Ragazzi di vita
- Autore: Pier Paolo Pasolini
- Categoria: Narrativa Italiana
Il precariato, predatore sia fisico che concettuale, esisteva già nel 1955 e Pier Paolo Pasolini ce ne fa prendere atto descrivendo le avventure dei suoi "Ragazzi di vita". Il Riccetto, Agnolo, Marcello e i numerosi altri protagonisti del celebre romanzo sono tutti precari e non solo dal punto di vista lavorativo: il precariato affettivo è insidioso almeno quanto il suo gemello più conosciuto.
Esprimere pareri o giudizi su "Ragazzi di vita" o sulla scrittura di Pier Paolo Pasolini è un’impresa non solo fuori portata per chiunque, ma anche inutile e pericolosa, per questo motivo mi limiterò a condividere gli spunti di riflessione e le emozioni che mi ha suscitato la sua lettura.
Roma è irriconoscibile, lontana: le sue borgate del dopoguerra sono enormi distese di prati spelacchiati, terra e fango, disseminate di baraccopoli lungo il corso dei fiumi Tevere ed Aniene. Intere famiglie sono costrette a vivere all’interno di un’unica stanza o in alloggi improvvisati e i soldi per sfamarsi non bastano mai, nemmeno se si riesce a lavorare in bottega, al mercato o al servizio di qualcuno. Padri perennemente ubriachi e madri urlanti spesso spingono i figli, ancora adolescenti, a dormire fuori casa in cerca di fortuna o, più spesso, di sfortuna.
I ragazzi di vita per sopravvivere sono costretti ad atteggiarsi a bulli, a rubare, a prostituirsi e tutti i pochi spiccioli di cui entrano in possesso vengono immediatamente spesi in sigarette, prostitute, gioco d’azzardo: non riescono a dare alcuna possibilità al futuro. Gli unici momenti di svago sono quelli trascorsi sulle rive dei fiumi romani a giocare, cantare, fare il bagno nell’acqua sporca, ma anche l’Aniene è un bullo che reclama la sua parte e se la prende, freddo ed implacabile come i peggiori delinquenti, a spese del piccolo Genesio in una delle pagine più toccanti del romanzo.
Pier Paolo Pasolini, uno dei massimi intellettuali del Novecento Italiano, sperimentatore, innovatore e provocatore, con "Ragazzi di vita" è riuscito a farmi provare la strana sensazione del sentirmi una ragazza, in fondo, fortunata.
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Aggiungerei che un elemento altamente significativo dell’opera Ragazzi di vita è l’uso del romanesco, di difficile comprensione per una lettrice lombarda come me. Superata però la prima fase d’affanno che rasenta il rigetto, non ho potuto fare a meno di ammettere che, per l’ambientazione squallida e disgraziata della borgata romana, per il vissuto travagliato dei pischelli, non poteva che essere la parlata rozza, volgare ma fortemente espressiva del gergo romanesco.
Pier Paolo Pasolini abbandona le vesti dell’accademico e descrive la natura, il cielo in particolare,con gli occhi e la verve del popolano.
“La luna è grossa come un bidone”, le nuvole sono “conchigliette nere, cozze giallognole, baffi turchini, sputi color rosso d’uovo.
“Un nuvolone color bianco, tutto ricci, fresco e immenso che pareva il Monte del Purgatorio” ed altre ancora quale: “il bel nuvolone bianco, coi riflessi d’acciaio, s’era smandrappato e sbrindellato, e ora scompariva pure lui come neve nella fanga.
Queste note descrittive di colorito poetico innalzano il “canto d’amore” che Pasolini dedica a questi ragazzi di strada, figli di buona donna, sempre con le mani in saccoccia, stramiciati, allaccati e senza morale.