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Recensioni di libri

Il primo uomo di Albert Camus

Per comprendere il pensiero, l’intima essenza e l’opera omnia di Albert Camus (1913–1960) non si può prescindere dalla lettura del suo romanzo autobiografico ed esistenziale rimasto incompiuto, pubblicato postumo Il Primo uomo.

Alessandra Stoppini
Alessandra Stoppini Pubblicato il 23-01-2014

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Il primo uomo

Il primo uomo

  • Autore: Albert Camus
  • Genere: Classici
  • Casa editrice: Bompiani

“Sopra il calessino che viaggiava su una strada acciottolata, nubi grosse e dense correvano nel crepuscolo verso oriente”.

Era una notte d’autunno del 1913 e i viaggiatori, partiti già da due ore e mezzo dalla stazione di Bona sul veicolo che cigolava sulla strada condotto da un arabo, erano un francese sulla trentina dallo sguardo impenetrabile e una donna dal viso dolce e regolare, capelli da spagnola neri e ondulati “vestita poveramente ma avvolta in un grande scialle di lana grossa” accanto alla quale dormiva un bambino di quattro anni. Essi erano arrivati a Bona dopo un giorno e una notte di treno sui duri sedili di terza classe provenienti da Algeri e non potevano sapere che anche quelle nuvole minacciose che viaggiavano sopra di loro avevano compiuto un lungo itinerario gonfiandosi sull’Atlantico tre giorni prima. La moglie di Cormery stava per dare alla luce il loro secondo figlio appena giunti nella tenuta circondata da filari di vigneti di Saint-Apotre nei pressi del villaggio di Solferino, nella quale Cormery era stato appena assunto come gerente. Jacques Cormery era nato durante una notte di pioggia battente mentre “l’acqua, venuta da migliaia di chilometri, continuava a cadere senza interruzione davanti a loro”. L’acqua non si sarebbe spinta a oriente fino al mare ma avrebbe presto inondato “tutta la regione, le terre paludose vicino al fiume e le montagne intorno”. In tarda notte Cormery dopo aver guardato le fiamme del camino che danzavano sul soffitto aveva allungato con dolcezza la propria mano su quella della puerpera, era stato quello il suo ultimo gesto prima di chiudere gli occhi.

“...nel fondo della stessa notte in cui durante il trasloco era nato Jacques, l’Europa stava già accordando i cannoni che sarebbero esplosi tutti insieme qualche mese dopo, scacciando i Cormery da Saint-Apotre e spedendo lui al suo corpo d’amata ad Algeri, lei al piccolo appartamento della madre nel quartiere miserabile, con in braccio il bambino...”.

Quarant’anni dopo un uomo era curvo sulla tomba del padre ucciso nell’ottobre del 1914 nella battaglia della Marna durante la I Guerra Mondiale “per servire un paese che non era il suo”. Aveva inizio dal cimitero militare bretone di Saint-Brieuc sulla Manica il tentativo da parte di un figlio di recuperare la memoria di un padre sconosciuto morto a ventinove anni, cercando di immaginare

“che cosa potesse essere stato l’uomo che gli aveva dato questa stessa vita prima di andare a morire su una terra sconosciuta di là dal mare”.

Era arrivato il tempo per Jacques Cormery di tornare in Algeria “paese d’immigrazione” proprio nei giorni più caldi del conflitto civile contro la Francia.

“Era così ogni volta che lasciava Parigi per l’Africa: una sorda esultanza, un allargarsi del cuore, la soddisfazione di chi è riuscito ad evadere e ride ricordando le facce dei secondini”.

Per comprendere il pensiero, l’intima essenza e l’opera omnia di Albert Camus (1913–1960) non si può prescindere dalla lettura del suo romanzo autobiografico ed esistenziale rimasto incompiuto, pubblicato postumo Il Primo uomo (titolo originale del volume Le Premier Homme; ultima edizione Bompiani con traduzione di Ettore Capriolo). Il 4 gennaio del 1960, l’autore, nato a Mondovi nell’allora Algeria francese da una modesta famiglia di pieds-noirs, moriva in un incidente automobilistico in Borgogna, a bordo dell’auto guidata da Michel Gallimard, nipote del suo editore, il quale sarebbe morto cinque giorni dopo in ospedale. All’interno della macchina era stato rinvenuto in una sacca, un manoscritto di 144 pagine

“scritte di getto, a volte senza punti e né virgole, con una grafia rapida e difficile da decifrare, mai rielaborate”

come scrive Catherine Camus nella Nota del curatore. Il testo dapprima dattiloscritto dalla moglie dello scrittore, Francine, fu in seguito rivisto e pubblicato dalla figlia Catherine nel 1994 presso Editions Gallimard. Da queste pagine traspare prepotente la personalità e la visione dell’umana specie dello scrittore viste attraverso il ritorno a casa di Jacques Cormery suo alter ego, che “avrebbe trovato Algeri al termine della notte”. Tornare all’infanzia “da cui non era mai guarito”, ai luoghi del cuore e della memoria, riscoprire il vecchio e popoloso quartiere periferico algerino di Belcourt, lì dove Jacques era cresciuto e rivedere il volto della propria madre miracolosamente giovane dietro le rughe. Riassaporare l’odore della tenerezza che la donna, la quale mai si era lamentata in vita sua, emanava, e ricordare la temibile nonna materna che aveva dominato sull’infanzia di Jacques. Andare a trovare il signor Bernard, suo antico maestro, un tempo amato e temuto dai suoi allievi che rendeva vivo e divertente l’insegnamento. Dialogare con l’antico maestro che un tempo lo chiamava “moscerino”, significava ricordare anche gli anni del liceo, la cui ammissione era stata possibile tramite una borsa di studio ottenuta grazie al sostegno del signor Bernard.
“Quel successo lo sradicava dal mondo caldo e innocente dei poveri”
per gettare il liceale in un mondo sconosciuto. Voleva dire diventare uomo, senza più l’appoggio “dell’unico uomo che mai gli avesse dato una mano, crescere e allevarsi da solo, a carissimo prezzo”. A motivo di ciò Catherine Camus ha deciso di pubblicare nell’Appendice del volume una serie di documenti tra i quali la lettera che Camus aveva scritto al suo insegnante, Louis Germain, all’indomani del conferimento del Nobel per Letteratura nel ’57 per ringraziarlo.

“Senza di lei, senza quella mano affettuosa che lei tese a quel bambino povero che io ero, senza il suo insegnamento e il suo esempio, non ci sarebbe stato nulla di tutto questo”.

Jacques Cormery, emigrante e figlio di emigrante, soltanto ritrovando le proprie radici e la memoria del padre, avrebbe compreso che sia gli antenati alsaziani paterni fuggiti dai tedeschi per stabilirsi in Algeria, sia gli avi materni emigrati da Mahon in Spagna e quella famiglia in viaggio inseguita dalle nuvole facevano parte di un immenso anonimato “a livello del sangue, del coraggio, del lavoro, degli istinti, crudeli e insieme pietosi”. Un anonimato “dove ognuno era il primo uomo”.

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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Il primo uomo

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