

C’è una coincidenza di compleanni in questo scorcio di 2022 ormai prossimo alla conclusione. Il 18 novembre si celebrano i cento anni senza Marcel Proust, indimenticato autore della monumentale Recherche. Chissà come avrebbe giudicato lui, raffinato cultore del tempo, questa mania contemporanea di calendarizzare gli anniversari.
La sua Parigi gli dedica una mostra straordinaria alla Biblioteca Nazionale di Francia fino al 22 gennaio. Ma da questa parte delle Alpi il luogo che per eccellenza si lega alla poetica proustiana è senz’altro Venezia che nell’anno in corso festeggia i duecento anni di un’altra istituzione, l’hotel Danieli, casa di moltissimi intellettuali di passaggio in laguna, scrive la prima pagina della sua storia nel 1822 per merito di Giuseppe Dal Niel, il cui soprannome era appunto Danieli. L’albergo coincideva allora con il nucleo originario, palazzo Dandolo, dalla famiglia dei precedenti proprietari che diedero a Venezia 4 Dogi. Lo stesso Proust vi soggiornò nel 1900 (stando alla tesi del suo biografo George Painter, ripresa da molti). A onor del vero, alcune fonti lo vogliono ospite all’hotel Europa, noto anche come palazzo Giustiniani. Di certo c’è che lo scrittore visitò la città due volte intorno al 1900, con la madre e da solo.
Il diario di Proust delle vacanze a Venezia


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La Serenissima compare all’inizio della Recherche e nelle pagine finali del volume Il Tempo Ritrovato. Senza scomodare i sette libri della sua opera più famosa (Alla ricerca del tempo perduto, pubblicata in un unico volume, tra gli altri, da Einaudi nel 2017), è in un diario di Proust che resta testimonianza della sua esperienza veneziana (Vacanze a Venezia, pubblicato da Acquaviva nel 2007).
Nel resoconto di viaggio, Proust parla in prima persona senza trasposizioni letterarie e racconta emozioni, sensazioni. Svela molto dell’uomo.
Il viaggio, a lungo sognato, si svolge dopo un precedente rinvio.


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Lo scrittore, va detto, era maestro nelle rinunce: Parma e Firenze, pur mete ambite, non lo vedranno mai arrivare. L’abitudine e gli impegni lo fanno rinunciare a favore della rassicurante quotidianità tra Parigi e le vacanze in Normandia. Venezia è l’eccezione: la visita due volte. In valigia porta John Ruskin e il suo Le pietre di Venezia (Rizzoli, 1987): ne cura la traduzione e ne segue le tracce. Una guida che scopre subito superata perché, appena arrivato, trova la sua laguna.
Proust a Venezia
Dalla stanza del celebre albergo partono le escursioni in città. Venezia viene prima paragonata alla sua Combray, in un tentativo di familiarizzare i luoghi, subito abbandonato:
Si risaliva in gondola il Canal Grande, si guardava la fila dei palazzi, fra i quali passavamo, riverberare la luce e l’ora sui loro fianchi rosati e mutare con quelle, non come abitazioni private e monumenti celebri, quanto piuttosto come una scogliera di marmo che si costeggi, la sera, in barca, per osservare il tramonto. Così disposte ai due lati del canale, le abitazioni facevano pensare a luoghi naturali, ma di una natura che avesse creato le proprie opere con un’immaginazione umana.
Proust esplora, si perde tra calli e canali, alla ricerca della vita vera, degli abitanti, e coglie l’aspetto sorprendente della città.
E così le passeggiate, anche quelle per visite o per acquisti, erano triplici e uniche in quella Venezia dove il semplice andirivieni mondano assume simultaneamente la forma e il fascino d’una visita a un museo e di una gita in mare.
In poco più di un centinaio di pagine, c’è spazio per lo scrittore e per il turista curioso che si perde tra le calli fino a una piazza che il giorno dopo non è in grado di ritrovare, tanto da immaginarla prodotta dal sogno. E per il gossip in cui incappa chi viaggia: come la contessa sorpresa da Proust durante una cena in un albergo in compagnia di quello che tutti ritengono il marito e che invece è l’amante di sempre, un diplomatico avanti negli anni. Lo scrittore ne riporta i discorsi con brillante ironia, offrendo un saggio gustoso della sua abilità nel descrivere le abitudini dell’alta società e scusando l’indiscrezione con l’intemperanza dei due commensali che parlavano evidentemente a voce alta. Il diario ospita poi i turbamenti dell’uomo che non vorrebbe ripartire al termine del soggiorno. E gli affetti. Perché, se i luoghi della Venezia proustiana sono il Canal Grande, Piazza San Marco, San Giorgio degli Schiavoni, Rialto, è a quella finestra dell’albergo dove lo aspetta la madre di ritorno dalle escursioni pomeridiane che rivolge il ricordo più toccante:
E se, da allora, ogni qual volta io vedo in un museo un calco di quella finestra, sono costretto a fermare le lacrime, m’avviene solo perché essa, mi dice la cosa che maggiormente più riesce a commuovermi: “La ricordo molto bene, vostra madre”.
Galeotto fu l’Hotel Danieli, non solo per Proust
Volendo dar credito alla permanenza nel celebre hotel, Proust entra così a far parte di quello che idealmente potremmo chiamare il Club del Danieli: intellettuali, artisti, personaggi famosi hanno alloggiato nelle lussuose stanze affacciate sulla Riva degli Schiavoni, a due passi da piazza San Marco. E molti scrittori.


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Galeotto fu l’albergo per George Sand e Alfred De Musset (le loro Lettere d’amore sono state pubblicate nel 1999 dalla casa editrice Archinto e tradotte da Anna Morpurgo). Alloggiavano nella stanza d’angolo, la numero 10, di ritorno da un viaggio in Oriente. Soggiornarono al Danieli per mesi, tra passione incontenibile, liti furiose e tradimenti. La scrittrice, secondo il gossip letterario, ebbe una relazione con un medico veneziano abituato a trattare con la difficile clientela del Danieli, tale Pietro Pagello. Di certo la città resta nel suo cuore:
Venezia era proprio la città dei miei sogni e la realtà superò tutte le mie fantasie a ogni ora della giornata, la mattina e la sera, nella calma del sereno e nei cupi riflessi dei temporali. Amavo questa città di per se stessa ed è l’unica che abbia amato in questo modo…
Altre storie d’amore famose nate tra tappeti, lampade di Murano e sontuosi arredi sono quelle tra Gabriele D’Annunzio ed Eleonora Duse, tra Aristotele Onassis e Maria Callas. Qui soggiornarono anche Charles Dickens, Honoré de Balzac.
L’Hotel Danieli di Venezia nelle opere di Montale e Capote
L’Hotel Danieli finisce anche in una lirica di Eugenio Montale. Il poeta visita con la moglie Venezia e sottolinea a suo modo la raffinatezza degli ambienti, mettendo in versi il contrasto con la banalità di un oggetto di uso quotidiano :
L’abbiamo rimpianto a lungo l’infilascarpe, il cornetto di latta arrugginito ch’era sempre con noi. Pareva un’indecenza portare tra i similori e gli stucchi un tale orrore. Dev’essere al Danieli che ho scordato di riporlo in valigia o nel sacchetto. Hedia la cameriera lo buttò certo nel Canalazzo. E come avrei potuto scrivere che cercassero quel pezzaccio di latta? C’era un prestigio (il nostro) da salvare e Hedia, la fedele, l’aveva fatto.
(da Ossi di Seppia, Mondadori 2016).
Più prosaico Truman Capote:
Venezia è come mangiare tutta in una volta una scatola di cioccolatini al liquore
Sembra di sentire Holly di Colazione da Tiffany (Garzanti, 2019). Il Danieli di certo le sarebbe piaciuto.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Marcel Proust a Venezia: in un diario di viaggio l’ombra della Recherche
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