Storia d’Italia
- Autore: Giovanni Bosco
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2020
Grande educatore, benefattore e scrittore, Giovanni Bosco (1815-1888) – per tutti Don Bosco – è indubbiamente uno dei santi più amati dagli italiani.
"Don Bosco ritorna tra i giovani ancor, ti chiaman frementi di gioia e d’amor!"
Così cantano tantissimi ragazzi intonando il ritornello di Giù dai colli, l’inno scritto nel 1929 da Don Secondo Rastello e musicato da Don Michele Gregorio.
In tutto il mondo sono molti gli uomini e le donne che devono la loro istruzione ai salesiani; tutti conoscono l’opera di Don Bosco e i fatti più importanti della sua vita: le missioni, le battaglie, le avversità affrontate con coraggio e la funzione mediatrice tra la Santa Sede e il governo italiano in anni difficili. Quanti sono però quelli che hanno letto almeno uno dei numerosi libri che Don Bosco pubblicò? Pochi, purtroppo. E del resto ai giorni nostri non è così facile reperire i suoi titoli nelle librerie.
Hanno fatto bene nel 2020 le Edizioni Radio Spada a ristampare la Storia d’Italia di Don Bosco, riproponendo così ai lettori uno scritto che li aiuterà a comprendere meglio questa luminosa figura dell’Ottocento.
Ovviamente, come potrà facilmente immaginare ogni persona di buon senso, si deve innanzitutto riconoscere che questo è un testo superato: si tratta di un documento del XIX secolo, adatto soprattutto al cristiano colto, che sarà in grado di individuarne gli inevitabili limiti, ma che sicuramente saprà anche apprezzare la sensibilità e l’erudizione dell’autore.
Il pedagogo ideò questo libro per la formazione degli studenti e ovviamente il testo va analizzato con raziocinio. Ma ciò non toglie che queste pagine ci parlino molto del loro autore, e meditare sulle opinioni e sulle osservazioni di Giovanni Bosco può essere ancora un esercizio assai edificante per i cristiani.
Il buon sacerdote dedicò tutta la sua esistenza ad aiutare i bisognosi e quando scrisse la sua storia dell’Italia volle dedicarla "alla gioventù"; nelle sue parole si nota inoltre un grande patriottismo:
"Io credo che non vi sia paese più del nostro fecondo di avvenimenti e più ricco di uomini illustri per coraggio e per ingegno".
La grande narrazione ha principio dall’Italia pagana, in cui il Santo non esita a riconoscere dei ragguardevoli esempi di virtù e di integrità:
"L’idolatria degli Italiani fu sempre meno mostruosa di quel che fosse presso alle altre nazioni e parecchie istituzioni, almeno nella loro origine, parvero assai ragionevoli".
Parlando della nascita dello Stato della Chiesa, Don Bosco rifletté sul fatto che il potere temporale del Papa era sorto per una necessità storica e aveva contribuito alla conservazione del Cattolicesimo anche in momenti drammatici. Per chiarire tale concetto, l’autore introduce un riferimento alla classicità:
"Per ottenere vie meglio il loro intento vari Stati greci mantenevano a Delfo ambasciatori, che formavano il cosiddetto Consiglio anfizionico, incaricato di tutelare l’indipendenza e il dominio dell’oracolo e della città contro le usurpazioni e gli insulti sì dei privati, sì delle repubbliche. […] Come l’oracolo religioso era cosa cattolica, ossia universale per tutti i Greci, così la città, il contado, il tempio e le ricchezze di Delfo non appartenevano punto ai cittadini di Delfo; e così voi, giovani, pensare dovete rispetto all’oracolo cattolico del Vicario di Cristo".
Nell’intento di fornire una preparazione a 360 gradi, l’ampio saggio offre brevi approfondimenti anche sull’arte, le invenzioni e la cultura delle epoche trattate; non è trascurata nemmeno la storia della lingua italiana e riguardo quest’ultimo tema viene sottolineato il ruolo di San Francesco e di Dante:
"[Nel Medioevo] Erano pertanto in Italia due lingue, la latina usata nelle leggi, negli atti notarili e nelle prediche; eravi poi la lingua del volgo, detta perciò volgare […]. Siccome il volgo stentava a capire il linguaggio latino, così S. Francesco d’Assisi, per meglio giovare al prossimo, cominciò a scrivere in lingua volgare certe poesie divote, che noi diremmo laudi. Altri scrittori presero a servirsi della lingua volgare in argomenti di sollazzo, come in canzoni, sonetti e simili; già veniva usata nei discorsi che facevansi pubblicamente nelle repubbliche per trattare gli affari di generale interesse. Sorse finalmente Dante Alighieri fiorentino, il quale pigliandola dalla bocca del popolo la sottomise a più certe regole grammaticali".
Chi scrive è nato a Padova e per un veneto è sicuramente rilevante constatare quanta importanza abbia attribuito Don Bosco alla Repubblica di Venezia nel quadro generale della storia italiana: una giusta attenzione che oggi, purtroppo, non si ritrova in nessun sussidiario recente a uso scolastico.
Nella sua esposizione delle vicende della Penisola, il religioso lodò la Serenissima, ma (al pari di molti altri scrittori cattolici) usò parole di fuoco contro Paolo Sarpi (1552-1623):
"La repubblica di Venezia, miei cari, possiamo dire essere stata in ogni tempo molto affezionata alla cattolica religione e di buon accordo col Romano Pontefice. Mentre poi quasi tutta l’Europa era inaffiata di sangue umano sparso per le guerre eccitate dai protestanti, i Veneziani vivevano in pace, solo badando a promuovere il commercio e a portare i prodotti della loro industria nelle varie parti del mondo. Ma un uomo turbolento ed apostata, conosciuto col nome di fra Paolo Sarpi, invece di praticare e sostenere quella religione cui erasi con voto speciale consacrato, si adoperò per introdurre l’eresia in Italia e specialmente in Venezia sua patria. Era questa un’azione da riprovarsi altamente poiché, così operando, egli cagionava, come di fatto avvenne, un grave danno ai suoi concittadini".
Una valutazione sicuramente lapidaria questa, ma comune anche a vari esponenti italiani dell’intransigentismo cattolico.
Necessariamente sintetico è anche il giudizio di Don Bosco su Napoleone, ma in questo volume i toni usati dal Santo non scadono mai nella polemica: egli affermò che Bonaparte non era tra coloro che desideravano distruggere la Religione,
"ma per appagare i suoi soldati avidi di rapina e di vendetta, ed anche per incutere terrore nei popoli soggiogati, non volle o non poté impedire che i ladronecci, il sangue, la strage, la profanazione delle chiese e mille sacrilegi accompagnassero quasi sempre le sue conquiste. Napoleone si dava molta sollecitudine perché le idee rivoluzionarie più ampiamente si spandessero ed i popoli si sollevassero contro ai loro sovrani".
Furono questi, a parere del religioso, gli esordi della rivoluzione italiana.
Il tomo è arricchito anche da un elenco di biografie di uomini celebri, e tra gli altri vi figurano Antonio Canova (1757-1822), Vincenzo Monti (1754-1828), Silvio Pellico (1789-1854), Antonio Rosmini (1797-1855) e Alessandro Manzoni (1785-1873), ma anche Joseph De Maistre (1753-1821), lodato come filosofo cristiano che condannò le idee dei rivoluzionari.
All’inizio di questa recensione è già stato messo in luce il fatto che questo libro – prodotto del suo tempo – vada affrontato con un approccio critico e la consapevolezza che si tratta di uno scritto ottocentesco, ma ne va ribadita l’utilità per lo studio della biografia del Santo e, considerando che un autore andrebbe sempre conosciuto attraverso la lettura diretta dei suoi testi, c’è da sperare che le case editrici italiane stampino presto delle nuove edizioni di altre opere scelte dall’ampia bibliografia di Giovanni Bosco.
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