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Recensioni di libri

Il mito di Sisifo di Albert Camus

Bompiani, 1994 – Il mito di Sisifo è la metafora dell’assurdo in Camus: la condizione propria dell’uomo che si trova di fronte a un mondo irragionevole, al quale guarda con un insaziabile bisogno di senso che sfocia nel desiderio della rivolta.

Simone Casavecchia
Simone Casavecchia Pubblicato il 07-03-2016

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Il mito di Sisifo

Il mito di Sisifo

  • Autore: Albert Camus
  • Genere: Filosofia e Sociologia
  • Categoria: Saggistica
  • Casa editrice: Bompiani

Livre d’idées scritto tra il 1936 e il 1940, quando l’umanità tutta si ritrova a dover fare i conti con la tragicità del secondo conflitto mondiale, Il mito di Sisifo (Bompiani, 1994) è, insieme a L’uomo in rivolta, il testo in cui Albert Camus tratteggia la sua personale interpretazione dell’esistenzialismo.

Nodi nevralgici de Il Mito di Sisifo, come anche della filosofia camusiana, sono i due concetti di assurdo e di suicidio, dei quali l’autore offre una lettura divergente da quelle fornite, negli stessi anni, da Sartre e da altri suoi illustri contemporanei:

"Gli uomini secernono l’inumano. In certe ore di lucidità, l’aspetto meccanico dei loro gesti, la loro pantomima priva di senso rendono stupido tutto ciò che li circonda. Un uomo parla al telefono (...) e ci si chiede perché mai egli viva. Questo malessere di fronte all’inumanità dell’uomo stesso, questa incalcolabile degradazione dell’immagine di ciò che siamo, questa «nausea» (...) sono pure l’assurdo. Parimente, l’estraneo che, in certi momenti, viene incontro a noi nello specchio, il fratello familiare e purtuttavia inquietante che noi ritroviamo nelle nostre stesse fotografie, è ancora l’assurdo".

Si tratta di un’esperienza destabilizzante, una sensazione che l’uomo sperimenta di fronte al carattere meccanico dell’esistenza – come già era capitato al protagonista de Lo Straniero – o quando si sofferma sull’ineluttabilità della morte. In ogni caso, radice comune di queste sensazioni è la consapevolezza di trovarsi di fronte un mondo irragionevole, la presa di coscienza di una comunicazione impossibile tra il mondo e l’uomo, tra i quali, pur tuttavia, sussiste comunque un legame che su quell’incomunicabilità si fonda.

In tale situazione, l’uomo continua comunque a domandare con insistenza la sua ragion d’essere trovandosi sempre di fronte l’assenza di risposte. Piuttosto che un sapere, l’uomo, in tale condizione, raggiunge la consapevolezza di una lacerazione tragica che, nata dalla coscienza di una frattura tra lui stesso e il mondo, gli impone di vivere senza poter afferrare il senso profondo della sua esistenza.

A un uomo che può comprendere solo in termini umani, poco serve ricorrere al misticismo, come fanno i Kierkegaard e gli Šestov, che predicano un risolutivo balzo nella fede: l’assurdo non può condurre a Dio perché, per Camus, è la condizione metafisica dell’uomo cosciente, da mantenere tale.
Si tratta, quindi, di vivere l’esperienza dell’assurdo, consapevoli che tale esperienza può darsi solo se quella lacerazione tra l’uomo stesso e il mondo che la coscienza ha registrato, rimane aperta e pulsante. Per questo anche il suicidio che, apparentemente eroico, in realtà nega uno dei termini (l’uomo) di cui l’assurdo stesso vive, è una soluzione che va rigettata:

"In precedenza si trattava di sapere se la vita dovesse avere un senso per essere vissuta; appare qui, al contrario che essa sarà tanto meglio vissuta in quanto non avrà alcun senso. Vivere un’esperienza, un destino, è accettarlo pienamente. Ora, non si vivrà tale destino, sapendolo assurdo, se non si farà di tutto per mantenere davanti a sé quell’assurdo posto in luce dalla coscienza. Negare uno dei termini dell’opposizione di cui esso vive, significa sfuggirgli. Vivere è dar vita all’assurdo. Dargli vita è innanzi tutto saper guardarlo"

Cosa resta, allora, in tale orizzonte di (non) senso, all’uomo di Camus? La rivolta metafisica, che prende le mosse in quel confronto, perpetuo e mantenuto tale, dell’uomo e della sua oscurità; una rivolta che non è aspirazione, perché è senza speranza ma non è neanche rassegnazione ad un destino schiacciante di cui tuttavia si è certi.

Nella tensione prodotta dall’assurdo, con lo sforzo immane che essa richiede e nell’esigenza di una trasparenza impossibile, nella coscienza di questa condizione e nella rivolta connaturata ad essa, l’uomo afferma la sua unica verità, quella della sfida e ritrova, al di là di ogni certezza metafisica e di rassicuranti morali, una provvisoria libertà.

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© Riproduzione riservata SoloLibri.net

Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Il mito di Sisifo

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