Storia naturale della distruzione
- Autore: W.G. Sebald
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Adelphi
- Anno di pubblicazione: 2024
Se la storia naturale, come insegna Plinio il vecchio, è impresa sterminata che si propone di intrecciare e ricapitolare tutto il sapere riguardante la natura, richiamando i capisaldi delle singole discipline che ad esso afferiscono, meno scontato è comprendere cosa sia la storia naturale di uno specifico fenomeno o evento. Ci si potrebbe appellare alla scienza che definisce storia naturale il decorso fisiologico di una malattia, il suo normale sviluppo a prescindere da un qualche trattamento clinico o farmacologico oppure a Hume che, con la sua Storia naturale della religione, intendeva riflettere su questa disciplina con lo sguardo disincantato e sperimentale proprio dello scienziato della natura umana, fornendone così un excursus antropologico piuttosto che un retroterra teologico.
Storia naturale della distruzione – titolo del libro (Adelphi, 2004, trad. di Ada Vigliani) in cui sono raccolte le conferenze, rielaborate, su guerra aerea e letteratura che Winfried G. Sebald tenne a Zurigo nell’autunno del 1997 – è invece un’espressione mutuata da Solly Zuckerman, biologo oxoniense che studiò gli effetti delle bombe sul corpo umano e collaborò alla pianificazione degli attacchi massivi sul territorio tedesco durante la seconda guerra mondiale. Quando il conflitto era cessato, Zuckerman, quasi per un morboso interesse professionale, era accorso a Colonia per vedere la città devastata e si era trovato di fronte a
“una popolazione assottigliata, vestita di nero – muta come la città […]. Questo mutismo, questo ripiegarsi su sé stessi e distogliere lo sguardo sono il motivo per cui sappiamo così poco di ciò che i tedeschi hanno pensato e veduto nei cinque anni tra il 1942 e il 1947”.
Questa agghiacciante afasia, che si presenta copiosa in molte pagine del libro, è frutto di un meccanismo di rimozione quantomai efficace, di una sorta di incapacità di confrontarsi con i fatti realmente accaduti, provocata dalla percezione obbligata dei luoghi della catastrofe e dalla permanenza, altrettanto coatta, negli stessi, per continuare in un modo o nell’altro a vivere. Ecco che, allora, il portato di tutto questo è una sorta di amnesia collettiva che fa sì che:
“la distruzione delle città tedesche negli ultimi anni della seconda guerra mondiale non aveva trovato posto nella coscienza della nazione che andava costruendosi ex novo”
Sebald riporta resoconti e scene di vita vissuta con meticolosa accuratezza, riesce a farci percepire in modo tangibile l’orrore disumano della catastrofe attraverso dettagli apparentemente secondari ma potentemente evocativi – il dito mozzato, i parassiti che proliferano intorno ai cadaveri rimasti senza degna sepoltura, l’odore di bruciato acre e persistente, le donne sfollate che trasportano bambini morti – per giungere alla conclusione che il popolo tedesco abbia deciso di andare avanti come se nulla fosse accaduto, pur soffocando qualsiasi atteggiamento positivo nei confronti della vita.
È questo il corollario altrettanto naturale della naturale distruzione: fare come le piante, imitare nella vita sociale la forza rigenerativa della natura che non disdegna di ripopolare pervicacemente i cumuli di macerie, incurante dei demoni che popolavano l’anima di chi da quelle macerie era uscito indenne.
Quello di Sebald, però, non è un lungo reportage di guerra: lo scrittore richiama i tentativi di censura della stampa tedesca sull’operazione Gomorra, che nel 1943 rase al suolo molte città tedesche, marca le differenze tra lo sguardo basso e vuoto della popolazione e quello attonito ma curioso dei corrispondenti stranieri, smaschera l’inautenticità del linguaggio normale utilizzato dai testimoni oculari, scandaglia gli isolati tentativi letterari di dar conto dell’immane opera di distruzione.
In Heinrich Böll, autore di un libro rimasto sconosciuto per più di quarant’anni, ad esempio, trova personaggi che, come per un marchio d’infamia, sono accomunati da una carente volontà di vivere anche nella nuova società capitalistica; di Nossack apprezza il tentativo di perseguire sobriamente “l’ideale del vero […] come l’unico motivo in grado di legittimare chi continua a dedicarsi all’attività letteraria”; di altri depreca l’elitarismo o il desiderio di perseguire effetti estetici immaginifici e autoreferenziali. A questi ultimi Sebald preferisce l’approccio documentaristico, anch’esso però insufficiente, se è vero che gli storici tedeschi non hanno ancora elaborato uno studio esaustivo sul tema della distruzione delle città tedesche.
Alla sensazione personale di esser cresciuto senza essere stato messo al corrente di qualcosa, alla consapevolezza di un rapporto quanto mai precario con un’epoca le cui vicende più turpi sono ritratte in foto d’epoca ancora oggi furtivamente smerciate sottobanco nelle librerie, Sebald associa la sfiducia nei resoconti dei testimoni diretti che si susseguivano nelle lettere che riceveva, rimarca l’intento di estetizzare la violenza e la guerra, frequente nell’arte e nella letteratura e assegna ai media la responsabilità del diffuso tentativo di rimozione che aveva come fine precipuo quello di catalizzare la ricostruzione, ponendo argini a
“la paura della dissoluzione generalizzata che si profila minacciosa con il crollo dell’ordine in ogni campo, [a]l terrore di un possibile imbarbarimento dell’uomo e di un suo ritorno allo stadio belluino, [al]l’angoscia al pensiero di un mondo senza leggi minacciato da una rovina irreversibile”.
Sentimento, questo della paura, condiviso da vincitori e vinti nel secondo conflitto mondiale se è vero che la distruzione delle città tedesche messa in campo dagli alleati e scientemente pianificata fu solo una risposta, animata dal risentimento, a quel desiderio di conquista ai quali i tedeschi avevano dato la stura, progettando di radere al suolo anche Londra. Al fondo di tutto questo Sebald, intrecciando abilmente analisi sociologica, motivi psicanalitici e suggestioni cinematografiche, pone la crisi della borghesia, la xenofobia dilagante già nella Germania guglielmina, la scelta di affidarsi alla borghesia prussiana prima, e al nazismo poi, per cancellare quel popolo ebraico ritenuto responsabile della crescente isteria della società tedesca.
Un breve saggio, dunque, che oltre a rischiarare in modo magistrale un capitolo secondario del secondo conflitto mondiale, invita a riflettere sul rapporto tra letteratura e storia, sulle responsabilità dell’arte di fronte all’orrore e, per questo, appare oggi di grande attualità.
Storia naturale della distruzione
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