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Storia della letteratura

“Vorrei sedermi vicino a te in silenzio”: la poesia attribuita a Garcia Lorca che in realtà è di Tagore

Il titolo originale della poesia è Canto XLI. La lirica viene attribuita al poeta spagnolo Federico Garcia Lorca, ma in realtà è stata scritta dall'indiano Rabindranath Tagore ed è contenuta nella sua celebre raccolta “Il giardiniere” (1913). Scopriamone testo e analisi.

Alice Figini
Alice Figini Pubblicato il 08-07-2023
“Vorrei sedermi vicino a te in silenzio”: la poesia attribuita a Garcia Lorca che in realtà è di Tagore

Circola in rete una poesia, Vorrei sedermi vicino a te in silenzio, attribuita al poeta spagnolo Federico Garcia Lorca. Molti leggendola avranno trovato un Garcia Lorca inconsueto e si saranno stupiti nel riscontrare un linguaggio così piano, così povero di metafore e privo del noto ritmo melodico-cantato dell’autore spagnolo.
La poesia, in realtà, è dell’indiano Rabindranath Tagore. Il suo titolo originale è Canto XLI ed è contenuta all’interno della celebre raccolta Gitanjali. Il giardiniere (1913). Non è Federico Garcia Lorca] dunque l’autore di questo componimento, ma Tagore; il che spiega perché la poesia sia introvabile nell’originale spagnolo. Infatti non è stata scritta in spagnolo e persino il testo è leggermente diverso rispetto alla versione che circola sul web.

Vorrei sedermi vicino a te in silenzio narra un sentimento che non può essere espresso e, forse, non può essere vissuto. Ma è anche e soprattutto una poesia sull’incomunicabilità. Avete presente il vecchio detto che recita “un silenzio vale più di mille parole”?, la lirica di Tagore esemplifica questo concetto e lo rende concreto attraverso un lirismo struggente. C’è un amore che non può essere detto e la frustrazione di un sentimento non ricambiato.

Scopriamone testo, analisi e commento.

“Vorrei sedermi vicino a te in silenzio” di Tagore: testo

Vorrei dirti le parole più profonde che intendo dirti, ma non oso,
per paura che tu ne sorrida.
Ecco perché mi burlo di me stesso e del mio segreto.
Derido il mio dolore per paura che tu faccia altrettanto.
Vorrei dirti le parole più vere che intendo di dirti, ma non oso:
temo che tu non le creda.
Ecco perché smentisco, dicendo il contrario di ciò che penso.
Rendo assurdo il mio dolore, per timore che tu faccia altrettanto.
Vorrei dirti le parole più nobili che io serbo per te: ma non oso
temo che tu non comprenda il loro valore.
Ecco perché ti parlo duramente e vanto la mia forza brutale.
Ti faccio del male, per timore che tu non conosca mai il dolore.

Vorrei sedermi vicino a te in silenzio, ma non oso:
temo che il cuore mi salga alle labbra.
Ecco perché chiacchiero e parlo scioccamente
e nascondo il cuore dietro le parole.
Tratto crudelmente il mio dolore
per paura che tu faccia lo stesso.
Desidero allontanarmi da te, ma non oso:
temo ti si riveli la mia viltà.
Ecco perché tengo alta la testa e vengo alla tua presenza indifferente.
Ma gli sguardi sprezzanti dei tuoi occhi mantengono vivo il mio dolore per sempre.

“Vorrei sedermi vicino a te in silenzio” di Tagore: analisi e commento

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C’è un’espressione particolarmente calzante in questa poesia “nascondo il cuore dietro le parole”, che manifesta l’atto di auto-difesa del poeta. Le parole diventano uno schermo, un rifugio, una maniera per nascondere e mascherare i sentimenti. Ma poi c’è il silenzio, che rivela le cose per quello che sono, nella loro verità ineffabile.
L’intera poesia, Vorrei sedermi vicino a te in silenzio, è giocata su questo contrasto tra il “dire e non dire”. Nel mezzo un sentimento ingombrante, che non può essere espresso, e viene occultato attraverso una forma di indifferenza sprezzante. La durezza diventa maschera granitica, fa da scudo a un sentimento fragile, protegge la sfera più intima dell’anima. Tutto è giocato sul contrasto “odio/amore” e riflette una reazione inconscia e, a ben vedere, molto umana: ti tratto con disprezzo, ti tratto con rabbia per non lasciar trasparire i miei veri sentimenti; non posso amarti e allora fingo un’indifferenza che in realtà non mi appartiene.
Tagore esprime l’incomunicabilità attraverso versi struggenti che rivelano il dramma interiore di un’anima. L’amore non corrisposto prende voce tramite lo strazio impotente di colui che disperatamente ama, e non è compreso. L’angoscia si ripete nella reiterazione della formula “ma non oso” che manifesta il conflitto interiore, lo sforzo compiuto nel reprimere il sentimento.

Le parole nascondono “il cuore”, dunque la verità intima del sentimento che improvvisamente si accende, in tutta la sua evidenza e rischia di salire - come un grido - alle labbra. Il poeta fa poi riferimento a un “dolore”, che nasce da quell’amore non corrisposto; per timore di soffrire ulteriormente si auto-infligge una sorta di punizione (“tratto crudelmente il mio dolore”) cercando di anticipare la reazione (presumibilmente di rifiuto) della persona amata.

Le parole dunque suonano come un tradimento, come un inutile frastuono che nasconde la verità delle cose, come un tentativo di occultare il battito ridondante, martellante, vivo del cuore.
La verità è nel silenzio di due sguardi che si sfiorano e dicono tutta la vicinanza e tutta la distanza possibili; le parole del cuore non possono essere dette ad alta voce, ma gli occhi sanno bene come pronunciarle.

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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Vorrei sedermi vicino a te in silenzio”: la poesia attribuita a Garcia Lorca che in realtà è di Tagore

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