Fra le righe. Il piacere di tradurre
- Autore: Silvia Pareschi
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Laterza
- Anno di pubblicazione: 2024
Quattro lunghi ed esaurienti capitoli compongono il saggio di Silvia Pareschi, che al titolo Fra le righe aggiunge anche l’espressione Il piacere di tradurre (Laterza, 2024). Ed è davvero un piacere leggere la passione per il suo lavoro, la traduzione di romanzi per lo più angloamericani, con la quale la scrittrice si è misurata nel corso degli anni.
Nell’introduzione al testo, l’autrice spiega l’origine della sua professione, le maestre che l’hanno aiutata e incoraggiata, Anna Nadotti e Marisa Caramella soprattutto, ma anche autori di cui ha letto e fatto tesoro: come i suggerimenti di Italo Calvino per esempio, che nelle Lezioni americane definisce l’Esattezza come “l’evocazione d’immagini visuali nitide, incisive, memorabili” e ancora come
un linguaggio il più preciso possibile come lessico e come resa delle sfumature del pensiero e dell’immaginazione [...] per combattere l’automatismo che tende a livellare l’espressione sulle formule più generiche, anonime, astratte.
Nel capitolo intitolato “Non si traduce da soli”, Silvia Pareschi racconta la sua avventura più significativa, la traduzione de Le correzioni di Jonathan Franzen, che le fu affidata dalla maestra Marisa Caramella e su cui le due traduttrici, una esperta e l’altra novellina, lavorarono insieme. Un testo bellissimo, fatto di periodi lunghi e complessi che avevano bisogno di essere scomposti e ricomposti per ottenere una traduzione quanto più possibile fedele al sarcasmo e alla profonda capacità introspettiva dello scrittore americano. Con lui, per precisare punti controversi, iniziò una lunga sequenza di domande con email sempre più fitte a cui Franzen rispondeva con dovizia di spiegazioni, estasiato del dialogo prolifico con la sua traduttrice italiana.
Nel libro ci sono numerose citazioni dei tantissimi autori che Silvia Pareschi ha tradotto, conosciuto e reso in italiano attraverso un lavoro certosino di scavo, di studio, di ricerca per ricostruire contesti spesso lontani, in cui ogni parola, ogni forma idiomatica, ogni espressione gergale doveva rispondere a criteri di fedeltà nella versione in una lingua altra, diversa. Il saggio è pieno di libri, classici e contemporanei, in cui la mano del traduttore è stata il veicolo della conoscenza da parte dei lettori: c’è il Proust di Ginzburg e quello di Raboni, Mrs Dalloway di Fusini e quella di Nadotti; e ancora La montagna incantata di Thomas Mann tradotta da Bice Sorteni e recentemente ritradotta da Renata Colorni con il titolo cambiato in La montagna magica.
Il caso più emblematico, racconta Silvia Pareschi, è la nuova traduzione de Il vecchio e il mare di Ernest Hemingway. Nel 1952 la mitica Fernanda Pivano, americanista e grande amica dello scrittore, aveva tradotto il libro destinato a procurare al suo autore il premio Nobel nel 1954. Traduzione fedele, uscita subito dopo la pubblicazione del libro che divenne subito un bestseller. Silvia Pareschi ha lavorato su quel testo oltre sessanta anni dopo, quando i contesti, la società e la lingua erano del tutto diversi. Dunque certi termini che usa la Pivano, come “addugliare” parlando di lenze e di oggetti della pesca, oggi in italiano sarebbero incomprensibili: da lì la necessità di rivedere molti termini, cominciando dal termine “the boy”, il ragazzino, parlando del giovane Manolin, che, a un’osservazione più profonda della traduttrice, si capisce avesse circa venti anni attraverso segnali disseminati dallo stesso Hemingway nel testo, secondo la celebre “teoria dell’iceberg” che lo stesso Hemingway aveva spiegato.
Nell’ultimo capitolo del libro l’autrice si sofferma a lungo sul tema delle traduzioni che si ottengono con l’intelligenza artificiale, affermando che, se per testi tecnici, moduli, formulari e manuali è utile servirsi dell’AI, per ciò che concerne la traduzione letteraria è sconsigliabile e comunque inefficace per una buona qualità della traduzione.
Se perdiamo la capacità di distinguere fra arte fatta dagli uomini e arte fatta dalle macchine, vorrà dire che non saremo più in grado di connetterci all’essenza dell’arte, che poi è l’essenza dell’umanità.
Parole nitide, come voleva Calvino, capaci di far capire a noi lettori quanto sia importante e prezioso il lavoro di traduzione delle opere letterarie, quando fatto con serietà e onestà intellettuale. Ce lo aveva già detto con cognizione di causa Umberto Eco, nel suo celebre saggio Dire quasi la stessa cosa.
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