Sonečka
- Autore: Marina Cvetaeva
- Genere: Classici
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Adelphi
- Anno di pubblicazione: 2019
Un canto d’amore e di rivoluzione. Difficile dire quello che contiene questo piccolo libro che, a dispetto delle sue dimensioni, è immenso. Forse bisognerebbe partire dal titolo Sonečka (nell’originale russo è Il racconto di Sonečka, Ndr), che ha il suono trillante, onomatopeico di un sonaglio o di un carillon e ci rimanda alla sua protagonista: l’attrice Sof’ja Gollidej (Gollidej è il corrispettivo dell’inglese Holiday, festa), detta Sonecka, piccola come una bambina, dai vivaci occhi scuri e luminosi, ribelle, intensa, indocile.
È lei la poesia per Marina Cvetaeva che la incontra nella Russia rivoluzionaria.
All’epoca Sonecka aveva vent’anni ma ne dimostrava quattordici, era quell’”attrice piccolina” che tutta Mosca conosceva; il teatro era sempre pieno per vederla recitare nelle Notti bianche, in cui interpretava il ruolo di Nastenka.
Le due donne, l’attrice e la poetessa, vengono presentate da un amico comune e divampa subito un vivo incendio; un fuoco che brucia per tutte le pagine del libro e non si esaurisce nemmeno nel finale. Cvetaeva lo capisce subito, Sonecka è l’Infanta cantata dal poeta Pavlik:
Sappi Infanta: su ogni rogo, se a guardarmi
saranno i tuoi occhi
sono pronto a salire…
Con una prosa intrisa di poesia, un lirismo estremo che palpita e commuove, Marina Cvetaeva nelle pagine Sonečka (Adelphi, 2019, traduzione di Luciana Montagnani) narra la vita difficile, durissima, nella Russia della Rivoluzione d’Ottobre – in cui mancava il pane e la legna e i bambini, come la piccola Irina, morivano di fame – ma soprattutto la vitalità fulgida, inestinguibile che può sprigionare da certi esseri luminosi, irripetibili, che rappresentano un unicuum nelle nostre vite. Sin dal principio la narrazione si dipana nella nostalgia del ricordo, nella certezza dell’addio: sappiamo che la ragazza ormai è perduta per sempre, che l’autrice non la rivedrà mai più.
Seguendo il filo irregolare della memoria Marina Cvetaeva riporta in vita Sonecka e un intero mondo perduto, compiendo un prodigio attraverso la scrittura.
Nella Mosca rossa dove dilaga la povertà e la rovina e non c’è spazio per sognare, si compie un incontro travolgente: “Ma sono davvero possibili quelle taverne…e tempeste di neve…quegli amori?” chiede Sonecka a Marina guardandola con gli occhi spalancati; è rimasta rapita dalla sua opera teatrale, La tormenta. Così la poesia si invera nella quotidianità di un tempo nemico, sull’orlo della catastrofe, quando ormai il mondo è andato in pezzi e del passato “non è rimasto nulla”. Sonecka è la vita, l’amore, la giovinezza, il suono di un grammofono in una notte senza luna.
È un amore puro, una “reciproca deificazione di anime”, di cui Marina Cvetaeva, all’epoca sposata e con due figlie, dice:
Non ci siamo mai baciate, io e lei: solo nel salutarci – quando arrivava o andava via.
Finché Sonecka davvero non se ne andrà via per sempre, per “seguire il suo destino di donna”, come scrive efficacemente l’autrice, e sposare un uomo. Non tornerà mai più, non si rivedranno in autunno come promesso, ma Marina sempre la attenderà e chiederà ansiosamente notizie di lei perché sa che “il suo non venire è amore”.
Sonecka non venne perché non poteva dirmi addio.
Nel 1937 una lettera della figlia Alja, che è appena tornata in Russia, comunicherà a Marina che l’attrice Sof’ja Gollidej è morta. La poetessa si trova in Francia con il figlio Mur e, dalle rive di un altro oceano, scriverà febbrilmente il Racconto di Sonecka. Sarà l’unico romanzo di Marina Cvetaeva, naturalmente poetico, scritto con un uso sovrabbondante di trattini, ripetizioni ed espressioni che hanno la melodia ritmata e incandescente di un verso.
Sonecka è una poesia in forma di prosa. Le ultime venti pagine sono struggenti e ci trascinano nel vivo incendio di una passione che tuttora divampa, una fiamma iridescente che brucia e non si consuma.
Sappi, Infanta, su ogni rogo, se a guardarmi saranno i tuoi occhi…
La presenza vitale di Sonecka rimane racchiusa in una serie di immagini indelebili: una collana di corallo, lacrime più grandi degli occhi, le notti bianche, la canzoncina di Gallidà e, infine, la dolcezza dello zucchero che si scioglie leggero sulle labbra.
“La amavo come lo zucchero durante la rivoluzione”, scrive Marina Cvetaeva. Lo zucchero non è un bene necessario, soprattutto in tempi di carestia, si può benissimo farne a meno; se manca non si muore, osserva l’autrice, ma neppure si vive. Così quando Sonecka se ne andrà via, per seguire il suo “destino di donna”, porterà con sé anche il cuore di Marina compiendo una lacerazione.
Da quella ferita immedicabile, ancora sanguinante, traggono origine le parole di questo libro, dettate dal dolore e dalla fatalità. Ma non c’è esistenza che, almeno per un istante, non sia stata immortale – e un sentimento così può valere la felicità di tutta una vita.
Piccola nota a margine. Il racconto di Sonecka fu scritto nel 1937 e ancora sorprende per la sua immediatezza, la sua lucidità, l’onestà senza veli che trapela da ogni riga. Eppure, nel finale, avvertiamo un nodo non sciolto: Marina Cvetaeva ripete più volte che Sonecka si strappa da lei per seguire il suo “destino di donna” e dunque sposare un uomo, votare la propria vita completamente alla cura e all’accudimento di quell’uomo. Così facendo Marina mette in luce “l’impossibilità dell’amore” tra lei e Sonecka che, di fatto, si mantiene casto e puro fino alla fine. Nelle parole della Cvetaeva, tuttavia, possiamo avvertire già una critica velata, profondamente contemporanea, a questo “destino di donna” che viene descritto come una condanna, un peso da tollerare e sopportare, un’eredità sgradevole e non voluta.
In un altro passo del romanzo la stessa Sonecka legge una poesia che recita così:
Partorì.
Battezzò.
Maritò.
Benedisse.
Morì.
Sonecka, dopo averla letta, conclude che è la sua preferita perché: “Eccola tutta la vita delle donne!”. Già in queste righe è scritto il suo inevitabile destino di morte; tuttavia facendo leggere proprio a lei la poesia Marina Cvetaeva sembra anche ammettere la sua ribellione. La ragazza ha piena coscienza di quel che la attende, eppure recita i versi con aria di sfida e, infine, conclude:
Adesso ditemi, Marina - capite tutto questo? Potete amarmi, fatta come sono?
In quel “fatta come sono” c’è tutta l’unicità di Sonecka, la sua folle imprevedibilità, la modernità di un personaggio che non si piega alle regole, anche a costo di non essere amata, apprezzata, capita. Poco prima era stato sottolineato che nessuno riusciva ad amare Sonecka, poiché gli uomini la disprezzavano per il suo talento e la sua intelligenza, mentre le donne la invidiavano. Come osserva Marina, nessuno amava la sua Sonecka “per la sua singolarità: per il pericolo che la singolarità costituisce”.
Con rassegnazione, nel finale, Cvetaeva parla di quel “destino di donna” che assorbe, inevitabilmente anche la “sua” (qui il possessivo è d’obbligo) Sonecka, spegnendo il lume del suo ardore e della sua giovinezza. Quello spietato “destino femminile”, che incombe con la fatalità di una ghigliottina, rappresenta il comandamento non scritto, la norma sociale omologante che condiziona l’andamento delle singole vite:
Io, il mio amore per lei, il suo per me: il nostro reciproco amore non rientrava in nessun comandamento. Di noi due non si cantava in chiesa e non era scritto nei Vangeli.
In queste righe troviamo tutta la modernità dirompente di Marina Cvetaeva. Ammette l’esistenza di un “destino di donna”, ma non manca di descriverlo come una costruzione sociale di stampo patriarcale, come un sacrificio canonizzato e legittimato dallo Stato, dalle istituzioni, dalla religione stessa.
Così ci spiega, al contempo, la regola e pure la sua eccezione: riconosce che, lei stessa, Sonecka, sono - per un attimo - sfuggite a quella trama già scritta.
Le parole di Cvetaeva, dopotutto, erano figlie del loro tempo: nel 1937 a quel “destino di donna” non si poteva sfuggire, ma già Marina, nell’impeto sovversivo della Russia rivoluzionaria, ci stava indicando la maglia rotta nella rete, l’anello che non tiene, dimostrando che in fondo è possibile spezzare la catena secolare della schiavitù femminile. Forse sapeva che un giorno le sue parole sarebbero state lette da donne più consapevoli, donne libere, davvero capaci di scegliere il corso del loro destino, di plasmarlo attraverso la volontà.
A quelle donne lettrici, oggi, non sfugge l’appassionata forza rivoluzionaria del suo pensiero - e ne fanno tesoro e le dicono “grazie”.
Sonečka
Amazon.it: 7,99 €
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Sonečka
Lascia il tuo commento
Deve essere un testo bellissimo. Peccato, per me, non conoscere il russo. Ho qualche perplessità su alcune sfumature del commento. Un po’ troppo attualizzate, mi pare. Nel testo io ravviso una presa d’atto, come su tante realtà della vita e della storia.