

Di James Joyce e dei suoi lavori si è detto abbondantemente in questo sito, ma necesse est ricordare il primo centenario dalla pubblicazione di Gente di Dublino, raccolta di racconti che sposano lo stile realistico mutuato da Flaubert con le istanze moderniste presenti per l’adozione del flusso di coscienza attraverso l’uso del monologo interiore e del pensiero diretto libero, ma anche rinnegando quella narrazione onnisciente che aveva caratterizzato il romanzo dal Settecento fino al primo Novecento.
Joyce, ormai da dieci anni lontano dalla sua città natale Dublino, come un novello Dante, ha tuttavia la sua città nel cuore e non manca di farne dettagliate descrizioni corrispondenti non tanto a una smania di realismo quanto a una visione personale di ciascun personaggio dei vari racconti.
Gente di Dublino o in originale Dublinesi (Dubliners) vuole offrire un quadro degli abitanti della città partendo dall’infanzia fino alla maturità.
Religione, moralità o moralismi tengono prigionieri gli abitanti della capitale irlandese impedendo di andare oltre. Sono questi i peccati originali che lo scrittore Joyce imputava ai suoi concittadini, tanto da scegliere il volontario esilio.
Malgrado sia passato un secolo dalla pubblicazione del libro e dieci anni in più dalla stesura dei singoli racconti, “Gente di Dublino” resta ancora popolare e moderno per lo stile innovativo e per il piglio dei vari racconti che riescono a superare la polvere del tempo proiettandosi verso le istanze più recondite e universali dell’individuo meritandosi il giusto premio dell’immortalità riservato alle autentiche opere d’arte.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Cento anni di “Gente di Dublino”
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