Poesie Gitanjali. Il giardiniere
- Autore: Rabindranath Tagore
- Categoria: Poesia
- Casa editrice: Newton Compton
- Anno di pubblicazione: 2010
Rabindranath Tagore, bengalese, Premio Nobel 1913 per la Letteratura, è stato forse il poeta moderno che più di ogni altro, insieme a Kahili Gibran, libanese, autore de Il profeta, ha unito strettamente l’ispirazione poetica al misticismo, alla spiritualità, alla sacralità della natura, al rapporto diretto e intimo con il Creatore, a cui egli si rivolge costantemente con devozione.
Anche l’amore terreno verso la donna sfocia nel sentimento cosmico di appartenenza e unione con il Tutto.
Sono queste le tematiche ricche di pathos del suoi due libri più importanti e più belli, Gitanjali (Canti) e Il giardiniere che Newton Compton riunisce in un unico volume, Poesie (pp. 270, 1977), più volte ristampato, con l’introduzione critica di Alessandro Bausani, cura e traduzione di Girolamo Mancuso.
Tagore è stato anche musicista, infatti ha musicato parecchie sue liriche, dimostrando la stretta parentela esistente tra i versi e la musica. Non per nulla è scritto nel Vangelo di Giovanni che In principio era il Verbo e in India (in tutto il mondo in verità) viene cantato l’Om, sillaba primordiale, concentrato di potenza, conoscenza, intelligenza e amore.
Il poeta è particolarmente amato per la sua visione gioiosa di “festa del mondo”, abbellito dai fiori, in cui è compreso e sentito anche il dolore, che non distrugge ma arricchisce di sapienza.
Affidarsi al Signore è la sua caratteristica.
"Il tempo è senza fine nelle tue mani, mio signore. / Non c’è nessuno che conti le tue ore. / Passano i giorni e le notti, / le stagioni sbocciano e appassiscono / come fiori. Tu sai attendere."
Dio attende il grande incontro consapevole con la sua creatura, l’essere umano. Il tempo è al servizio di questa comunione che riempie di pace. Ma l’uomo è indaffarato nelle cose profane, dimentico dell’Origine. Esse non nutrono, anzi impoveriscono.
Siamo troppo poveri per arrivare in ritardo. [...] Alla fine del giorno m’affretto / per paura che la tua porta sia chiusa; / e invece c’è ancora tempo.
Sono parole dedicate a chi è posseduto dal suo stesso fervore metafisico, tradotto sempre nella concretezza è anche rivelazione onirica, quasi in modo allucinatorio. Ricorda le Illuminazioni di Arthur Rimbaud. Antidogmatico e lontano da orpelli ritualistici, Tagore canta con la spontaneità di un fanciullo:
In tutti i miei dolori e le mie pene / sono i suoi passi a premere il mio cuore; / è la carezza dorata dei suoi piedi / che fa brillare tutte le mie gioie.
I Canti sono 103, Gitanjali è composto da 85 liriche. L’amore, tema dominante, non può essere posseduto o fatto prigioniero. L’artista l’ha sperimentato dolorosamente dopo la morte prematura della moglie giovanissima, di una figlia e di un figlio.
Conosce in profondità la delicatezza e il pudore innato femminile. Così fa parlare una donna innamorata:
L’amore non espresso è sacro. / Esso splende come gemme nel buio / del cuore nascosto. / Alla luce curiosa del giorno / esso sembra pietosamente oscuro.
Infine afferma l’accettazione serena della morte fisica, vista con colori forti cremisi, trionfante. C’è da sottolineare che secondo l’antica cultura indiana, l’abito di nozze delle spose è rosso.
Vieni al suono delle tue conchiglie, / vieni nella notte insonne. / Vestimi col mantello cremisi, / afferra la mia mano e prendimi. / Il tuo carro sia pronto alla mia porta / con i cavalli che nitriscono impazienti. / Alza il mio velo e guardami in faccia / con orgoglio, o Morte, mia Morte!
È il viaggio verso altre dimensioni, senza più il velo dell’ignoranza, assomiglia a uno sposalizio. La parola “Morte” è scritta in maiuscolo, a sottolineare la personificazione divina di Yama, deva che traghetta l’anima da un mondo all’altro.
“Fiore e cuore” si trovano spesso uniti, come accade anche a Umberto Saba che la in Amai la definiva la rima più antica, difficile del mondo. Le rime più semplici sono anche le più difficili, stanno oltre il banale uso di termini consueti, divenuti carichi di splendore.
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