Proust. I colori del tempo
- Autore: Marcel Proust Eleonora Marangoni
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Feltrinelli
- Anno di pubblicazione: 2022
In occasione del centenario della morte di Marcel Proust, Feltrinelli porta in libreria la nuova edizione di Proust. I colori del tempo di Eleonora Marangoni, un saggio appassionante che ci mostra una nuova chiave di lettura della Recherche attraverso le sue sfumature cromatiche.
La scrittrice romana, studiosa specializzata nell’opera proustiana, dimostra che un capolavoro cardine della letteratura mondiale del Novecento come Alla ricerca del tempo perduto non è un “mostro sacro” di difficile approccio (data la mole) e di celebrata complessità, ma una lettura alla portata di tutti nella quale ciascun lettore può trovare un riflesso del proprio sguardo.
L’autrice articola la sua geniale “guida di lettura” attraverso i colori che danno il titolo ai diversi capitoli: Giallo, Blu, Viola, Rosso, Il non- colore, Il Bianco e infine il Nero.
Parola e immagine si fondono in queste pagine per mostrarci un nuovo livello di profondità che è reso possibile solo attraverso la lente di ingrandimento inedita dell’arte. I capitoli della monumentale Recherche, costruita e cesellata in ogni dettaglio dal suo autore come una cattedrale, sono stati analizzati da generazioni di studiosi in dissertazioni minuziose, ma nessuno si era soffermato su un particolare: la sconfinata galleria di immagini dipinte racchiuse nell’opera. Proprio come i riflessi cangianti delle vetrate di una cattedrale gotica, i colori di Proust sono rivelatori e ci mostrano un universo illimitato di prospettive mutevoli come i tumulti dell’anima.
La letteratura per Marcel Proust era “un prisma” attraverso il quale la vita acquistava prestigio e splendore. Questa prospettiva Marangoni la mostra non attraverso una banale - e abusata - analisi stilistica, ma mediante una peculiare lettura cromatica.
Con acutezza critica, Eleonora Marangoni osserva che Proust per esprimere la potenza della sua prosa ricorre proprio a un colore preciso: il giallo. “Giallo” è infatti il titolo di apertura del primo significativo capitolo del saggio Proust. I colori del tempo.
Giallo è l’abito indossato da Oriane, duchessa di Guermantes, da cui il Narratore è affascinato sin dall’infanzia. Al loro primo incontro di persona Oriane indossa significativamente una “veste d’oro”; ma non solo, il colore ritorna in diversi passaggi, uno su tutti è oltremodo significativo: la morte di Bergotte.
I lettori dell’opera proustiana di certo non avranno dimenticato quel celebre “lembo di muro giallo”, che commuove e affascina, narrato nell’episodio della morte di Bergotte. Lo scrittore ormai morente ha la sua visione e afferma di aver sempre voluto scrivere con l’intensità cromatica di quel “lembo di muro giallo” immortalato nel quadro La veduta di Delft di Vermeer. La luce dorata proiettata sul lembo di muro diventa per Bergotte un indizio, ne rimane ammaliato perché quel particolare minuscolo gli rivela il senso stesso del suo mestiere - e forse, per estensione - della sua stessa vita.
Il punto, osserva Marangoni, è che nel quadro originale di Vermeer non appare alcun frammento ben visibile di muro giallo, dunque cosa intendeva dire Proust con quella metafora? Secondo l’autrice il fatto cruciale è che Proust per descrivere il proprio stile letterario non si serva di tortuosi giri di parole o similitudini lessicali, ma ricorra invece a una precisa sfumatura cromatica. Quel minuscolo lembo di muro giallo diventa quindi espressione di una “bellezza che può bastare a sé stessa”: in questo possiamo cogliere il segreto supremo della creazione artistica.
Cos’è, del resto, l’intera Ricerca del tempo perduto se non la caparbia e ostinata fissazione di un dettaglio, di una sfumatura, il tentativo inesausto di cogliere nella luce che illumina le cose un riflesso del tempo che fugge e non sarà mai più?
A chi legge pare significativo, inoltre, che lo scrittore Bergotte esali il suo ultimo respiro contemplando l’arte. Fu Proust del resto il primo ad affermare che “lo stile è visione”: in fondo, uno scrittore non pensa innanzitutto per immagini? La parola deriva dall’immagine, è la conseguenza diretta di una visione.
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Rispondendo a un celebre questionario in voga in quegli anni (che infatti avrebbe preso il suo nome, Il questionario di Proust), il giovane futuro autore della Recherche alla abusata domanda “Qual è il tuo colore preferito?” rispose di “amarli tutti”.
La verità è che per Proust i colori avevano un’importanza determinante e riuscivano a commuoverlo, a emozionarlo nel profondo. Ai lettori ora è noto che l’autore non riuscisse a prendere sonno in una stanza dalle tende troppo viola e che fosse capace di commuoversi sino alle lacrime dinnanzi al verde smeraldo di un prato, perché:
Il colore perfetto di ogni cosa commuove come un’armonia.
I colori in Proust evocano simboli, riescono a trascendere l’esistente con ancora maggior efficacia rispetto alle parole. Una figura centrale nella Recherche è, come osserva Marangoni, il pittore Elstir che rappresenta il nesso vivente con il mondo delle arti visive.
Marcel Proust in realtà non scrive, ma dipinge e Alla ricerca del tempo perduto può essere letta come un’opera cangiante dalle molteplici variazioni cromatiche. Nel tentativo di cogliere il flusso in perenne moto del tempo - che non a caso viene descritto come “un fiume incolore”- e la realtà evanescente della vita Proust si serve non di una penna, ma del pennello di un pittore in grado di creare sfumature graduali di senso e di significato. Si badi bene, nessuna scena, nessun personaggio della Recherche è mai racchiuso, definito, imprigionato in un’immagine statica. I colori rappresentano le idee, i pensieri, le ideologie, in definitiva l’aura impalpabile che circonda i personaggi e ne rappresenta l’essenza.
Se ci affidiamo ai colori e seguiamo la loro scia di sfumature, conclude Eleonora Marangoni, “troveremo la strada”: e anche la chiave di lettura essenziale della Recherche, perché il libro capolavoro di Proust deve essere letto come si guarda un quadro, come si osserva un paesaggio, e solo così potrà essere compreso in tutta la sua sconfinata, commovente e umana grandezza. Tra le sfumature dei colori è riposto il nascondiglio segreto del “Tempo”.
Citando, per l’appunto, Marcel Proust:
Se non ci fosse l’arte resterebbe l’eterno segreto di ognuno.
Tutto infine si conclude in un elogio del chiaroscuro, poiché è proprio dai “chiaroscuri del silenzio” che l’autore ha tratto l’opera, nel contrasto ineffabile tra “bianco” e “nero”. All’epoca di Proust la maggior parte delle opere d’arte non era riproducibile nella sua vera varietà cromatica: molte opere famose venivano riprodotte, diffuse e infine mostrate a un pubblico più ampio attraverso le stampe editoriali in bianco e nero.
La stanza dell’autore, come sappiamo, è “volontariamente nuda”, spoglia di ogni colore e in essa campeggia un solo quadro, Il ritratto di Thomas Carlyle di Whistler. Solo in un mondo spoglio - denudato da ogni immagine - il colore vivido avrebbe potuto farsi largo nella mente di Proust conducendolo così a comporre uno dei massimi capolavori letterari - ma non solo - dell’arte mondiale.
Eleonora Marangoni osserva che la Recherche ha lo stesso “valore impalpabile e metafisico di quel pezzettino di muro giallo dipinto da Vermeer”.
Ogni colore, conclude l’autrice di questo saggio formidabile e illuminante, ci racconta un mondo e ci svela anche il mistero ultimo, il segreto più ambito: la conoscenza dell’immortalità.
Marangoni, che possiede la stessa scrittura lirica della prosa proustiana, a un certo punto dichiara:
Per apprezzarne il valore, bisogna studiarla da vicino. Per amarla, va osservata con pazienza. Brilla di una luce modesta, ma soltanto lei regala gioia pura e, forse, l’immortalità.
La scrittrice sta parlando della Veduta di Delft di Vermeer, ma forse della stessa leggendaria Recherche che, cento anni dopo la morte del suo autore Marcel Proust, ancora non ci ha svelato appieno l’essenza inafferrabile del suo mistero e della incommensurabile sua grandezza.
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