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Recensioni di libri

Kafka e il digiunatore di Raoul Precht

Nutrimenti, 2014 - Uno studio sul tema letterario della fame e del digiuno che da un lato si identifica nella biografia dell’uomo Franz Kafka, dall’altro suggerisce una dimensione universale dell’umanità.

Elisabetta Bolondi
Elisabetta Bolondi Pubblicato il 04-07-2014

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Kafka e il digiunatore

Kafka e il digiunatore

  • Autore: Raoul Precht
  • Categoria: Narrativa Straniera
  • Casa editrice: Nutrimenti
  • Anno di pubblicazione: 2014

Che sorpresa questo libro che Nutrimenti propone nel 2014 al lettore che conosce Kafka, ma che qui impara sullo scrittore praghese aspetti inediti ed insoliti, grazie allo studio che l’autore, Raoul Precht, ha dedicato ad alcuni racconti e in particolare a “Un digiunatore”.

Nella lunga introduzione al volumetto, “Il digiunatore involontario”, incontriamo Franz Kafka, ormai all’ultimo stadio della malattia polmonare che lo porterà in breve alla morte, spaventato dal dolore più che dalla fine della vita alla quale in fondo si sente preparato. Egli ripensa alle parole che solo un paio d’anni prima aveva scritto a Milena:

“La morte, forse, la possiamo affrontare; è il dolore ad essere più forte di noi, della nostra dignità.”

Mentre si consuma incapace di mangiare, di deglutire, anche di bere se non a prezzo di intensi dolori alla gola, Franz, assistito dalla giovane Dora e dal fido amico Robert, tenta di correggere le bozze di un racconto dedicato ad un personaggio insolito con il quale forse, o evidentemente, si identifica: il digiunatore, una specie di attrazione turistica che in quegli anni o in quelli immediatamente precedenti richiamava un folto pubblico. Una gabbia ospitava l’individuo che per quaranta giorni, non uno in più, come Gesù nel deserto, sorvegliato a vista da guardiani più o meno solerti, offriva se stesso “in pasto” alla curiosità di grandi e piccoli, per i quali soprattutto costituiva un’attrazione irresistibile. L’uomo-scheletro giaceva su un mucchio di paglia, vestito con una maglia nera, esibendo le sue braccia scheletriche fuori delle sbarre, bevendo talvolta un sorsetto d’acqua, mentre nella gabbia l’unico arredo era una pendola, a significare una sospensione del tempo che infatti non era scandito dal battere delle ore.

Il tema del cibo, quello del digiuno penitenziale, quello del sapersi privare del cibo per ragioni più o meno valide (politiche, carcerarie, religiose, mistiche) è una costante antropologica. Il modo in cui Kafka affronta il tema introduce, però, una valenza in più: il digiunatore descritto nel racconto lo fa per ragioni solo apparentemente economiche, come un saltimbanco o un trapezista, ingaggiato da un impresario ambizioso, ma in realtà deciso a superare i limiti umani, a superare se stesso, a ottenere una gloria duratura come il più grande digiunatore di tutti i tempi. Al momento della conclusione dell’esperimento, quando la folla si raduna e due gentili signore vengono incaricate di sostenerlo all’uscita dalla gabbia/prigione, il digiunatore si dispera, piange, non avrebbe voluto interrompere il digiuno che ormai è divenuto per lui una contraddittoria ragione di vita.
Ma ormai l’attrazione per il digiunatore ha concluso il suo ciclo e presto di quegli ignobili spettacoli si farà a meno. Dopo la morte per consunzione del digiunatore, nella sua gabbia viene posta una pantera, dall’aspetto nobile e dalla innata voracità, le cui “fauci sprigionavano gioia di vivere con tanto ardore che agli spettatori non era facile resisterle”.

Il racconto di Kafka fu scritto, forse in un solo giorno, nel maggio 1922; in esso è facile riscontrare l’attenzione/attrazione che l’autore nutriva per il mondo dello spettacolo, fosse il teatro, il cinema e forse lo stesso circo, raccontato in quegli stessi anni da artisti famosi, incluso Picasso, mondi fortemente osteggiati dalla sua famiglia, con la quale, soprattutto con il padre, Kafka viveva in un perenne ed infinito contrasto.
Insomma il mondo del varietà e del circo, con i loro artisti, talvolta veri e propri impostori, i loro impresari e la faciloneria del pubblico, disposto a pagare per spettacoli spesso ignobili, attrae l’attenzione di uno scrittore dalla psicologia complessa e dall’ispirazione aperta ai più diversi stimoli. Quando proprio nel 1922 esce il film “La carestia russa”, un documentario che informava il resto dell’Europa delle condizioni drammatiche in cui versava la popolazione russa decimata dalla fame e chiedeva la solidarietà economica degli europei, ecco saldarsi nella mente di Kafka il tema della morte per fame, voluta come tema spettacolare o subita da intere incolpevoli popolazioni.

Il traduttore e critico autore di "Kafka e il digiunatore" ci ripropone un tema letterario della fame e del digiuno che da un lato si identifica nella biografia dell’uomo Franz Kafka, dall’altro suggerisce una dimensione universale dell’umanità, colta tra anoressia individuale e carestie collettive, tra campi di prigionia e di sterminio di massa e spettacolarizzazione dell’astensione del cibo come strumento di lotta, tra rifiuto di certi cibi (la carne, soprattutto se non macellata secondo precise regole) e la vera fame/sete dovuta a condizioni socio-economiche per cui si muore letteralmente di fame, ancora oggi, in troppe parti del pianeta.
La nuova traduzione del racconto è una riscoperta attualissima del testo kafkiano, forse un po’ colpevolmente dimenticato.

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© Riproduzione riservata SoloLibri.net

Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Kafka e il digiunatore

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