I testamenti
- Autore: Margaret Atwood
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Ponte alle Grazie
- Anno di pubblicazione: 2019
A trentacinque anni dalla pubblicazione de Il racconto dell’Ancella, Margaret Atwood torna a parlare dell’inquietante dittatura teocratica di Gilead ne I testamenti (Ponte alle Grazie, 2019 traduzione di Guido Calza), romanzo che ne costituisce, seppur in modo non convenzionale, l’attesissimo sequel.
Sono passati alcuni anni dalle memorie di Offred, l’ancella protagonista del primo romanzo e le nuove voci che compongono la sinfonia del nuovo romanzo sono ben tre: a loro è affidato il ruolo di protagoniste narranti in prima persona quello che è accaduto dopo e presumibilmente accadrà alla fine delle circa cinquecento pagine. La Atwood si affida nuovamente alla tecnica letteraria delle memorie personali delle tre protagoniste, tre donne, completamente diverse fra loro e con ruoli differenti all’interno di Gilead, comparse già nel primo romanzo e rimaste indelebili nella memoria del lettore, fra le quali mi permetto di nominare solo la terribile Zia Lydia, per non rovinare a nessuno il gusto della scoperta.
Il ritmo è serrato, le rivelazioni sconvolgenti, le gesta epiche e la conclusione appagante, ma I testamenti, a mio parere, non riesce a reggere il confronto con il potentissimo impatto emozionale suscitato da Il racconto dell’Ancella, perlomeno non al cento per cento. Margaret Atwood si dimostra come al solito una narratrice eccezionale, ma forse questi trentacinque anni di silenzio seguiti alla storia di Offred sono serviti a far fermentare la fantasia del lettore, a creare un’aspettativa talmente grande da poter essere difficilmente soddisfatta, persino in chi, come chi scrive questa recensione, nei confini di Gilead ci era entrata solo da pochi mesi. Tutto l’orrore, le ingiustizie, l’assurdità del mondo distopico creato dalla Atwood trentacinque anni fa sembra quasi ridimensionato alla luce del furore mediatico che ha coinvolto il suo romanzo, rendendo la brama del "sapere come va a finire" un carro armato che non si ferma neanche davanti alle buste della spesa dei lettori che, loro malgrado, si sarebbero accontentati di immaginare. E allora perché lo hai letto, potreste chiedermi. Perché ci sono cose davanti alle quali è sacrosanto cedere e la letteratura è una di queste.
Fu mia madre, Tabitha, a insegnarmi a essere onesta con me stessa, il che ha qualcosa di ironico, viste le bugie che mi raccontava. A onor del vero, può darsi che fosse onesta nelle questioni che la riguardavano direttamente. Cercava - ne sono convinta - di essere il più possibile una brava persona, date le circostanze.
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Sono passati trentacinque anni: rendetevi conto di quello che ciò possa significare. Trentacinque anni e tre fortunatissime serie su Netflix. Se, nonostante tutto, l’aspettativa dietro al secondo capitolo de “Il racconto dell’ancella” era ancora così grande, può voler dire solo una cosa: che il mondo distopico evocato da Margaret Atwood nel suo romanzo è più che mai attuale, e fa più che mai paura. Razzismo, sessismo, sete di potere e di sopraffazione, purtroppo, non hanno epoca, e le situazioni che si presentano nella narrazione, per quanto, fortunatamente, ancora irreali, sono sempre un monito valido e molto concreto: non è il caso di abbassare la guardia.
Bisogna osservare, però, che questo secondo romanzo, che è allo stesso tempo un prequel e un sequel, non ha certo la forza del primo. Laddove, infatti, “Il racconto dell’ancella” era, come si conviene a un vero romanzo distopico, la denuncia di un pericoloso presente attraverso la costruzione di uno spaventoso futuro, “I testamenti” non ha quella dirompente energia evocativa: principalmente costruito per rispondere alle domande dei lettori circa il futuro di Difred e, dall’altra parte, circa l’origine di Gilead, si basa molto più sull’azione che non sulla descrizione, virando più verso il genere avventuroso, pur con una solida base di distopia ereditata dal primo capitolo.
Ci si focalizza, stavolta, sul mondo delle Zie, e in particolare sulla figura di Zia Lydia, la severissima e implacabile direttrice di Ardua Hall, impegnata a gestire e manovrare le altre Zie, spesso apertamente in rivalità come Zia Vidala e Zia Elizabeth, le missionarie Ragazze Perla, che vengono periodicamente inviate fuori da Gilead per fare nuovi adepti, e il Comandante Judd, che sembra avere come hobby quello di collezionare mogli sempre più giovani, in seguito a una “sfortunata” serie di vedovanze. Al memoriale di Zia Lydia, scritto segretamente e rivolto a un ipotetico lettore del futuro, si intrecciano le testimonianze di Agnes, diventata Ragazza Perla per sfuggire a un matrimonio imposto ma senza vera vocazione (condizione piuttosto comune) e di Jade, cittadina canadese orfana dei genitori adottivi e inviata ad Ardua Hall quale “infiltrata” dall’associazione ribelle Mayday. Mentre l’amica Shunammite prende, entusiasta, il suo prestigioso posto quale moglie del Comandante Judd, è proprio Agnes, insieme all’amica Becka, a “convertire” Jade e portarla ad Ardua Hall, favorendo inconsapevolmente i piani dei ribelli. A Gilead, però, le carte si mescolano in un mosaico di scoperte e rivelazioni che si svelano, un pezzo per volta, agli occhi del lettore. Trame, tensioni sul filo del rasoio, impalpabili costruzioni che un battito d’ali di farfalla potrebbe far crollare da un momento all’altro: tutto è organizzato dall’estrema furbizia di Zia Lydia e dal suo fitto pelo sullo stomaco: non potrebbe essere altrimenti, visto il suo passato…
Non è facile districarsi fra i nomi e le relazioni, apparenti e reali, fra i personaggi, ma l’epilogo, con la trovata dello studioso che tiene una conferenza su Gilead, è un ottimo modo di chiarire definitivamente le idee al lettore. Alcune situazioni rimangono in sospeso: se ne ipotizza la conclusione, ma… potrebbe non essere quella. E’ forse previsto un terzo libro? La curiosità ci porterebbe a sperarlo, e sicuramente stavolta non dovremmo aspettare trentacinque anni.