a uno dei personaggi della storia, la moglie di Roderick Usher.
She lived with no other thought
Than to love and be loved by me.
“Lei viveva senza altro pensiero se non quello di amare e di amarmi”, così recita il giovane e innamorato Roderick alla moglie Annabel, parlandole di un amore invidiato persino dagli angeli. Nella serie di Flanagan la poesia si ripete spesso, come un ritornello costante, un sottofondo malinconico, ed è lo stesso protagonista ad arrogarsi il vanto della composizione; nella realtà non è così, è una chiara citazione.
Si tratta di una delle ultime poesie di Poe, scritta nel maggio del 1849 e pubblicata soltanto dopo la morte dell’autore avvenuta quello stesso anno, nel mese di ottobre, in circostanze misteriose.
Nel componimento Edgar Allan Poe riprende un tema cardine della sua poetica: la morte di una donna bellissima avvenuta in giovane età. Il nome di Annabel Lee ritorna in una costante ripetizione anaforica, che fa rima con la sua bellezza. L’io lirico sembra essere ancorato a quel nome, che ripete come una formula magica, forse nel tentativo impossibile di esorcizzare il sortilegio della morte e riportarla in vita.
Sapete chi era la vera Annabel Lee? Vediamo più nel dettaglio testo e analisi della poesia e chi era la musa ispiratrice di Poe.
“Annabel Lee” di Edgar Allan Poe: testo
Molti e molti anni or sono, in un paese
vicino al mare,
viveva una fanciulla che chiamare
solo oserò col nome d’Annabel Lee
ed in sua vita, quella
non ebbe altro in pensiero, altro nel cuore,
che il suo amore per me, ed il mio amore.Ed ella era una bimba e un bimbo ero io
allora, in quel paese presso al mare.
Ma il nostro amore, d’Annabel e il mio,
fu più che amore,
tanto che gli stessi angeli di Dio
ne invidiarono l’ardore.E questo fu il perché, tanti e tanti anni
or sono, in quel paese
vicino al mare
prese ad imperversare
un vento da una nuvola, e sorprese
ed aggelò la dolce mia Annabel Lee
così che i suoi parenti più anziani
se la vennero, un giorno, a portar via,
per rinchiuderla dentro una novella
tomba scavata ai margini del mare.Gli angeli in cielo men di noi beati
ci avevano spiati,
e questo fu il perché (tutti lo sanno
ancora in quel paese
vicino al mare)
un vento di malanno
una notte da un nuvolo discese
e abbrividì, e uccise la mia bella
Annabel Lee.Ma l’amor nostro fu più forte assai
dell’amor d’altri, savi più di noi,
più vissuti di noi;
e dall’alto del ciel gli angeli mai,
o i demoni dai baratri del mare,
potranno separare
l’anima mia da quella
della mia dolce e tenera Annabel.Perché non splende mai raggio di luna
che non mi rechi un sogno d’Annabel
e non appare stella
ch’io non scorga brillar nell’aria bruna
gli sguardi d’Annabel Lee.E ogni notte così, vengo a sognare
presso la mia diletta, la mia vita,
la mia sposa assopita,
in quel sepolcro al margine del mare
nella sua tomba sul sonante mare.
Chi era la vera Annabel Lee di Edgar Allan Poe
Dietro la figura incorporea di Annabel Lee, una sorta di sirena mitologica definita dalla sonorità liquida di vocali e consonanti, si cela in realtà una persona in carne e ossa.
Una leggenda del South Carolina narrava di un marinaio che incontrò una donna di nome Annabel Lee: costei sembrava venuta dal mare e lui se ne innamorò perdutamente. Questa storia influenzò forse l’ambientazione marina del componimento, ma secondo i critici nella composizione di questi versi Edgar Allan Poe fu ispirato dalla morte prematura della moglie Virginia Eliza Clemm.
Dunque, dietro l’affascinante figura di Annabel si nasconde il triste destino di Virginia, la moglie-bambina di Poe.
Lo scrittore del mistero aveva sposato la cugina, nel 1836, quando lei aveva appena tredici anni e lui ventisette. Pare che l’unione precoce fu fortemente incoraggiata da ragioni economiche, poiché la famiglia di Virginia - dopo la morte del padre William, un commerciante - versava in cattive acque e accumulò vari debiti.
Dal canto suo Poe era più che favorevole, anche se non si sa con esattezza quando iniziò a provare interesse per la cugina. L’unica cosa certa è che la data di nascita di Virginia fu falsificata sul certificato matrimoniale per motivi burocratici: dalle carte risultava, infatti, che la ragazza avesse ventuno anni. La cerimonia avvenne in gran segreto nella Old Christ Church di Baltimora.
Dalle lettere di Edgar Allan Poe, pubblicate di recente da il Saggiatore con la curatela di Barbara Lanati, si evince che lo scrittore si batté con tutto sé stesso per sposare Virginia. Dal carteggio con la zia Maria Clemm - madre della giovane - emerge tutta la sua gelosia nei confronti di un giudice di Baltimora, Nelson, intenzionato a prendere la mano di Virginia. Il ventenne Edgar non risparmia i toni dolenti, afferma senza grandi giri di parole che questa decisione “gli si spezzerà il cuore”. Il dramma sortì i suoi effetti perché Poe riuscì a sposare Virginia nel mese di settembre di quello stesso anno.
Nonostante le bizzarre circostanze della loro unione, il matrimonio fu un’unione felice secondo quanto riportano i biografi di Poe. I due innamorati si chiamavano con i vezzeggiativi di “Eddy” e “Sissy” e non dormirono assieme fino al compimento del sedicesimo anno di lei. Edgar Allan Poe era pazzo di Virginia: si premurò di darle un’istruzione completa, inoltre le faceva svariati regali e assecondò la sua passione per il pianoforte e gli strumenti musicali, donandole persino un’arpa perché potesse esercitarsi a suonare. Proprio mentre suonava il piano in salotto Virginia ebbe il primo accesso di tosse, rivelando la malattia che l’avrebbe presto consumata: la tubercolosi, all’epoca incurabile.
Sarebbe morta il 30 gennaio 1847, a soli ventitré anni. La sua scomparsa fu il grande dolore della vita di Poe, lo condusse quasi alla pazzia. All’amore per Virginia Clemm sono dedicate alcune delle più belle poesie di Poe, tra cui The Raven (Il corvo) e la bellissima Annabel Lee, in cui l’autore parla di un amore capace di sopravvivere persino alla morte, poiché la sua anima non si dividerà mai da quella dell’amata.
“Annabel Lee” di Edgar Allan Poe: analisi e commento
A fare la fortuna della poesia Annabel Lee è soprattutto l’atmosfera sospesa, quasi onirica, nella quale Poe ci immerge. Parla di un “regno vicino al mare”, “a kingdom by the sea”, evocando un’ambientazione fiabesca nello stile del “c’era una volta, tanto tempo fa”.
Nel tono della fiaba è da intendersi anche quella regressione all’infanzia cui l’autore fa riferimento: “ella era una bimba e un bimbo ero io”. L’amore appartiene alla giovinezza della vita, appare inscindibile da essa, questo era quanto Edgar Allan Poe aveva sperimentato sulla propria pelle. La morte della giovanissima moglie, sposata ancora bambina, lo aveva gettato in uno stato di profonda prostrazione, rivelandogli lo stato immutabile del dolore che è quanto di più simile alla morte in vita.
L’inizio fiabesco del poema crea un’atmosfera che viene tuttavia disattesa dal finale: non c’è nessun “vissero per sempre felici e contenti” alla fine; o forse sì?
A definire il componimento di Poe, soprattutto nell’originale inglese, è la peculiare sonorità che l’autore riesce a dare alle parole tramite le allitterazioni: a tratti sono leggere e ariose, a tratti oscure e profonde, in ogni caso domina la ripetizione del nome Annabel Lee, sonante come la melodia di un carillon e come lo scroscio di un’onda marina.
Se nella poesia Il corvo attraverso la ripetizione dell’oscuro termine Nevermore (“Mai più”, Ndr) veniva presentato l’enigma doloroso della morte, ecco che con Annabel Lee si celebra qualcosa di non meno misterioso e indefinibile, ma di indicibilmente consolatorio: l’eternità. Il dolore senza fine provato da Poe trova una forma di consolazione nell’unione estrema rappresentata dalla morte, motivo per cui la tomba viene qui paragonata, attraverso una metafora, al talamo nuziale.
Il finale appare oscuro e macabro, eppure consolatorio. Ecco che il misterioso “regno vicino al mare”, rappresentato da una natura estrema e ambivalente - a tratti spaventosa, diventa una sorta di metafora del paradiso o di un mondo ultraterreno: un luogo in cui il narratore e la sua amata potranno restare insieme per sempre, e in cui il loro amore può continuare a vivere.
Quello creato da Edgar Allan Poe, del resto, non poteva essere un paradiso luminoso, divino, fatto di angeli cherubini e arpe: al contrario, in questa poesia gli angeli sono i nemici che con la loro invidia uccidono l’amore; e l’eternità ha l’aspetto oscuro, torbido, dell’abisso marino, in apparenza così lontano dal cielo, e che pure ne rappresenta il rovescio complementare.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Annabel Lee”, chi era la donna della poesia di Edgar Allan Poe citata ne “La casa degli Usher”
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