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Recensioni di libri

Tralummescuro. Ballata per un paese al tramonto di Francesco Guccini

Giunti, 2019 - Un libro che ricorda suoni e tempi passati, momenti in cui Pàvana, paese caro a Guccini, era viva e laboriosa.

Mario Bonanno
Mario Bonanno Pubblicato il 27-09-2019

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Tralummescuro. Ballata per un paese al tramonto

Tralummescuro. Ballata per un paese al tramonto

  • Autore: Francesco Guccini
  • Categoria: Narrativa Italiana
  • Casa editrice: Giunti
  • Anno di pubblicazione: 2019

Scheda e prezzo libro:

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Più che nei pugni chiusi e nel “trionfi la giustizia proletaria” della sua Locomotiva, Francesco Guccini si rintraccia in parole come queste:

Ancora qui a domandarsi e a far finta di niente/ come se il tempo per noi non costasse l’uguale/ come se il tempo passato ed il tempo presente/ non avessero stessa amarezza di sale.

Guccini sta al dubbio come gli slogan al cantautorato politico, a cui non appartiene. Le parole di Francesco Guccini sono di caratura spessa e sono un fiume carsico. Straripano. Discendono. Rimano. Si impennano e poi precipitano. Una slavina di linguaggi e radici: dall’Appennino ai gomiti di una città “bastardo posto”, capoversi delle innumeri declinazioni relative a “questa cosa che chiami vita”. Per dirla come Vecchioni in un suo saggio, “Francesco Guccini è un canta-dubbi”. Oltre a essere uno scrittore tout court, aggiungo io. Uno scrittore senza altri aggettivi: le locuzioni che usa sono gravide come il Limentra quando è in piena (per citare un fiume a lui caro), e attraverso la fabula la sua biografia si fa materia narrativa. Impastoiata col ricordo e l’epos individuali, come con le storie con dentro “bossoli e marines”, eco di Salgari, Sallinger, Gozzano, Guareschi e persino Montale. Con il mito di lontane derivazioni banditesche e ancora con la fame nera del dopoguerra, coi partigiani, il Sessantotto e svariati altri sogni eventuali. Rileggere (per credere) i romanzi firmati in proprio (cioè i romanzi non-gialli, scritti senza il contributo di Loriano Macchiavelli) Croniche epafàniche, Vacca d’un cane e Citànova blues, prima di questo Tralummescuro. Ballata per un paese al tramonto (Giunti, 2019), che è Pàvana, naturalmente.

Dissimili scenari, stesso passo inesausto da podista. Nemmeno si trattasse del ciclo del Corsaro Nero, o di un romanzo d’appendice: quasi come Dumas, per rifarmi al titolo di un suo disco. Ciò che le canzoni non dicono, o meglio: dicono ma costringono dentro ai pollai della metrica, in Guccini scrittore è sciorinato copiosamente. Prosa odisseica in tutto e per tutto. Romanzi-ballate in forma muscolare, enfia di soffuse aritmie e luoghi dello spirito: Pàvana (di nuovo), in primo luogo. La montagna incantata dell’Appennino tosco-emiliano in vece dell’immaginifico Qatar. Retaggio del mondo com’era una volta e come oggi non è più.

C’erano certe notti buie, ma così buie che sembrava d’entrare in culo. Tolte certe sere d’estate a luna piena, quando tutto brillava d’argento e ci vedevi quasi come di giorno ma più magico, più misterioso, ombre lunghe come fantasmi che ti incutevano un certo tremore, di solito c’era buio, non lampioni stradali, non luce nelle case col riflesso nel vetro della luce azzurrina del televisore, c’era buio fitto, e per girare di notte dovevi avere una lanterna.

Questo è dunque il succo di "Tralummescuro" (cioè tra luce e buio), ennesimo librone gucciniano poggiato sulla soglia di passato (soprattutto) e presente. Da un lato la noumenica declinazione della memoria, dall’altro un’attualità senza più maiuscole né stupefazioni. Anche in queste pagine, il Guccini prosatore antimoderno se la vede con stati d’animo sottili e col tempo: tra elegiache reverie e il malinconico abecedario di cose perdute, torreggiano sulla cronaca, in Tralummescuro. Ballata per un paese al tramonto, luoghi, persone, mestieri, ideali, persino flora e fauna, della Pàvana che fu, un po’ posto delle fragole un po’ Macondo. In una lingua fiammeggiante (seppure controllata), commista col dialetto di quelle parti, Francesco Guccini dà alle stampe il suo ideale testamento ontologico.

Il nostro era un dialetto povero, di gente povera, però era usato quotidianamente per comunicare notizie, emozioni, dichiarazioni d’amore, odio, lite. Lo si parlava in famiglia, mangiando, dividendo i compiti che ciascuno aveva nella giornata. Il dialetto ti fasciava, ti avvolgeva, nominava le cose che ben conoscevi, la tua famiglia, i tuoi amici, i tuoi animali, le tue piante, con nomi diversi e paralleli a quelli della lingua italiana.


© Riproduzione riservata SoloLibri.net

Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Tralummescuro. Ballata per un paese al tramonto

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