Il Profeta
- Autore: Kahlil Gibran
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Feltrinelli
Per Almustafa (l’eletto di Dio) è giunto il tempo di far ritorno al suo paese d’origine e lasciare la città di Orphalese. E’ gioioso, ma nel contempo malinconico. In questo luogo ha trascorso dodici anni nella solitudine ma è stato un lume per gli abitanti, che lo considerano non un ospite ma un amato figlio e che oggi, nel giorno della sua partenza, sono venuti ad accomiatarsi e a manifestare il loro affetto.
“Ma prima che tu ci lasci questo a te chiediamo, che parlandoci tu ci dia qualcosa della tua verità. E noi la daremo ai nostri figli ed essi ai loro, cosicché non perirà.”
Egli accetta di rivelare loro i suoi insegnamenti e discorrono dei grandi temi dell’esistenza umana: amore, matrimonio, figli, dare, mangiare e bere, lavoro, gioia e dolore, delitto e castigo, leggi, libertà, ragione e passione, conoscenza di sé, amicizia, Bene e Male, piacere, bellezza, religione e morte.
“Gente di Orfalese, di cosa posso parlare se non di quello che già ora si muove nelle vostre anime?”
Il libro si conclude con un capitolo di poche pagine intitolato Sabbia e schiuma che racchiude una raccolta di detti di Kahlil Gibran.
“Sono un viaggiatore e un navigatore, e ogni giorno scopro una nuova regione nella mia anima.”
"Il profeta" di Kahlil Gibran, caratterizzato da un linguaggio poetico, risulta piacevole e avvincente, intriso di spiritualità, conduce il lettore alla riflessione e alla meditazione sull’esistenza.
La lirica di Gibran è soave ma tange con vigore l’animo.
“La fede è un’oasi nel cuore che mai sarà raggiunta dalla carovana del pensiero.”
Il profeta
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Sono decenni che il piccolo prezioso libro di poesie Il Profeta di Gibran Kahlil Gibran (edizione MiniBurRizzoli p. 103, 1993, prefazione di Gianfranco Ravasi), poeta libanese (1883-1931) viene stampato e ristampato ed è diventato un cult un must. Testo di formazione per giovani di età, adolescenti in cerca di guida quando tutti i punti di riferimento sono saltati nella cosiddetta "società liquida" dove tutto ci scivola addosso e non ha presa. Ma pure guida per giovani di ogni età, per chi non ha cessato di porre domande e di ascoltare risposte venute non da fuori ma della propria interiorità, dall’io divino presente in tutta l’umanità.
Di questo suggeritore interno socratico, demone che ammonisce e sa, abbiamo perduto il sapere. L’io trascendentale, direbbe Kant, va risvegliato. Il profeta di Gibran ne è metafora coinvolgente. Con parole dolci e soavi, sapienziali, o anche severe e conturbanti, il Maestro sa toccare le corde profonde e gli aspetti esistenziali che ci troviamo a esperire come fatti ma pure come enigmi. Tutta la realtà infatti è mistero da svelare nei suoi aspetti reconditi o inconsci.
Ed allora la gente anzi il "popolo di Orphalese" (Orphalese è il paese fantastico, lo scenario in cui si svolge l’azione del libro, il luogo intimo che tutti abitiamo) chiede a gran voce che cosa siano l’amore, il matrimonio, i vestiti perfino, il lavoro, il piacere, il dolore, la religione, la preghiera, l’amicizia, la bellezza e molto molto altro, fino a porre le eterne domande sulla morte, sulla natura del sogno, dell’Oltre...
Il profeta si fa carico del dolore fin da subito, di cui dice con visione ardita:
‹Come andarmene in pace e senza pena? Ahimè, non senza una piaga nello spirito lascerò questa città.
Lunghi furono i giorni di dolore vissuti dentro le sue mura, e lunghe furono le notti in solitudine; e chi può lasciare il suo dolore e la sua solitudine senza rimpianto?›
È il dolore il grande maestro che permette la conoscenza. Rimpianto qui ha il significato di lezione indelebile. Si parla di piaga, di ferita. Anche l’amore con la sua estasi la conosce. Egli dice:
‹Perché come l’amore vi incorona così vi crocifigge. E come per voi è maturazione, così è anche potatura. [...] Vi batterà per denudarvi. Vi passerà al crivello per liberarvi dalla pula.
Vi macinerà fino a farvi farina.
Vi impanerà fino a rendervi plasmabile.
E poi vi assegnerà al suo fuoco sacro, perché possiate diventare il pane sacro nei sacri conviti di Dio›.
L’esistenza è vista come un processo di purificazione e successiva donazione. Le parole del profeta sono rivolte a cristiani e non cristiani, credenti e non credenti, trovano un’eco, risonanza e vibrazione in ciascuno. Sappiamo come si manifesti il dolore, sappiamo come si manifesti l’amore. Forse non sappiamo ancora ciò che implicano e dove conducano i due movimenti fondamentali dell’anima. Essere "mensa di Dio" è una immagine che ricorda l’Ultima Cena del Vangelo di Giovanni.
Gibran è stato un cristiano maronita; mar in aramaico significa santo. Il riferimento specifico ad una religione nulla toglie al respiro universale del libro. Il pasto sacro è una cerimonia millenaria presente in tutte le culture, anche i riti dionisiaci lo prevedevano e Dioniso, come Noè, è scopritore del vino. Sedersi insieme a tavola implica condivisione, fratellanza, cura reciproca.
Il profeta è atteso da un nocchiero che guiderà la nave verso la vera patria, l’aldilà. Egli sta per lasciare questa terra. Qui ha avuto la rivelazione dell’eternità nei sogni, altri territori di questa patria immortale e porte verso di essa. Ha ricevuto sapienza attraverso la bellezza sparsa dovunque con somma mano di artista:
‹Popolo di Orphalese, la bellezza è la vita quando la vita toglie il velo dal proprio volto santo.
Ma voi siete la vita e siete il velo.
La bellezza è l’eternità che si contempla in uno specchio.
Ma voi siete l’eternità e siete lo specchio›.
Siamo di fronte a un testo mozzafiato. Da leggere e meditare nel silenzio. Pure da omaggiare uniti all’urlo del popolo che innalza al cielo il saluto commosso e gonfio di nostalgia e passione all’uomo che tutti amò, ‹nella passione si muove Dio› egli disse, urlo di onore a chi è pronto ad immergersi nel ‹mare immenso, madre insonne›. Mare divino senza sponde del dopo morte.
Non sarà per sempre, l’addio non è tale, è un arrivederci. Il verso finale del poema è un chiaro accenno alla reincarnazione:
‹Un attimo, un istante di riposo nel vento, e un’altra donna mi partorirà›.
I cristiani dei primi secoli credevano nella reincarnazione, fulcro centrale di tutti i misteri. Soltanto nel 325 il Concilio di Nicea condannò questo credo presente in tutto il pensiero orientale ma anche nella Repubblica di Platone.