Un figlio al fronte
- Autore: Edith Wharton
- Genere: Classici
- Categoria: Narrativa Straniera
- Anno di pubblicazione: 2016
“Un figlio al fronte” (Grenelle Edizioni, 2016, titolo originale A son at the front, introduzione di Barnaba Maj, traduzione di Pietro Pascarelli) è il romanzo finora inedito in Italia, che la grande autrice statunitense Edith Wharton (New York, 24 gennaio 1862 - Saint-Brice-sous-Forêt, 11 agosto 1937) scrisse a Parigi fra il 1918 e il 1922.
Prima donna a vincere il Premio Pulitzer con “L’età dell’innocenza” (1921), Wharton in queste pagine delinea con la consueta raffinatezza e abilità di penna, una Parigi, e di riflesso la Francia, attonita e smarrita che vede i suoi figli partire per il Fronte. Paradossalmente sarebbe stata proprio la Grande Guerra a recuperare il rapporto tra un padre e un figlio diventato adulto lontano dal genitore. Il 30 luglio 1914, il celebre ritrattista americano John Campton nel suo spoglio studio di Montmartre alla fine di un pomeriggio d’estate, se ne stava in contemplazione di un calendario malconcio che pendeva dal muro. L’uomo era sereno perché stava per partire insieme al figlio George di 25 anni. Suo figlio, il suo unico ragazzo, stava arrivando dall’America, doveva sbarcare quella mattina in Inghilterra, e dopo una breve sosta a Londra l’avrebbe raggiunto l’indomani sera a Parigi. Quindi,
“Non può esserci la guerra: sto per andare in Sicilia e in Africa con George, dopodomani”.
Era quasi impossibile per Campton descrivere che cosa voleva dire per lui avere il suo ragazzo. George Campton, giovane americano nato per distrazione dei genitori a Parigi, è cittadino francese quindi se fosse davvero scoppiata la guerra, sarebbe stato immediatamente arruolato. In seguito al divorzio dei genitori, il ragazzo era cresciuto con il secondo marito della madre, Anderson Brant, ricchissimo banchiere americano, proprietario di un lussuoso appartamento parigino. Quindi per tanto tempo il pittore aveva visto suo figlio solo per brevi periodi,
“in fretta, in maniera incompleta, incomprensibilmente”.
Solo negli ultimi tre anni la loro confidenza aveva avuto la possibilità di svilupparsi. E non avevano mai viaggiato insieme, se non per piccoli tratti frettolosi, in due o tre occasioni, in spiaggia o in montagna; non erano mai andati via per un viaggio lungo e solitario come questo. Dopo un lungo periodo di oscurità, Campton era stato messo in luce dal suo ritratto del figlio George, esposto tre anni prima alla mostra di primavera della società francese dei pittori e scultori. Per impedire l’acquisto del dipinto da parte di Brant, Campton aveva donato il ritratto al Musée du Luxembourg. Adesso un Campton, stanco, disincantato, e prossimo ai sessanta, si ritrovava a guardare all’avventura con George con grande entusiasmo. Ma ogni promessa di serenità era stata travolta dalla dichiarazione di guerra della Germania alla Francia. La guerra era arrivata, impensabile, ora, che George uscisse dal Paese. Nonostante ciò Campton
“rifiutava di ammettere che la Francia potesse avere delle pretese su George”.
Se dal Fronte interno i genitori di George e il suo patrigno facevano pressioni affinché il giovane potesse ricevere un incarico nelle retrovie, George di nascosto dai genitori si comportava valorosamente in battaglia, non era certo un “embusqués”.
“Ma un padre non ha mai fatto tutto quello che può per suo figlio! C’è sempre qualcosa in più che può fare! Una “guerra sedentaria”
sembrava trascinarsi giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, anno dopo anno. “Ouse fait une raison”. Nel ritratto di Campton, c’è l’identità profonda del figlio, il suo vero volto, Quindi il ritratto per Wharton è il simbolo del senso etico e salvifico dell’arte e della cultura.
“Estrasse tutti gli schizzi di suo figlio dalla vecchia cartella, li sparse davanti a lui sul tavolo, e cominciò”.
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