Notturno indiano
- Autore: Antonio Tabucchi
- Genere: Letteratura di viaggio
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Sellerio
Antonio Tabucchi raggiunge esiti di alta qualità. La materia si fa lieve e penetrante nella sua scrittura sciolta e distesa, piana e raffinata su cui aleggia un’aria di mistero. Suggestiva l’elaborazione di squarci descrittivi attraversati dal gusto del dettaglio, mentre la curiosità si insinua nella coscienza del lettore. Queste le impressioni che restano dopo la rilettura del “Notturno indiano” (Sellerio, Palermo, 1994, diciassettesima edizione): romanzo dall’andamento pressoché diaristico (lo compongono dodici unità autonome corrispondenti al numero dei capitoli), dove campeggia il motivo del “viaggio” fatto di incontri e di vedute surreali che avvengono di sera o di notte.
L’immaginario e il reale, senza che i loro confini vengano cancellati o confusi, vi si intrecciano fino a generare una mappa delle zone segrete della vita. A condurre in prima persona la narrazione è il protagonista: uomo d’origine europea che si sposta da una località all’altra in cerca del suo amico Xavier Janata Pinto, un portoghese perdutosi in India. Costui è veramente esistito? Questa la domanda che trova risposta nell’avvincente epilogo. Nel contempo, l’intento del viaggio è quello di consultare l’archivio d’una biblioteca. Sin dalle prime pagine la miseria umana è tangibile: dal quartiere delle gabbie di Bombay, popolato di donne che mercificano il proprio corpo, al Khajuraho Hotel che le accoglie come in un bordello. Dalla prostituta Vimala Sar apprende alcune notizie:
“Era una storia che lei aveva accuratamente mondato da bruttezze e da miserie. Era una storia d’amore”.
Nell’ospedale della città s’intrattiene con un medico-cardiologo che gli chiede una fotografia dell’amico per poterlo identificare. Infruttuosa la ricerca, ma rivelatrice di ogni sorta di degrado: giacigli, uomini vestiti di miseri panni, vecchi che sembrano morti, odori che danno sensazioni di soffocamento. Conversa con un devoto jainista in attesa del treno per Madras. Anche in questo paese le sorprese non mancano: incontra Margareth, la donna enigmatica, che vuole dare una realtà al suo nome, e il direttore della Theosophical Society il quale gli dice:
“Le corps humain porrai bien n’ȇtre qu’une apparence (…) Il cache notre réalité, il s’épaissit sur, notre lumière ou sur notre ombre”.
Dapprima il dialogo cade sulle poesie esoteriche di Ferdinando Pessoa; poi, gli mostra una lettera di Xavier scritta da Goa. I versi del componimento Natale, detti in inglese, segnano il momento del congedo:
“La scienza cieca ara vane zolle, la fede pazza vive il sogno del suo culto, un nuovo Dio è solo una parola, non credere o cercare: tutto è occulto”.
Sulla strada per Mangalore, il piccolo Arhant, che di umano ha soltanto gli occhi, per fare soldi legge il Karma nel passato e nel futuro: sostiene che tutto è “maya” e ha consistenza soltanto l’ “atma”, l’anima individuale. A Goa, il sogno fatto in biblioteca con il fantasma del viceré delle Indie è chiaramente la proiezione di pensieri sulla morte; a Vasco De Gama conosce l’ex postino Tommy: personaggio del tutto pirandelliano; nella spiaggia di Calangute assiste a una festa; all’hotel Mandovi incontra Christine, la fotografa della degradazione. La conversazione fra i due decritta l’enigma: il cercante e il cercato sono, in fondo, la stessa persona. Sicché, il viaggio, consentendo la riappropriazione di se stessi, perde i connotati della fisicità e diviene oriente dell’anima. Luoghi, persone, soste sono qualcosa di noi:
“nei libri succede spesso così, è letteratura”.
Notturno indiano
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