

Moltissimo
- Autore: Margaret Atwood
- Categoria: Poesia
- Casa editrice: Ponte alle Grazie
- Anno di pubblicazione: 2021
Dopo tredici anni dalla sua ultima raccolta poetica La porta (The Door, 2007), pubblicata in Italia nel 2011 dalla casa editrice Le Lettere, e ben diciotto altri volumi di poesia (il primo, The circle game, risale al 1964), il 10 novembre 2020 Margaret Atwood ha pubblicato Dearly: New Poems, ricalcando il titolo della penultima poesia della raccolta, edita in Italia da Ponte alle Grazie, un anno dopo con il titolo Moltissimo , superlativo con il quale Renata Moretti traduce l’avverbio dearly.
Il senso per la cura – intesa nel suo significato etimologico come preoccupazione, vicinanza, presenza affettuosa – presente nel titolo originale si incarna in molte liriche della raccolta, ma soprattutto le attraversa tutte, finendo per costituirne il leitmotiv, "lo spirito animatrice": spesso legato a una sorta di primitivismo, espresso con il desiderio di tornare in un mondo dove “tutto aveva un’anima”, dove il presupposto per una comunicazione era la cura, dove “Tutto era in ascolto. Tutto era vero, ma non sempre ti amava”.
La cura si ritrova fin dalla premessa, espressa in forma di lettera rivolta alle care lettrici e ai cari lettori, che sono subito posti nella condizione ideale per la comunicazione con l’autrice. Cura significa attaccamento alla vita e alla poesia:
La poesia ha a che vedere con la sostanza dell’esistenza umana: la vita, la morte, la rigenerazione, il cambiamento; così come l’equità e l’iniquità, l’ingiustizia e a volte anche la giustizia. Il mondo in tutta la sua varietà. Il clima. Il tempo. La tristezza. La gioia.
Una dichiarazione di poetica di cui si comincia a respirare il senso nella stupenda lirica proemiale, Poesie tarde, della quale cito solo le due strofe iniziali e quella finale:
Queste sono le poesie tarde.
Quasi tutte le poesie sono in ritardo,
ovvio: troppo tardi,
come una lettera spedita da un marinaio
che arriva dopo che è annegato.Troppo tardi per essere di aiuto, certe lettere
e le poesie tarde non sono diverse.
Arrivano come via mare.
[…]È tardi, è molto tardi;
troppo tardi per ballare.
Allora, canta quel che puoi.
Accendi la luce: canta ancora,
canta: Ora.
Il canto si dispiega con accenti e ritmi molto diversi nelle cinque parti della raccolta: costituita da settantadue poesie (scelte tra tante altre scartate), che l’autrice ha composto tra il 2008 e il 2019. Tutte le poesie sono però accomunate – a mio avviso – da una dimensione nostalgica e sognatrice che si mescola alla ancora vivida sete di vita nel presente. È una dichiarazione appassionata di un’immensa riconoscenza alla vita ora sognata, vissuta, amata e ora rincorsa all’indietro; in versi che dilatano la dimensione del ricordo, della nostalgia di qualcosa che si è vissuto, ma non sempre a pieno.
La vecchiaia è molto presente in queste liriche: “[…] sono invecchiata. Sono morte persone che mi erano molto vicine”. Margaret è una donna anziana nella quale quasi non si riconosce più e che somiglia di più alla propria nonna. È dolce guardarsi indietro, non bisogna preoccuparsi di “diventare di sale”, perché si va a ritrovare quel momento che era il “tuo momento” e lo si può godere così a distanza, perché allora si era troppo occupati per accorgersene (Sale).
Anche guardando le foto dei vecchi passaporti si torna a viaggi che nemmeno si ricordano e che evocano cosa si è stati:
[…] Perché stavo andando da lì a là
a laggiù? Dio solo lo sa.
E la processione di foto di spettri
Che pretendono di dimostrare che erano me […]
(Passaporti)
E la mamma quasi centenaria che la poetessa non riesce a lasciar andare “a immergersi nella bufera di neve che le sta davanti” ci colpisce per la sua forza e la sua bellezza:
[…] Non ci sono più avventure per lei
nell’atmosfera, in questa camera
col suo letto e le foto di famiglia.Usciamo e lottiamo contro la bufera,
diceva sempre una volta. Così forse
sta lottando.
(Bufera di neve)
Parlare della vecchiaia e della morte non incute paura. Ci sono immagini di un’efficacia disarmante: la donna nella poesia La Donna di latta si fa fare un massaggio, appare come:
[…] una vecchia lattina di fagioli
donna di latta lasciata nella pioggia.
Muoversi equivale a soffrire.
Che corrosione.
Essere di latta equivale a non avere il cuore; è forse è meglio:
A me, il cuore:
è la parte che mi manca.
Ne avevo uno un tempo:
un grazioso cuscinetto di seta rossa
pendente da un nastro di sangue,
ideale per piantare spilli.
Ma ho cambiato idea.
I cuori fanno male.
E l’amore ha immagini indimenticabili:
[…] questo molesto rumore dell’amore. Questo snervante frastuono.
Questa, ammettiamolo, canzone.
(Cicale)
[…] Oh sì, L’amore,
quel demente tendone da circo rosaceo
dove la penombra usa clemenza all’esteriore,
foglia di fico per i nostri amanti,
e ci addolcisce i cervelli
e il dolore dei nostri tonfi a centro-pista.
(La vita sessuale di tutti gli altri)
La prima parte si chiude con celebrazione del vuoto:
Se non ci fosse il vuoto, non ci sarebbe vita.
Pensate.
Tutti quegli elettroni, le particelle e le altre robe
[…] niente tu, niente me.Quella stanza è elettrostatica per me da così tanto:
un vuoto uno spazio un silenzio
che racchiude una storia mai ascoltata
in attesa che io la porti via.
(Se non ci fosse il vuoto)
Nella seconda parte dominano cinismo, realismo e crudezza espressiva.
Molte le poesie dedicate alle donne, con uno spirito di sorellanza evidente. Ed echeggiano le storie di Frida Kahlo e di Cassandra. E c’è un profondo senso di abbandono, di rabbia e di dolore per le donne-sorelle volate via troppo presto, perdute per sempre, che arriva al vagheggiamento di eliminare fisicamente ogni uomo che ha ucciso una di loro e non è giusto che viva, di un uomo che per possedere un corpo di donna le ha tolto la vita. Sono i Canti per sorelle uccise: sette brevi poesie-canzoni musicate da Jake Heggie e cantate dal baritono Joshua Hopkins in onore della sorella assassinata:
Chi era mia sorella
ora è una sedia vuotae non più
è lontanaora è nulla
ora è aria.
(Sedia vuota)
In queste liriche ci sono tanti animali, molti uccelli, ma anche gufi, ragni, lupi mannari e sirene. E ci sono scenari apocalittici e c’è tutta l’impotente costernazione per lo scempio che l’uomo ha fatto della Natura: portando morte e distruzione; quella che gli uomini hanno portato alla natura. Ben nove liriche sono un grido di denuncia sullo smodato ed esorbitante uso della plastica e sulla difficoltà/impossibilità del suo smaltimento; per la poetessa, cioè, il progresso è stato soprattutto causa di problemi più seri di inquinamento e distruzione della Natura, dove i bambini, che forse non cresceranno, si ritroveranno in un mondo senza canzoni perché gli uccelli spariranno:
Oh bambini, crescerete in un mondo senza uccelli?
Ci saranno grilli, dove siete voi?
Ci saranno aster?
[…] Oh bambini, crescerete in un mondo senza canzoni?
Sena pini, senza muschio?
[…] Oh bambini, crescerete in un mondo senza ghiaccio?
Senza topi, senza licheni?Oh bambini, crescerete?
(Oh bambini)
Lo dice nella prefazione che “ci sono tanti uccelli in queste poesie […] vorrei che ci fossero più uccelli al mondo” e ci esorta a sperare insieme a lei che un giorno sulla terra ce ne siano di più.
Una voce sempre tagliente e libera, quella della Atwood, che, fino alla fine, persegue il suo obiettivo di denuncia: indignandosi, protestando e lottando senza voler imporre le proprie conclusioni, come lascia intendere nella potentissima lirica Note editoriali sull’impatto umano sul mondo, spesso devastante, nella quale l’editorialista di turno non apprezza la schiettezza e la cruda proposta di attenzione della poetessa. Infatti, appello e indignazione sono le due parole chiave, insieme al pericolo che la gente non sia lasciata libera di arrivare alle proprie conclusioni.
Mi piace concludere con alcuni versi di una poesia altrettanto potente, Il crepuscolo degli dèi:
Ora sorridiamo sempre,
sorrisi da lobotomizzati,
e il mondo frigge.Ci dispiace. Ci siamo rimbambiti.
Beviamo martini e andiamo in crociera.
Tutto quello che tocchiamo diventa rosso.

Moltissimo
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