Poesie francesi
- Autore: Rainer Maria Rilke
- Categoria: Poesia
- Anno di pubblicazione: 2020
Negli ultimi quattro anni di vita, Rainer Maria Rilke soggiorna a Muzot in Svizzera presso l’amica Baladine Klossowska, pittrice, dal 1922 Al 1926. In questo periodo compone 400 liriche in francese, sua seconda lingua. Sono poesie stupefacenti, di straordinaria bellezza meditativa ed estatica, nelle quali la gioia partecipe alla vita universale si affianca alla consapevolezza della morte.
La condizione di svanire insieme a tutte le cose che svaniscono è definita "minaccia" dal poeta, minaccia insita già nell’infanzia ma accettata con accenti melodiosi, cosa ancor più notevole, in quanto il poeta aveva sviluppato una malattia mortale del sangue ed estremamente dolorosa.
Si tratta perlopiù di quartine rimate delle quali Roberto Carifi, traduttore e curatore del libro Poesie francesi (Crocetti editore, p. 185, 2020) seleziona un certo numero, conservando la rima e facendone grande dono agli estimatori dell’artista.
Il libro nasce per un’intrinseca necessità, l’autore si fa "cieco e puro", cieco al proprio egoismo, con l’urgenza di esprimere la condizione umana di fronte alla fine, di fronte all’ineluttabile corrosione il corpo, ma nel contempo la sua è urgenza di cantare la felicità esistenziale proprio e nonostante ciò. Paradosso mirabile! Forse mai come qui Rilke si fa prossimo al mondo, alla natura, a ciò che è labile. Mai come qui il visibile è portato nell’invisibile, nell’interiorità, come egli già ha tentato nelle Elegie, ed è appunto questo il "morire".
Altro tema e scopo, sottolineato chiaramente da Carifi nell’ottima nota critica, è la capacità di dare dignità ontologica alle apparenze, semplicemente nominandole, perché dire è creare:
Tornare sui miei passi, fare di nuovo / - da solo, questa volta - il viaggio, dolcemente, / sostare più a lungo davanti alla fontana, / toccare l’albero, sfiorare la panca...
La dolcezza ricorre continuamente nei versi, diviene la caratteristica essenziale. L’atto creativo di natura ontologica, esprimere l’esistente, rimanda alla visione di un altro grande del Novecento, Giovanni Paolo II, anch’egli poeta, alla sua Lettera agli artisti, definiti dal pontefice "cocreatori di Dio".
Il libro è diviso in quattro sezioni: Rose, Finestre, Le quartine vallesane, Verzieri. Non si sa quale di esse sia più ammaliante.
Rose è un dialogo con il fiore materiale/immateriale, metafora del Tutto e di infinito, "suprema essenza", simile alla rosa mistica del Paradiso dantesco e alla Rosa profonda archetipale di Borges che è "infinite cose":
Rosa, tu perfetta tra le cose / all’infinito ti contieni / e all’infinito ti spandi, / testa di un corpo per troppa dolcezza / assente, nulla ti eguaglia, suprema / essenza del vagante soggiorno; / di questo spazio d’amore / dove si sparge il tuo profumo intorno.
La rosa è fedele, ineffabile, figura invisibile, paragonata a un libro; esprime
[...] quanto ci resta inafferrato, / l’ineffabile accordo di essere e niente.
La finestra con il suo spazio delimitato è perimetro di quanto vi si affaccia, crea le forme visibili, il cielo stellato e il cielo del mattino e le sue sorprese di "celeste giovinezza", la donna amata; esprime la solitudine delle finestre deserte:
"Lacrime, lacrime, lacrime pure! / Finestre cui nessuno si appoggia! / Recinto inconsolabile, / colmo della mia pioggia!"
Natura e anima sono diventate un tutt’uno inseparabile. Troviamo realizzata l’antica formula En Kai Pan, Uno in tutto, la platonica anima del mondo.
Nel finale conturbante:
All’ultima finestra / ti ho vista affacciata / e nel fondo dell’abisso / a me ti sei mostrata.
la donna, culla e tomba, è colei che alla finestra parla muta in un gesto
"dell’addio smisurato / che mi ha mutato in vento,
La natura è intima perché terra della morte. La luce e l’ombra sono giochi di un unico movimento.
Gli animali mostrano nei loro occhi "la quieta vita che dura".
"La bestia sa la paura; / ma senza esitare avanza".
Più di noi uomini, essi sono presenze divine.
Gli angeli? Gli angeli smettono di essere "tremendi" e come tutto qui è pace, essi esprimono la trasfigurazione agognata:
Per loro, la terra non sta trasparente / davanti a un cielo pieno come un corpo?
Le Poesie francesi scritte nell’altra lingua, quella delle sculture di Rodin di cui Rilke era stato segretario, pur appartenendo alla terra, sono già del mondo futuro, per il poeta già visibile e certo. Ed ecco ancora il lamento delle Lamentazioni protagoniste dell’ultima Elegia, dove i morti sono presso di noi, purtroppo presenze obliate:
"Leva un lamento, in questa terra ardente / l’oblio dei morti presso le fonti".
Tutti i versi sono anticipazioni del dissolversi e perdurare in un’altra forma, un addio e un ritorno, testamento spirituale, con la consapevolezza estrema:
"Tutti gli addii ho compiuto. Tante partenze / mi hanno formato fino dall’infanzia".
Sapendo
d’avere amato cose somiglianti / a quelle assenze che ci fanno agire.
Ciò e chi manca, lungi dal generare recriminazione, sono il dono supremo che educa serenamente alla grande partenza.
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