Brevi racconti per piccoli e grandi
- Autore: Oscar Wilde
- Genere: Raccolte di racconti
- Categoria: Narrativa Straniera
Credo che nella vita di tutti ci siano libri indimenticabili che con la loro bellezza hanno segnato il nostro cammino, alla guisa di maestri saggi. Nella mia, tra gli altri c’è un libretto, piccolo nel formato ma grande nel contenuto, che spesso rileggo per concedermi un sorriso, rinnovare fede, coraggio, forza morale: Brevi racconti per piccolo e grandi di Oscar Wilde (Città Armoniosa editore, pp. 96, 1978), con traduzione di Donatella Gregori. In appendice il libro contiene 5 deliziosi acquerelli della pittrice Marie Oráčková. L’editore Città Armoniosa non esiste più, in rete si trova ancora qualche suo gioiello venduto da Piemme. Quindi tengo molto caro questo esemplare con 5 fiabe di O. Wilde: L’amico fedele, Il razzo famoso, Il principe felice, L’usignolo e la rosa e Il gigante egoista.
I testi furono pubblicati per la prima volta nel 1888. Riletti, sembrano scritti oggi per la loro freschezza, il linguaggio incantevole e sciolto, la poesia unita all’ironia brillante e spesso graffiante. Come tutti i capolavori sono eterni. Risvegliano il nostro bambino interiore che non ha perduto la capacità di meraviglia.
Il bambino sa che gli animali parlano e possono parlare perfino le statue; queste racchiudono il cuore più amabile e pietoso dell’uomo, come accade alla statua del famoso principe felice. Le fiabe sono il dono prezioso di Oscar Wilde all’umanità, intrise di cristianesimo puro, amore caldo e compassionevole. Tutto ciò viene gettato nell’immondizia, ma sarà lì che l’angelo raccoglierà il cuore di piombo della statua del principe e il corpo stecchito della rondine, morta di freddo per essere rimasta troppo a lungo nel paese dal clima rigido a compiere il bene a favore dei poveri, divenuta aiutante del principe e secondo le sue direttive. La statua vede finalmente le miserie della città, si priva dell’oro e delle pietre preziose di cui è rivestita e incarica l’uccellino innamorato di lei (ricambiato) di portare ricchezza dove il bisogno è più estremo. È importante notare che il potere mette a disposizione della polis i suoi averi personali. Siamo nel mondo dell’utopia, spinta fino al sacrificio di sé. Nell’autobiografia dell’artista possiamo leggere questi tratti, il dettato etico nel quale l’amore è assoluto protagonista.
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James Joyce adorava il primo Wilde, esteta e anticonformista; espresse profonda pietà per la sua fine drammatica. Alla morte del grande connazionale irlandese ne tracciò il ritratto commosso sul quotidiano triestino "Il Piccolo" della sera del 24 marzo 1909. In quell’articolo si legge:
"La sua caduta fu salutata da un urlo di gioia puritana. Alla notizia della sua condanna la folla popolare, radunata dinanzi al tribunale, si mise a ballare una pavana sulla strada melmosa. I redattori dei giornali furono ammessi all’ispettorato ed, attraverso la finestrina della sua cella, poterono pascersi dello spettacolo della sua vergogna. Strisce bianche coprirono il suo nome sugli albi teatrali; i suoi amici lo abbandonarono; i suoi manoscritti furono rubati mentre egli, in prigione, scontava la pena inflittagli di due anni di lavori forzati. Sua madre morì sotto un nome d’infamia: sua moglie morì. Fu dichiarato in istato di fallimento, i suoi effetti furono venduti all’asta, i suoi figli gli furono tolti. Quando uscì di carcere i teppisti sobillati dal nobile marchese Queensberry l’aspettavano in agguato. Fu cacciato, come una lepre dai cani, da albergo in albergo. Un oste dopo l’altro lo respinse dalla porta, rifiutandogli cibo ed alloggio, e al cader della notte giunse finalmente sotto le finestre di suo fratello piangendo e balbettando come un fanciullo."
Lo spettacolo fa orrore, come orrore si prova nella lettura del poema La Ballata del carcere di Reeding, in cui Wilde descrive la carcerazione dura e obbrobriosa subita per la sua omosessualità. Però Joyce considera la conversione di Wilde religioso e mistico un’abiura. Riguardo al cattolicesimo, nel suddetto articolo egli annota che:
"È questa verità inerente nell’anima del cattolicesimo: che l’uomo non può arrivare al cuor divino se non attraverso quel senso di separazione e di perdita che si chiama peccato."
Credo invece che la poetica di Wilde contenga, più che il peccato, l’apice della bellezza e sia in armonia con il pensiero platonico: Platone, nel Simposio, partendo dall’amore e dall’attrazione per i corpi belli, arriva alla contemplazione della bellezza trascendente come Idea e alla visione del Sommo Bene, conquista l’eternità. Il principe e la rondine, personaggi immortali del Principe felice non conoscono morte, infatti:
"Disse Dio «questo uccellino canterà in eterno nel giardino del Paradiso e il principe felice mi loderà nella città d’oro.»”
Nel libro, oltre al principe e alla rondine legati da sentimenti sublimi, nelle altre fiabe troviamo un falso amico sfruttatore; un razzo borioso e ridicolo, convinto della sua superiorità sui propri simili: “sono tanto profondo che a volte non comprendo una parola di quello che dico afferma”; un usignolo che medita sui misteri dell’amore: "non si può comprare dai mercanti e non può essere pesato sulle bilance dell’oro"; un gigante che voleva godere da solo il suo bellissimo giardino ma poi lo condivide con i bambini, fino alla morte.
In ogni fiaba amore e morte sono congiunti indissolubilmente. Wilde anticipa i segreti dell’inconscio ambivalente, le due pulsioni di Eros e Thanatos che in seguito verranno teorizzate da Freud. Il genio del poeta intuisce quanto la scienza deve studiare con rigore logico.
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