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Recensioni di libri

Dove mi trovo di Jhumpa Lahiri

Guanda, 2018 - I rapporti con la città nella quale vive, Roma mai davvero identificata, la scelta di vivere in solitudine, la difficoltà di stabilire rapporti con vicini, amici, colleghi, con un Lui sfuggente, costituiscono gli spunti narrativi su cui la scrittrice poggia le sue riflessioni.

Elisabetta Bolondi
Elisabetta Bolondi Pubblicato il 11-09-2018

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Dove mi trovo

Dove mi trovo

  • Autore: Jhumpa Lahiri
  • Categoria: Narrativa Italiana
  • Casa editrice: Guanda
  • Anno di pubblicazione: 2018

Il nuovo libro di Jhumpa Lahiri, di madrelingua bengalese, scrittrice premiatissima in lingua inglese, è il primo scritto interamente in italiano, una lingua che ama, che continua a studiare e che sente familiare dopo aver trascorso molto tempo nel nostro paese.
Il romanzo "Dove mi trovo" è costruito su 46 piccoli racconti, brevi o brevissimi, ma densi di suggestioni, di rimandi, di significati, una sorta di epifanie che ricordano in parte la celebre raccolta joyciana. Il libro si apre con un’opportuna epigrafe di Italo Svevo, un altro scrittore che aveva scelto l’italiano come lingua letteraria, avendo studiato in tedesco. Lo scrittore triestino parla del dolore connesso ad ogni mutamento di luogo di appartenenza, alla sofferenza dell’abbandono, temi di cui è permeata tutta la narrazione di Jhumpa Lahiri.

I rapporti con la città nella quale vive, Roma mai davvero identificata, una sorta di non luogo, la scelta di vivere in solitudine, la difficoltà di stabilire rapporti con vicini, amici, colleghi, con un Lui sfuggente pur se festosamente presente in diverse occasioni, costituiscono gli spunti narrativi su cui la scrittrice poggia le sue riflessioni per lo più malinconiche. Il padre morto troppo presto, alla vigilia di uno spettacolo teatrale di cui erano già stati acquistati i biglietti, è un ricordo lacerante; la madre invece, severa e dispotica con la bambina e poi l’adolescente narratrice, ora ha scelto di vivere in un piccolo paese, consumata dal tempo e dalla smemoratezza.
La vita quotidiana della voce narrante, un’insegnante poco più che quarantenne, single, viene scandita dai luoghi che frequenta: la piazza, la strada, i negozi, la trattoria, il bar, la stazione, la villa, il supermercato, la cartoleria: in ognuno di questi luoghi avvengono brevi incontri, saltuari, che nella testa della protagonista assumono significati reconditi, sconosciuti ai suoi distratti interlocutori.
La casa dove la donna vive è essenziale, spartana, e solo quando un ragazzo si mette a vendere in piazza qual che resta della casa dei genitori morti, ecco che lei acquista oggetti non necessari, ma colorati, diversi, appartenuti ad altre vite sconosciute.

Vi sono anche molti viaggi e spostamenti brevi nella storia di Jhumpa: in treno, in biglietteria, al mare in vacanza, in una casa fredda e solitaria prestata da un’amica si dipana la voluta ma sofferta solitudine della protagonista, attenta alle sfumature, ai cambi di stagione, di cielo, di atmosfere, ovunque si trovi. Frequenta una piscina, le cui corsie separate alludono alla impossibilità di incontrarsi, una psicanalista, “Ogni seduta mi sembrava l’incipit di un romanzo mai sviluppato”, un’estetista bellissima, straniera, da cui rimane imprevedibilmente turbata. Un senso di spaesamento, di mancanza di ubi consistam, un gelo interno contraddistinguono molte pagine di questo libro insolito, che definire romanzo non mi sembra del tutto convincente.
Uno degli ultimi capitoli, dal titolo significativo “Da nessuna parte”, racchiude un elenco di aggettivi che la “straniera” Jhumpa sceglie accuratamente per definire nella nostra lingua la sua reale condizione interiore, le sue difficoltà a collocarsi in uno spazio definito, la sua paura di allontanarsi:

Disorientata, persa, sbalestrata, sballata, sbandata, scombussolata, smarrita, spaesata, spiantata, straniata: in questa parentela di termini mi ritrovo. Ecco la dimora, le parole che mi mettono al mondo.

Il lavoro sulla lingua italiana fatto da questa versatile scrittrice è encomiabile e a tratti straordinario; tuttavia in alcuni passaggi ho colto una sorta di artificiosità, di poca naturalezza, mi riferisco proprio all’uso della lingua, a tratti fredda e troppo “letteraria ”, piena come è di metafore, allusioni, figure retoriche. Per essere del tutto sincera, ho adorato il romanzo “La moglie”, nel quale credo che l’autrice abbia dato il meglio della propria ispirazione.

Dove mi trovo

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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Dove mi trovo

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