Fine del carabiniere a cavallo. Saggi letterari (1955-1989)
- Autore: Leonardo Sciascia
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Adelphi
- Anno di pubblicazione: 2018
Si deve a Paolo Squillacioti, curatore per la casa editrice Adelphi dell’opera omnia di Leonardo Sciascia, la raccolta di articoli del maestro di Regalpetra. Il libro si intitola Fine del carabiniere a cavallo. Saggi letterari (1955-1989), pubblicato nel 2018 da Adelphi.
L’antologia, che comprende testi di argomento letterario, restituisce un’ulteriore immagine dell’attività saggistica di Leonardo Sciascia: un vero e proprio bottino di rare e preziose perle. Oltre a dare diletto e godimento, gli scritti favoriscono meditazioni su una concezione della letteratura affermatasi a partire da Vittorini, da Pavese e dagli americani. Purificati dalla pesantezza dell’erudizione e singolarmente personalizzati con signorile leggerezza vivacizzata da imprevedibili nessi, i saggi sono raccolti in tre sezioni: “Resoconti singolarmente militanti (usciti tra il 1957 e il 1961); Divagazioni sulla storia e la cultura europea (scritti per lo più negli anni Settanta e Ottanta); Ritratti complici di contemporanei (quasi tutti editi negli anni Ottanta). Il titolo, che desta non poca curiosità, è desunto dal saggio pubblicato nell’estate del 1955 sulla rivista di Giambattista Vicari Il caffè politico e letterario.
L’immagine solenne del carabiniere a cavallo è la metafora degli scrittori degli anni venti e trenta ed è lo stesso scrittore di Racalmuto a spiegarlo nel saggio d’apertura che intitola l’opera:
Intorno al ‘20 la nostra letteratura giovane faceva richiamo all’ordine; e i fascisti agitavano il manganello per instaurare l’ordine. Rondisti e post-rondisti nutrivano l’ ”elogio del carabiniere a cavallo”, e i carabinieri a cavallo già galoppavano nelle mussoliniane sfilate. (…) Poiché è bene, almeno per esigenza didattica, fissare con precisione i momenti di trapasso e di rinnovamento credo di non sbagliare affermando che la fine del carabiniere a cavallo nella nostra letteratura si possa certificare in Conversazione in Sicilia.
Si affermava intanto una letteratura aderente al reale di cui lo stesso Sciascia si sentiva parte. Nel dopoguerra leggeva “Il 42° parallelo” di Dos Passos per poi accostarsi a Steinbeck, Faulkner, Hemingway. Gli autori privilegiati erano per lo più dell’Ottocento (Stendhal, Manzoni, Tolstoj); del Novecento gli interessavano quelli che avevano lasciato tracce nelle sue inquietudini (Pirandello, Kafka, Borges). Non si può non citare la recensione Romanzi di Italo Calvino, la cui invenzione viene risolta in moralità storica:
Abbandoniamoci al lieto fluire delle invenzioni, delle immagini; alla fresca stormente fantasia.
Sciascia lesse l’Ulisse di James Joyce nella prima traduzione italiana e e nel suo scritto dice che all’opera manca “la grazia della poesia” e la “grazia di Dio” Si mostra aggiornatissimo sul piano delle idee socio-filosofiche del tempo, avendo dedicato un articolo al libro di Marcuse “Controrivoluzione e rivolta” (il testo che evidenzia l’incidenza del filosofo-sociologo sui movimenti rivoluzionari dei primi anni Settanta) e uno a Bernard-Henri Lévy, intellettuale di origine ebraica appartenente al novero dei nouvelle philosophie (nuova filosofia), nata in Francia la metà degli anni Settanta e rappresentata da autori, provenienti dal maggio parigino del ‘68, in rottura con il marxismo e con le ideologie comuniste da cui la gran parte proveniva, ripudiando nello stesso tempo il capitalismo e la destra nazionalista).
Di costui Sciascia si era occupato presentando, insieme a Ferrarotti, il volume La barbarie dal volto umano (Marsilio, 1977), che aveva provocato un terremoto culturale per aver fatto vacillare specifici riferimenti ideologici. Squillacioti lo ripropone e, leggendolo, si resta affascinati dal rigore delle argomentazioni.
Chiarissimo il punto di vista:
Nella cosiddetta nuova filosofia c’è almeno questo “argomento vero”: l’aver messo la mano sul segno della catena.
Si riferiva Sciascia alla rivendicazione del “pensare liberamente” in opposizione al totalitarismo sovietico, al gulag e ai silenzi che l’hanno avvolto. Accusato dalla “sinistra ufficiale” di aver fatto un po’ da battistrada al loro dilagare in Italia, rispondeva:
Non li conoscevo, né posso dire oggi di conoscerli; e sono portato a credere che in Italia le dighe del conformismo e del compromesso li fermeranno (un articolo di Goffredo Parise, di un mese fa, può servire a motivare questa previsione) così come, su altro versante, fermeranno – e mi auguro al minor prezzo possibile gli impeti della sinistra non ufficiale, della sinistra autonoma.
Una trentina di saggi fanno sentire le voci di scrittori quali per esempio Lawrence Durrell; Giovanni Arpino; gli amatissimi Stendhal e Alberto Savinio, Giuseppe Antonio Borgese, Vitaliano Brancati, Enrico Morovich, Giampaolo Rugarli.
Con elegante sguardo critico parla di Vincenzo Consolo e Gesualdo Bufalino ed entrano in gioco richiami, complicità, nonché ampie indagini che non cessano di appassionare. E si dicono “Ritratti” perché invitano a guardare sotto l’esteriorità per vedere l’anima e cogliere intrecci che esprimono misteriose vie, pensieri e sentimenti di spazi remoti. La chiusura del testo è affidata alle note esplicative di Paolo Squillacioti: egli parla di quasi 1400 scritti dispersi di varia natura ed estensione; motiva la sua scelta riguardo ai saggi inclusi nell’opera e si sofferma sulla svolta letteraria nell’anno cruciale del 1956.
In sostanza, in quest’opera si respira cultura per la ricchezza degli argomenti, tra cui il tema dell’Aids come sia stato trattato dagli scrittori e gli artisti del nostro tempo, nonché i ricordi e le riflessioni sulla follia.
Si gusta insomma il modo particolarmente “sciasciano” di scrivere saggi:
A generarli è la forte coesione interna del sistema concettuale sciasciano.
Così sostiene il curatore Paolo Squillacioti.
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