L’oceano leggeva con me. Lettere a Rilke sulla poesia
- Autore: Rainer Maria Rilke Marina Cvetaeva
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: L’orma editore
- Anno di pubblicazione: 2023
Caro Rainer,
Ora vivo qui.
Mi ami ancora?
Così scriveva la poetessa russa Marina Cvetaeva a Rainer Maria Rilke fornendo all’autore tedesco il suo nuovo indirizzo parigino: 31, Boulevard Verd. Era il 7 novembre 1926, Marina non poteva saperlo, ma sarebbe stata la sua ultima lettera al poeta. Lui non le avrebbe mai risposto.
Rilke sarebbe morto, nel dicembre di quello stesso anno, nella clinica di Val-Mont, in Svizzera, dove si era recato per curare una grave forma di leucemia.
L’ultima lettera di Marina Cvetaeva a Rainer Maria Rilke
Tre giorni dopo, ricevuta la notizia della sua scomparsa, Marina Cvetaeva scrisse un’altra lettera - dopotutto quella corrispondenza letteraria, quel sottile foglio di carta, era tutto ciò che ancora la teneva unita al venerato Rilke - e così lei scriveva a un morto; esiste forse un atto più incoerente e, al contempo, poetico?
Con quelle ultime parole di Cvetaeva - una lettera di fatto prima di ricevente ma che comunque giunse a destinazione - si sanciva un rapporto ultraterreno che, del resto, era nato molto mesi prima, già al di là delle cose mortali, in un territorio atipico e senza frontiere che è il regno della letteratura.
In quel mondo sfumato e privo di contorni, dove vigeva il pensiero controfattuale e regnava incontrastata l’immaginazione, Cvetaeva poteva ancora pregare Rilke chiamandolo per nome: “Rainer, scrivimi!” e augurargli un felice anno nuovo, brindando con lui al futuro, come se la vita del grande autore di lingua tedesca non si fosse interrotta bruscamente a soli cinquantun anni.
Era il 31 dicembre 1926 e Marina Cvetaeva scriveva una “profezia di eternità” che, contro ogni previsione umana, si sarebbe davvero avverata:
Rainer, sei ancora su questa terra, non è ancora passato un giorno intero.
La poetessa russa aveva intuito il presagio di immortalità contenuto nella poesia di Rilke; nella testarda incapacità di Cvetaeva di accettare la morte dell’autore vi è, in fondo, qualcosa di vero. Rainer Maria Rilke è morto, eppure non è mai morto, continua a vivere attraverso le sue parole e i suoi scritti.
Nell’ultima lettera appassionata - solo in apparenza paradossale - di Marina Cvetaeva troviamo la suprema verità letteraria, riusciamo a toccare con mano l’esistenza di un mondo astratto che sussiste al di là dei confini estremi - e invalicabili - della vita e della morte.
Leggendo la corrispondenza epistolare tra Marina Cvetaeva e Rainer Maria Rilke, portata di recente nelle nostre librerie da L’orma editore con il titolo L’oceano leggeva con me. Lettere a Rilke sulla poesia, si ha la sensazione di assistere a un dialogo ultraterreno. Colpisce anzitutto l’asimmetria del rapporto: lei scrisse sempre lunghe missive appassionate; lui, provato dalla malattia, rispose di rado ma non mancò di dichiarare tutta la propria stima alla poetessa, alla quale si riconosceva unito da un’affinità intellettuale profonda.
Non si conobbero mai di persona, solo attraverso la scrittura (Ci sfioriamo. Come? Con battiti d’ali, scriveva Cvetaeva). Le loro anime si toccarono - e riconobbero - nel contratto tra le parole. Lei lo attese sempre; lui non venne mai. Eppure, a noi che leggiamo questo carteggio appassionato, pare che l’incontro sia avvenuto: forse è la prova che le parole possono farsi “presenza”?
Le lettere tra Cvetaeva e Rilke
Il rapporto epistolare tra Cvetaeva e Rilke era nato, del resto, all’insegna della letteratura, suggellato da un libro e da una dedica. A mettere in contatto i due poeti era stato - sempre tramite lettera - un altro grande nome della letteratura del Novecento: Boris Pasternak. Fu proprio l’autore de Il dottor Zivago a presentare Cvetaeva a Rilke, introducendola come “una vera poetessa, di enorme talento”. Rainer Maria Rilke non aveva certo bisogno di presentazioni; Marina lo venerava sin dall’infanzia e quando ricevette i suoi libri autografati (si trattava delle Elegie duinesi e I Sonetti a Orfeo) accompagnati da un breve scritto, proruppe in un’esclamazione di gioia che riportò subito per iscritto. Leggendo questa lettera, la prima che Cvetaeva scrisse a Rilke il 9 maggio 1926, sembra di sentire il cuore palpitare battendo furiosamente nelle pause tra le parole:
Rainer Maria Rilke!
Mi è concesso di chiamarLa così? Lei che è la poesia incarnata deve ben sapere che già il Suo nome è una poesia. Rainer Maria: suona come una chiesa, un’infanzia, una cavalleria.
Era una lettera così appassionata, quasi incendiaria; a leggerle ora le parole scottano tra le dita come se traboccassero di sentimento. Difficile riconoscere appieno Marina Cvetaeva, la sua personalità anticonformista e rivoltosa, in queste frasi così cariche di ammirazione incondizionata che sembrano flettersi in un inchino, piegate da quel nome sovrano “Rainer Maria Rilke”, scritto con una reverenzialità tale da sfiorare l’assurdo. La lettera proseguiva sullo stesso tono e Marina ricordava l’incontro letterario con Rilke, avvenuto a Praga nel 1922, dove lei lesse per la prima volta un suo libro dal titolo Prime poesie.
L’incontro reale, come sappiamo, non avvenne mai, sebbene lo stesso Rainer Maria Rilke lo avesse preannunciato inviando a Cvetaeva i suoi due libri:
Ma perché, mi domando, perché non mi è stato dato d’incontrarvi allora, Marina Ivanovna Cvetaeva? Ebbene, dopo la lettera di Pasternak, penso che quell’incontro mancato avrebbe consegnato a entrambi una profondissima, segreta felicità. Riusciremo mai a rimediare?
La felicità di quell’incontro “mancato” è custodita, tuttora palpitante e vitale, in queste lettere scambiate nell’arco di soli quattro mesi che oggi leggiamo con stupore e commozione quasi si trattasse di un messaggio dall’aldilà. L’intero dialogo tra i due poeti si muove nel tracciato di una conversazione visionaria, onirica, in grado di esistere in un altrove imprecisato, oltre la Realtà.
Sullo sfondo si muove il fantasma “galeotto” di Pasternak - che ritorna citato più volte, un’amicizia ormai logora, dimenticata - e le questioni linguistiche che premevano a entrambi (qual è la lingua della poesia?): secondo Cvetaeva “Nessuna lingua è la lingua madre” e la nazionalità è al contempo “inclusione ed esclusione” - e questa convinzione si traduce nell’impegno di scrivere a Rilke non in russo, ma in tedesco, una lingua che per lei è “una promessa infinita”.
Ogni lettera è il tentativo appassionato di rimediare a quella coincidenza mancata, di organizzare un appuntamento da qualche parte nel mondo, soprattutto da parte di Marina, che durante l’estate del 1926 non si dà pace:
In una piccola città, Rainer. Per tutto il tempo che vuoi: per il poco tempo che vuoi. (...) Rainer, quest’inverno dobbiamo incontrarci, da qualche parte nella Savoia francese. (...) O magari in autunno, Rainer. O in primavera.
Lui non rispose all’appello, sapeva già di non avere più tempo, che non avrebbe visto un’altra primavera. Ora rileggendo la prima lettera di Rilke - la breve missiva di accompagnamento ai libri che avrebbe dato avvio all’epistolario - si comprende meglio l’ultima lettera di Cvetaeva, che era la degna conclusione letteraria del carteggio. Le due lettere si rispondono circolarmente in una sorta di parallelismo, in un’eco di significati. Al principio lui parlò con rammarico di un “incontro mancato”, nel finale lei fece il modo che quell’incontro impossibile finalmente si realizzasse:
Stanotte, a mezzanotte scoccata, alzerò un calice con Te. (E tu sai come lo avvicinerò a toccare il tuo - piano piano!)
L’oceano di Marina Cvetaeva
L’anno nuovo di Marina, di Rainer, era appena cominciato. Il titolo dell’epistolario L’oceano leggeva con me non è casuale: Marina Cvetaeva chiudeva la prima lettera a Rilke affermando di aver letto le sue parole davanti all’oceano.
Ho letto la tua lettera davanti all’oceano, l’oceano leggeva con me, leggevamo entrambi. Ti dà fastidio che abbia letto anche lui?
Concludeva giurando che non ci sarebbero stati altri lettori, perché era “troppo gelosa”. E a noi oggi sembra di compiere un atto sacrilego profanando queste lettere, questa corrispondenza privata che, tuttavia, fu la stessa Marina a salvare dall’oblio consegnandola ai posteri - inviò le lettere in un plico alle edizioni letterarie di Stato - prima di togliersi la vita nell’agosto del 1947.
Il fatto stesso che avesse affidato le sue parole all’oceano non è un caso, è una promessa che ritorna: l’acqua era un elemento caro a Cvetaeva, come ricorda il suo unico romanzo Sonečka (1937):
Vorrei: “Sonečka, ti scrivo dall’oceano!” - ma è impossibile. Scrivo di te sulle rive di un oceano dove non sei stata né sarai mai. Sulle sue sponde, ma soprattutto sulle sue isole, vivono tanti occhi neri. Lo sanno bene i marinai.
Ecco, l’oceano nella scrittura di Cvetaeva si fa soglia. Forse è proprio l’oceano il luogo dell’incontro, lo spazio mistico della presenza-assenza, dove si annulla il confine estremo tra morte e vita. Sullo sfondo dell’onda marina si muove l’impulso irrefrenabile della scrittura; le parole sgorgano come lacrime.
Anche l’incontro tra Cvetaeva e Rilke era avvenuto, dopotutto, sulla riva dell’oceano in quella prima lettera del maggio 1926 che aveva ricevuto, non a caso, il battesimo dell’acqua.
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