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Recensioni di libri

Giorni in Birmania di George Orwell

Solo recentemente parlare di colonialismo e globalizzazione è diventata una moda, con la controindicazione negativa di nascondere anche la storia.
La sfida di Orwell è scrivere un potente libro, usando le cifre stilistiche della sua letteratura.

Roberto Matteucci
Roberto Matteucci Pubblicato il 22-02-2012

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Giorni in Birmania

Giorni in Birmania

  • Autore: George Orwell
  • Genere: Classici
  • Categoria: Narrativa Straniera

« … Noi orientali non abbiamo il senso dell’umorismo, come è noto.»
«Fortunati mortali. È stata la rovina di noi tutti questo umorismo.» (Pag. 50)

La Birmania, attuale Myanmar, fu occupata dagli inglesi alla fine dell’ottocento, diventando una provincia dell’India britannica fino al 1937.
Conquisto l’indipendenza nel 1948.

George Orwell nasce a Motihari, India nel 1903.
La sua famiglia è di origine scozzese e il padre, un anglo-inglese, lavorava per l’apparato burocratico inglese.
George si trasferisce in Inghilterra per studiare e nel college conoscerà la frustrazione di essere quell’ibrido non appartenente a nessuna patria: un anglo-inglese.
Nel 1922 si arruola nella Polizia Imperiale in Birmania ed è inviato a Mandalay.
Nel 1928 si dimette e ritornerà in Europa.
L’esperienza di quegli anni nella polizia coloniale lo segnerà e nel 1934 avrà il coraggio di denunciare la situazione oscena dell’imperialismo inglese – in anticipo sui tempi – con il libro Giorni in Birmania (Mondadori, 2006).

Giorni in Birmania

Il romanzo è ambientato a Kauktada, una città della Birmania, al nord di Mandalay.
A Kauktada risiedono sette inglesi: funzionari del governo, rappresentanti delle aziende britanniche e poliziotti. Il ristretto gruppo di occidentali vive un mondo proprio, separato dal resto della popolazione. Non hanno il minimo desiderio di conoscere, di integrarsi: a loro basta mantenere il decadente orgoglio europeo, rappresentato dal quel piccolo spazio del circolo da dove, circondati, guardano con sprezzo tutto il mondo.
Sono gli anglo-inglesi, che abitano in Birmania ma sognano di essere in Inghilterra. Non potrebbero tornare nel paese natio perché sarebbero trattati come degli esclusi e derisi, eppure continuano a mantenere il loro snobismo e la loro arroganza.
L’eccezione è Flory, dirigente di un’industria di legnami.
Flory è attratto dalla cultura birmana, desidera apprendere, conoscere.
È un personaggio curioso, un lettore, un uomo colto, molto diverso dagli ignoranti connazionali.

Vicino agli inglesi svolazza un gruppo di birmani, di alta e media estrazione, i quali coltivano una profonda e genuina ammirazione per gli inglesi.
Essi aspirano un rapporto con loro, desiderano esser loro amici, essere considerati, sia pure in modo inferiore, si accontenterebbero di una minima attenzione.
Questo settore di indigeni è rovinato, incapace, complotta per una porzione di potere.
È il caso del giudice U Po Kyin, uomo corrotto, spietato, infame, che lavora nell’ombra per il desiderio inossidabile di entrare nella ristretta cerchia dei padroni.

Ci sono anche birmani onesti, lavoratori, sinceramente corteggiatori della cultura inglese, come il dottor Veraswami, amico di Flory. Si incontrano spesso e hanno dei vivaci, colti e coloriti dialoghi.
Il rapporto si capovolge: Flory esalta la civiltà birmana e deprime quella calante dei britannici, mentre il medico è profondamente e onestamente appassionato degli inglese, con una disistima per la propria nazione.

La trama è un susseguirsi di avvenimenti. Le ingannevoli trappole di U Po Kyin, l’amore di Flory per una giovane inglese arrivata da poco nel paese, la deplorevole vita del circolo. I sette inglesi manifestano senza nascondersi un odio profondo, un’animosità per i birmani. Loro vorrebbero essere il centro del mondo e avere i birmani come dei domestici passivi, da punire violentemente in caso di mancanza.
È il mondo anglo-inglese ad essere un obbrobrio umano, condannato ferocemente per il colonialismo e danni recati.

Nell’anno del libro, il 1934, pochi affrontavano coraggiosamente questi temi di uguaglianza.
Tutti si tenevano distanti, perchè censurare le colonie significava minare i vantaggi economici, temendo una catastrofe per lo status quo.
La disfatta è ineluttabile e sia Flory che il medico sono sconfitti.
I vincitori saranno i suoi compatrioti odiosi e lo spregevole U Po Kyin.
Il colonialismo prevale e potrà deturpare i paesi asiatici con il suo egoismo economico.
Nulla è tenuto nascosto da Orwell. È un pasdaran coraggioso della politica, come la sua allegoria La fattoria degli animali.

Solo recentemente parlare di colonialismo e globalizzazione è diventata una moda, con la controindicazione negativa di nascondere anche la storia.
La sfida di Orwell è scrivere un potente libro, usando le cifre stilistiche della sua letteratura.
George Orwell scrive riccamente e pomposamente utilizzando metafore e allegorie, con il grande pregio di non essere mai banali. Come i vivaci dialoghi fra Flory e il dottore:

“Ripetono le stesse cose almeno dal giubileo della regina Vittoria, dall’Ottantasette.” (Pag. 43).

Disgustato da una politica ignobile, recepisce il tradimento dei suoi connazionali, e lo dichiara, abbellendolo di metafore e di stile letterario.

È elegante nelle sue animate descrizioni. Come nella agile narrazione di una persona: “Il dottore, una figuretta bianca e nera, saltò fuori dalla soglia come un diavolino dalla sua scatola … “ (Pag. 41)

Mentre è un orgasmo leggere i suoi ossimori come: “… tanti anni di orge solitarie …” (Pag. 262).

Solo quest’ultima frase vale il prezzo del libro. Avere la capacità di unire ‘orge’ con ‘solitarie’ per descrivere il senso di abbandono in mezzo ad una confusione maniacale è un’arte consentita a una élite.

La madre di tutte le metafore è l’inglese Flory: lui è l’Inghilterra.
Da una parte ha una profonda simpatia per la Birmania, dall’altra tratta la popolazione indigena come gli altri. Ha una dicotomia fra il pensiero e la vita, proponendosi diversamente.
Quando è con il dottore si comporta come una persona cordiale, capace di esprimere l’amore per la Birmania, la gente e la cultura.
Nel privato cambia.
I suoi servi sono miseri e meschini sotto di lui.
Ha un’amante locale, disprezzata profondamente, perché lei lo umilia come uno sfruttatore e lo imbarazza per la sua patetica attenzione.
Con la sua amante, Flory si dimostra un uomo gretto e mediocre, al contrario dei suoi progressisti discorsi.
Questa è l’Inghilterra.
Non riesce, nonostante i timidi tentativi, a inserirsi e tratta gli altri come dei reietti.
La sua personalità si blocca a metà. Ritornare a casa è impossibile, perché in Inghilterra sarebbe lui il paria.
Deve rimanere, è obbligato ma non è capace di costruire il suo mondo in Birmania:

“D’un tratto aveva capito che, in fondo al cuore, era contento di essere tornato. Quel paese che odiava era ormai la sua patria, la sua casa.” (Pag. 83)

L’apatia di Flory è descritta da Orwell in modo diretto:

“… Flory si era sottratto alla guerra perché ormai l’Oriente l’aveva corrotto e non aveva voglia di lasciare il whisky, i servi e le ragazze birmane, per il fastidio delle parate e la fatica delle marce sfibranti.” (Pag. 78)

Gli inglesi sono una minoranza. Si rinchiudono dentro il loro circolo, pensando che sia l’Inghilterra. In realtà sono a Forte Alamo, assediati e incapaci di trattare con una popolazione sostanzialmente leale.

Il libro affronta altri temi. Uno diffuso in tutto il mondo: la calunnia. Il rivolo della calunnia si espande sottile ma energicamente; entra nella quotidianità fino a minare l’esistenza.

C’è poi il Myanmar, in alcuni aspetti, invariato nel tempo.
Come la descrizione della strada: centro di vita. I birmani hanno un contatto fisico con la strada. Si siedono alla mattina e iniziano a vendere l’inverosimile. Sul loro lembo di terra mangiano, giocano, socializzano.

Come nel libro La sposa birmana, ritorna la medicina tradizionale.
Il trattamento naturale è importante per il birmano, perché trova nella tradizione la sua provenienza, orgogliosa, come sono, delle proprie origini.

C’è un’attenzione per l’arte e i riti birmani.
Flory li affronta con il desiderio di penetrarvi, mentre al contrario la bella e giovane Elizabeth è nauseata, giudica barbare le loro feste.

Nel tempo la cultura birmana non è cambiata.
Nonostante le traversie politiche, le difficoltà sociali e l’errore di polarizzare un’ideologia, i birmani sono una popolazione di grande ricchezza umana: possiedono dei capolavori di arte buddista, come la Pagoda Shwedagon, e soprattutto hanno una vita sociale immensa.

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© Riproduzione riservata SoloLibri.net

Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Giorni in Birmania

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