Con la splendida poesia Canto d’amore la voce di Rainer Maria Rilke coniuga felicemente una meditazione sull’amore, descritto come forza sovraumana che flette le anime degli amanti, con una fenomenologia di questo stesso sentimento, che si manifesta nei suoi effetti più intimi.
Con questi pochi versi, magistralmente incastonati come pietre preziose in un gioiello raro, il poeta riesce anche ad assegnare un ruolo molto particolare all’io lirico che, quasi come un soggetto trascendentale, sembra distanziarsi dall’anima stessa, per contemplarla nei suoi moti profondi.
Interprete originale della lezione simbolista, in Canto d’amore Rilke regala al lettore un’esperienza musicale, stimola soprattutto l’udito inanellando suoni e immagini, in un’opera concepita come una sintesi di musica e poesia.
Liebeslied di Rainer Maria Rilke: il testo originale tedesco
Wie soll ich meine Seele halten, daß
sie nicht an deine rührt? Wie soll ich sie
hinheben über dich zu andern Dingen?
Ach gerne möcht ich sie bei irgendwas
Verlorenem im Dunkel unterbringen
an einer fremden stillen Stelle, die
nicht weiterschwingt, wenn deine Tiefen schwingen.
Doch alles, was uns anrührt, dich und mich,
nimmt uns zusammen wie ein Bogenstrich,
der aus zwei Saiten eine Stimme zieht.
Auf welches Instrument sind wir gespannt?
Und welcher Spieler hat uns in der Hand?
O süßes Lied.
Canto d’amore di Rilke: la traduzione italiana della poesia
Come potrei trattenere la mia anima, così
che non sfiori la tua? Come potrei
elevarla al di sopra di te, verso altro oggetto?
Potessi nasconderla in un angolo
sperduto nelle tenebre;
uno strano rifugio silenzioso
che non seguiti a vibrare
se vibra il tuo profondo.
Ma tutto quello che ci tocca, te
e me insieme
ci tende come un arco
che da due corde un suono solo rende
Su quale strumento siamo tesi,
e quale suonatore ci tiene nella mano?
O dolce canto.
Canto d’amore di Rilke: come nasce la poesia
Lo spirito tormentato e nomadico di Rainer Maria Rilke lo portò a vagare per molte città della Mitteleuropa per periodi più o meno brevi: da Praga a Monaco, a Berlino, fino a Brema dove conobbe la moglie Clara Westoff che lo presentò allo scultore Auguste Rodin, di cui era allieva.
Rilke fu affascinato dalla personalità dell’artista a cui si ispirò e di cui divenne presto amico, tanto da decidere di scriverne una biografia che lo portò a soggiornare a Parigi tra il 1902 e il 1903 e, successivamente, tra il 1906 e il 1907. Fu in questo secondo periodo parigino che Rilke lavorò alla raccolta Nuove Poesie, nella quale trova posto anche Canto d’amore, composta nell’estate del 1906 a Capri.
Nella capitale francese Rilke osserva l’amico mentre lavora alle sue opere, visita il Louvre, esplora le gallerie d’arte, si perde tra la folla nei passages, tutto questo lo porta ad un avanzamento decisivo nella sua estetica: egli vive la crisi dello sguardo che si ritrova anche ne I quaderni di Malte Laurids Brigge, abbandona la ricerca della perfezione lessicale e della musicalità, concede meno all’afflato religioso delle raccolte precedenti, soprattutto smette, come io lirico, di essere il baricentro dei componimenti poetici per dare voce e spazio agli oggetti e agli altri esseri umani, come già aveva iniziato a fare nel Libro delle immagini. Si tratta, appunto, di una “poetica dell’oggetto” dove ciò che si pone di fronte a Rilke non provoca più sentimenti o reazioni nell’io lirico, smette di essere un semplice oggetto per diventare una forma colta nella sua purezza.
Canto d’amore di Rilke: analisi e significato della poesia
C’è anche una sola possibilità di imbrigliare l’anima, o di elevarla, per staccarla dall’amore che la avvince all’amata? È questa la domanda che l’io lirico si pone nei primi versi del poema, da un punto di vista alieno e impersonale, quasi fosse altra cosa rispetto all’anima stessa. La domanda, però, tradisce la vera condizione dell’amante: talmente assorbito e sopraffatto dall’amore da non riuscire a percepire altro. È proprio questo sentimento totalizzante e onnipervasivo a farlo interrogare riguardo alle possibilità di sottrarsi al legame amoroso, e a chiedersi, specularmente, se sia possibile andare oltre quell’amore, uscire dal suo dominio.
L’io lirico è, dunque, saldamente legato al tu lirico (come dimostra la ripetizione dell’avverbio “come” all’inizio delle due interrogative), da una forza invisibile ma inesorabile. L’anima stessa sembra essere a tal punto investita da questa forza da essere un’entità separata dall’io lirico, è personificata quasi avesse una volontà propria, così indipendente da suscitare nell’io lirico queste domande.
Si tratta, però, appunto, solo di domande, di ipotesi che richiederebbero, in entrambi i casi, uno sforzo (“trattenere”, “elevarla”) tale da opporsi alla volontà dell’anima stessa.
Anche il periodo successivo si apre con l’auspicio di accentuare la distanza tra l’io lirico e l’anima: il primo vorrebbe avere il pieno controllo dei suoi sentimenti, relegarli in un anfratto oscuro che fa pensare all’inconscio, il luogo dove vengono stipati i sentimenti tacitati e repressi. Questo proposito mostra il desiderio di avere una nuova libertà, ma rivela anche che, se l’inconscio è un luogo estraneo dominato dal silenzio, nella coscienza trovano posto solo quei sentimenti d’amore che, come una melodia, fanno vibrare l’anima del poeta e dell’amata all’unisono.
Le ipotesi dell’io lirico sono, in realtà, irrealizzabili, in entrambi i casi, come dimostra la forma interrogativa delle prime due proposizioni e l’aggettivo “strano”, perché l’io lirico non vuole in realtà provare nessun’altro sentimento oltre all’amore.
Il simbolismo che rimanda a questo sentimento (vv. 7-8) ci permette di visualizzarlo come una vibrazione che crea delle risonanze nell’anima dell’io lirico e in quella dell’amata, accomunati dalla profondità di questo particolare moto dell’animo.
Si giunge, allora, alla parte finale del componimento, dove la precedente distanza e differenza tra l’amante e l’amata viene risolta in un noi lirico (vv. 9-11 = “ci tocca”, “te e me insieme”, “ci tende”). L’io lirico abbandona i suoi improbabili interrogativi e perviene a una visione più chiara e profonda dell’amore, come mostra bene il simbolismo dello strumento musicale, probabilmente un violino (se teniamo presente che in molte versioni del componimento, al successivo v. 12, in luogo di Spieler, suonatore, si trova Geiger, violinista): l’amore è un arco a due corde che produce un solo suono, la medesima voce.
Le domande finali (vv. 11-12), di segno opposto a quelle iniziali perché mostrano l’impotenza dell’io lirico, lasciano intendere che l’amore sia l’effetto di un potere superiore che domina le nostre vite. Si tratta di questioni destinate a rimanere senza risposta, connotate da un senso di incertezza che lascia aperte diverse ipotesi interpretative: potrebbe trattarsi di una sfumatura mistica, di un rimando al divino, ma anche di una chiamata in causa del lettore stesso, invitato a interrogarsi sul ruolo che questo sentimento gioca nella sua vita.
Una certezza, però, chiude il componimento: la dolcezza del canto d’amore, sottolineata dall’interiezione “O”, all’inizio del verso, che testimonia il sollievo provato dai sensi.
Analisi metrica e stilistica della poesia
Canto d’amore di Rainer Maria Rilke si compone di un’unica strofa di 13 versi liberi, per la maggior parte decasillabi. Sebbene non sia presente un vero e proprio schema rimico, le rime che compaiono hanno la funzione di evidenziare un legame tra alcuni versi:
- i vv. 3, 5 e 7, presentano rime sonore di parole con più sillabe: denotano i versi che offrono all’io lirico la possibilità di agire e che, quindi, si contrappongono con i restanti versi, dove l’io lirico esprime sentimenti soggettivi;
- i vv. 2 e 6 rimano con una parola monosillabica, per rendere chiaro il collegamento tra l’anima e “lo strano rifugio silenzioso”;
- i vv. 8 e 9 segnano il passaggio dall’io lirico al noi lirico e sottolineano l’unità dell’amante e dell’amata;
- Il dolce canto è il tema che emerge via via più chiaramente, e musica e poesia si fondono nel corso del componimento: la vibrazione è resa, ad esempio, anche a livello sonoro mediante le risonanze create dalla elevata frequenza di vocali ei, e, i, ie.
Tra gli altri artifici che giocano sulle sonorità:
- l’allitterazione (v. 5 “Dunkel”, “unter…”) che rafforza il legame tra il sostantivo (“rifugio”) e l’aggettivo (“silenzioso”), in opposizione alla vibrazione di cui si parla dopo;
- le interiezioni: usate per rendere manifesti l’impossibilità di un proposito (“Ach”) e la sensazione provata (“O”);
- le frequenti proposizioni interrogative hanno lo scopo di richiamare l’attenzione sulla dimensione soggettiva e sui sentimenti;
Per quanto riguarda le figure retoriche troviamo nel componimento:
- La ripetizione (vv. 1 e 2, “Wie soll ich”) che enfatizza la forte attrazione tra le due “anime”, il fatto che l’io lirico sia ripetutamente attratto dal tu lirico come fa una forza invisibile alla quale, però, non può fuggire;
- La personificazione dell’anima che, almeno nella parte iniziale della poesia, sembra quasi scissa dall’io lirico ed avere una volontà propria che gli si oppone;
- i frequenti enjambement che, prolungando il significato di un verso nel successivo (o nei successivi), hanno qui lo scopo di rendere più evidente la scissione dell’io lirico e il dissidio interiore;
- La metafora (v. 5) che, mediante l’immagine del “rifugio silenzioso” allude all’inconscio, dove i sentimenti vengono rimossi;
- La sinestesia (v. 13) con la quale la sensazione fisica del sollievo diviene percepibile grazie all’interiezione “O”.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Canto d’amore” di Rainer Maria Rilke: analisi e significato della poesia
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