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Recensioni di libri

Non so che viso avesse. Quasi un’autobiografia di Francesco Guccini

Giunti, 2020 - Il romanzo di una vita da (quasi) poeta, divisa tra le radici montanare e i ritrovi vagamente bohemienne degli anni Settanta/Ottanta, viaggi immaginari, figure epiche di fianco all’epos quotidiana, incontri, amori, concerti, tanti libri, fumetti e diverse canzoni.

Mario Bonanno
Mario Bonanno Pubblicato il 25-06-2020
Non so che viso avesse. Quasi un'autobiografia

Non so che viso avesse. Quasi un’autobiografia

  • Autore: Francesco Guccini
  • Genere: Storie vere
  • Categoria: Saggistica
  • Casa editrice: Giunti
  • Anno di pubblicazione: 2020

Canzone quasi d’amore è un brano topico dello specifico gucciniano. Proprio quel “quasi” ne rivela, a partire dal titolo, la vocazione ontologica. Diventa emblematico dello sfiorare e nel contempo distanziarsi di Francesco Guccini dall’esclusiva tematica sentimentale. La traccia ha piuttosto a che fare con la fuggevolezza del tempo e, ancora di più, dei sensi irrisori coi quali ammantiamo il nostro stare al mondo:

“D’altra parte, lo vedi, scrivo ancora canzoni/ E pago la mia casa, pago le mie illusioni/ Fingo d’aver capito che vivere è incontrarsi/ Aver sonno, appetito, far dei figli, mangiare/ bere, leggere, amare, grattarsi”.

Aldilà dell’eco “politica” che, per via della Locomotiva e di poche altre canzoni, ha ingiustamente accompagnato parte del suo percorso, Guccini non è cantante da verità assolute e nemmeno da fedi incrollabili. L’universo tematico di Guccini è più sfumato, abitato dai forse, dai dubbi. dai quasi. Non è un caso che il “quasi” ritorni anche nel sottotitolo della sua autobiografia aggiornata, fresca di ristampa per Giunti: Non so che viso avesse. Quasi un’autobiografia. È lui stesso, tra le righe, a spiegarne il motivo:

“Ma una vera biografia risulta quasi impossibile da scrivere: troppi dettagli sfuggono dalla memoria, troppe vicende sembrano svuotate di senso e mancare di contenuti, troppi protagonisti appaiono ormai come un pallido fantasma, privi di quello che erano stati veramente nell’essenza della loro vita quotidiana. Troppi fatti sarebbero raccontati in maniera fugace e superficiale. E quante riflessioni sul chi e sul come, sul pro e sul contro, sarebbero evitate". (pag. 5)

Come ho già avuto modo di scrivere: l’evanescenza del tempo e dei presunti sensi ultimi sono le cifre pregnanti dei dischi di Guccini. Una vita spesa “a domandarsi e a far finta di niente”. Ottant’anni - festeggiati lo scorso 14 giugno - e dimostrarli tutti. Come chi, anti-moderno e coerente con se stesso, ha poco da perdere e niente da nascondere. Come chi dello spaesamento (Canzone della bambina portoghese), dei dilemmi grandi e piccoli (Shomèr ma mi-llailah, Scirocco), di canzoni da domande (in)consuete e bizzeffe di ironia (soprattutto "dal vivo") ha fatto la sua impronta esistenziale, prima ancora che autoriale. In Non so che viso avesse, le stazioni significative di una vita da “eterno studente/ Perché la materia di studio sarebbe infinita/ E soprattutto perché so di non sapere niente” sono rievocate da Guccini stesso – il mulino dei nonni, Pàvana, Modena, i primi pezzi per la “Gazzetta dell’Emilia” e le prime canzoni, l’amicizia con Bonvi, l’osteria, eccetera –, nello stile affabulatorio e denso che gli è consono.

A partire da pagina 147, la parola spetta ad Alberto Bertone per un’analisi dei tratti salienti di un canzoniere aggiornato all’ultimo disco, e di una bibliografia agli ultimi libri, firmati in proprio o in coppia col giallista Loriano Macchiavelli. Ne scaturisce il romanzo di una vita da (quasi) poeta, divisa tra le radici montanare e i ritrovi vagamente bohemienne degli anni Settanta/Ottanta (vedi la serie di Canzone di notte), viaggi immaginari, figure epiche di fianco all’epos quotidiana, incontri, amori, concerti, tanti libri, fumetti e diverse canzoni. Una più bella dell’altra. Un bilancio esistenziale ancora provvisorio, se è vero che Francesco Guccini ha smesso di cantare, ma di scrivere no. Pleonasmo: se a Bob Dylan è stato dato il Nobel per la letteratura, perché non a Guccini, da taluni definito persino Maestrone, di fatto cantautore-scrittore colto, stratificato, aggettivante e aggettivabile, rimatore capace di rime impossibili?

"Gli arguti intellettuali trancian pezzi e manuali/ poi stremati fanno cure di cinismo/ Son pallidi nei visi e hanno deboli sorrisi/ solo se si parla di strutturalismo/ In fondo mi sono simpatici/ da quando ho incontrato Descartes/ Ma pensa se le canzonette/ me le recensisse Roland Barthes (…) Jorge Luis Borges mi ha promesso l’ altra notte/ di parlar personalmente col persiano/ Ma il cielo dei poeti è un po’ affollato in questi tempi/ forse avrò un posto da usciere o da scrivano/ Dovrò lucidare i suoi specchi/ trascriver quartine a Kayyam/ Ma un lauro da genio minore/ per me, sul suo onore... non mancherà." (Via paolo Fabbri, 43)

Non so che viso avesse: Quasi un’autobiografia

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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Non so che viso avesse. Quasi un’autobiografia

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