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Recensioni di libri

La luna e i falò di Marino Magliani e Marco D’Aponte

Tunué, 2021 - Un’opera d’arte a sé stante, che racchiude tutta la potenza del romanzo di Pavese e ne aggiunge di propria, di diversa: le pagine sono quasi luminose, traspiranti, e lasciano vedere dietro le quinte una storia ancora più affacciata su un precipizio di quanto non venga lasciato intendere a primo acchito.

Eva Luna Mascolino
Eva Luna Mascolino Pubblicato il 04-02-2021
La luna e i falò

La luna e i falò

  • Autore: Cesare Pavese
  • Genere: Fumetti e Graphic Novel
  • Categoria: Narrativa Italiana
  • Casa editrice: Tunué
  • Anno di pubblicazione: 2021

Dal 2021 le opere di Cesare Pavese sono diventate di pubblico dominio, motivo per cui diverse case editrici hanno colto l’occasione per proporre nuove edizioni e curatele della sua produzione. Operazione particolarmente interessante e fuori dal coro è quella di Tunué, che da oggi, 4 febbraio, porta in libreria La luna e i falò in forma di graphic novel, con sceneggiatura di Marino Magliani, disegni e copertura di Marco d’Aponte e impaginazione e lettering di Gloria Fava.

Fin dalle primissime pagine, la scelta di alternare le vicende del romanzo apparso per la prima volta nel 1949 e quelle del suo autore è resa palpabile grazie a un espediente quanto mai riuscito in questo contesto: l’uso del colore per la storia di fantasia e del bianco e nero per gli episodi reali (o quantomeno verosimili). Così, tra una maglia e l’altra della finzione – che in Pavese non è mai del tutto tale – si infilano lampi di vita, monologhi ed episodi con protagonista lo scrittore stesso, in cui il filo rosso che lega quest’ultima alle sue opere diventa un vero e proprio sinolo.

La nitidezza delle parole e dei contorni grafici, per di più, spicca per contrasto rispetto alle smussate sfumature cromatiche, che nell’incertezza del tratto suggeriscono l’inquietudine di decine di domande esistenziali. Ipnotici sono soprattutto gli sguardi, le relazioni prossemiche fra i personaggi, e intanto per un meccanismo quasi incredibile si sentono forti gli odori della campagna, si calpestano colline e sale d’attesa delle stazioni con i propri piedi da un capo all’altro della storia.

Ci sono passaggi che addirittura sono per metà policromatici e per metà spogli, senza colori, come a sottolineare in maniera ancora più esplicita e più violenta il perenne movimento di entrata e di uscita dall’opera letteraria, insieme alle febbrili incursioni della realtà tra i vestiti dei personaggi. I giochi di luce, le inquadrature e il focus spesso puntato sui volti o sul rapporto tra i corpi e lo spazio circostante, inoltre, sembrano studiati in compagnia dello stesso Pavese, o presi in prestito da un biglietto lasciato per caso in mezzo al manoscritto originale.

La disposizione delle scene nelle gabbie è a sua volta vorticosa, a tratti controintuitiva: costringe a guardarsi intorno di continuo, a tornare sui propri passi e poi a tenere ampio lo sguardo sulla pagina, come a voler ricordare a chi legge che il senso dell’esistenza va abbracciato da lontano, nella sua imprevedibile e a volte spigolosa rotondità. Sullo sfondo resta la poesia della lingua di Pavese, mentre in primo piano il modo di stare al mondo e il mondo stesso dei suoi protagonisti si muovono come animali senzienti, restituiscono l’amarezza lacerante di un’esistenza che non è mai dolce come la si sogna ancora da ragazzini.

Verde, rosso e giallo ritornano dappertutto e in ogni momento: sono simboli costanti, richiami a significati che Pavese aveva già chiarito a suo tempo, o anche solo suggerito, e che ora dànno vita con la loro pienezza cromatica a scene e a dialoghi sempre taglienti – come quello in cui Anguilla parla con Valino, osserva che:

“C’è un’uva bella, quest’anno [...]. Manca solo un po’ d’acqua" e si sente rispondere mentre l’altro gli dà ancora le spalle che "Qualcosa manca sempre”. (p. 49)

Per non parlare di citazioni anche ben più note, inserite nel flusso del discorso con una naturalezza stupefacente (si veda per esempio "Non ci si uccide per amore di una donna… ma perché un amore, qualunque amore, ci rivela nella nostra nudità, miseria, inferiorità, nulla…" a pagina 37).
L’introduzione di Marta Barone è l’ennesima pietra preziosa del volume, che lo arricchisce attraverso una dedica, un canto di saluto, un suggestivo presagio di amore e di morte:

“Così, il presente, con il ricordo vicinissimo e le ferite della Resistenza, i preti che decantano i repubblichini e il pericolo comunista, i cadaveri sepolti nei campi e quelli sulle montagne, una Resistenza a cui Pavese non aveva partecipato senza mai superare il senso di colpa verso gli amici morti e i superstiti, ma alla quale in questo romanzo restituisce una forza e un significato che non nascondono ombre e dolore; questo presente dove Anguilla si muove guidato da Nuto continua ad alternarsi con i ricordi del passato, il desiderio straziante per la bellezza di feste di cui vedeva i falò sulle colline vicine sotto la luna, le belle ragazze di una famiglia ricca misteriosamente scomparse, i morti e i vivi, gli squarci americani.”

Il risultato è un’opera d’arte a sé stante, che racchiude tutta la potenza del romanzo di Pavese e ne aggiunge di propria, di diversa: le pagine sono quasi luminose, traspiranti, e lasciano vedere dietro le quinte una storia ancora più affacciata su un precipizio di quanto non venga lasciato intendere a primo acchito.

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© Riproduzione riservata SoloLibri.net

Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: La luna e i falò

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