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Recensioni di libri

Villette di Charlotte Bronte

Nel suo ultimo, illuminante romanzo pubblicato nel 1853, due anni prima di morire, Charlotte Brontë racconta il viaggio e la maturazione interiore di un’antieroina, Lucy Snowe. Il romanzo è ripubblicato nel 2013 da Fazi.

Alessandra Stoppini
Alessandra Stoppini Pubblicato il 04-01-2014

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Villette

Villette

  • Autore: Charlotte Brontë
  • Categoria: Narrativa Straniera
  • Casa editrice: Fazi

“... sarei andata a Villette. Sapevo che stavo afferrandomi a dei fuscelli, ma nell’oceano immenso e periglioso in cui mi trovavo, mi sarei afferrata anche a una ragnatela”.

Nel suo ultimo, illuminante romanzo pubblicato nel 1853, due anni prima di morire, Charlotte Brontë racconta il viaggio e la maturazione interiore di un’antieroina, Lucy Snowe.

“Prima di pronunciarti sulla sconsideratezza della mia condotta, lettore, guarda il punto da cui ero partita; considera il deserto che avevo lasciato, nota quanto poco fossi esposta al pericolo: il mio era un gioco in cui il giocatore non poteva perdere, e forse poteva vincere”.

Nell’Inghilterra vittoriana della metà dell’Ottocento una giovane donna orfana e senza protezione, sprovvista di mezzi di sussistenza, attraversava la Manica per sbarcare nel Vecchio Continente. Nell’immaginaria città cosmopolita di Villette, presumibilmente Bruxelles, con l’unica ambizione di rifarsi un’esistenza, anzi “un’altra vita”, Lucy che non era né bella, né possedeva doti particolari e non cercava l’amore avrebbe compiuto la propria educazione sentimentale che non si sarebbe conclusa con il classico finale rosa: il matrimonio.

Nell’introduzione Villette: il naufragio del desiderio di Antonella Anedda (nell’edizione 2013 pubblicata da Fazi), la poetessa/saggista precisa che Charlotte Brontë aveva redatto il romanzo “lentamente, nella fatica che segue la morte”. Infatti in soli otto mesi l’autrice aveva visto morire il fratello Branwell nel settembre del 1848, le sorelle minori, prima Emily nel dicembre successivo e poi Anne (il 28 maggio 1849). Charlotte era ritornata nella vecchia canonica di Haworth nello Yorkshire in compagnia dell’anziano padre Patrick quasi insensibile al dolore perché sopravvissuta a lutti dolorosissimi. Anche Charlotte sarebbe morta prematuramente alla fine del 1855 fresca e felice sposa del reverendo Arthur Nicholls dal quale aspettava un figlio. Il libro ripubblicato dalla casa editrice romana dopo la prima edizione del 1996 accompagnato dalla bella traduzione di Simone Caltabellota,

“nasce da questo intreccio di lotta e rassegnazione, di debolezza e di coraggio”.

All’interno dell’abitazione che l’aveva vista nascere spazzata dai venti della brughiera, “le tombe poco distanti dalla casa”, una delle maggiori personalità della letteratura inglese dell’Ottocento aveva creato un personaggio moderno, autobiografico (la Brontë nel 1842 si era recata a Bruxelles insieme a Emily per studiare francese e si era innamorata non corrisposta del Professor Costantine Héger) dal nome “freddo”. Così aveva deciso la stessa Charlotte, il cui “freddo” qui rappresentava “il freddo paziente dell’inverno, la capacità dell’attesa”. Miss Snowe nella città belga avrebbe trovato lavoro, dapprima come bambinaia e maestra d’inglese presso il Pensionnat de Mademoiselles diretto da Madame Beck. In seguito Lucy avrebbe inaugurato con successo un suo pensionnat che le avrebbe garantito la sicurezza economica ma non avrebbe sposato il Professor Paul Emanuel il cui amore era fondato sul rispetto, sull’amicizia e sul lavoro quotidiano. “Il segreto del mio successo non stava tanto in me, nelle mie doti o nella mia energia, quanto nel nuovo stato delle circostanze, nella mia vita meravigliosamente mutata, nel mio cuore rinato”. Se l’istitutrice Jane Eyre, protagonista del primo celebre romanzo della Brontë, otterrà un adeguato risarcimento sociale e sentimentale sposando Rochester, non sarà così per Lucy Snowe “anima vecchia” preda di una lucida “angoscia senza consolazione”. Come “il naufragio interiore” di Charlotte aveva causato la genesi di un libro che Virginia Woolf aveva definito come “il romanzo più bello della scrittrice”, allo stesso modo una burrasca novembrina sull’Atlantico avrebbe segnato il destino di una donna determinata, educata alla perdita, comprensiva dell’insignificanza “del proprio dolore nel mondo” e dell’”inutilità del lamento”.

“Di notte gela; novembre ci ha mandato le sue nebbie in anticipo; il vento emette il suo gemito autunnale; ma... egli sta arrivando”.

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© Riproduzione riservata SoloLibri.net

Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Villette

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Commenti: 1

  • Patrizia Falsini
    25 agosto 2018, 09:02

    E’ il romanzo più maturo della scrittrice, pieno di avvenimenti e di personaggi. L’autrice ha sicuramente raggiunto la piena maturità stilistica. non c’è nulla di superfluo, anche l’ultima parte che sembra cedere al romanticismo più deteriore è ben condotta.

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