Il 4 gennaio 1960 lo scrittore esistenzialista Albert Camus muore presso Villeneuve-la-Guyard, a pochi chilometri da Parigi, in un incidente automobilistico nel quale perde la vita anche il suo editore, Michel Gallimard. Camus sarà sepolto nel cimitero di Lourmarin, in Provenza, in una tomba essenziale come la sua prosa: una semplice pietra grigia con una scritta in stampatello che recita Albert Camus 1913-1960.
Ci sono scrittori che sono segnati per sempre dal loro tragico destino: Albert Camus è uno di questi, il presagio della sua triste fine si stende ora come un’ombra lunga sulla sua vasta produzione letteraria, tanto che è impossibile ricordarlo senza riflettere sulla sua esistenza stroncata all’improvviso in un grigio mattino di gennaio. Proprio lui che nei suoi migliori romanzi, dalla Peste, allo Straniero, al Mito di Sisifo, aveva affrontato la morte faccia a faccia sfidandola con sfrontatezza in un impeto di rivolta era morto nel modo da lui stesso definito “più assurdo”: un incidente d’auto.
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Nelle sue tracce di carta Camus aveva affermato il proprio comandamento: ovvero che il libero arbitrio dell’uomo in fondo sta tutto nell’accettare di giocare questa partita a scacchi persa in partenza contro la morte, oppure nel rifiutarla. Nella sua scrittura Albert Camus aveva intrappolato il concetto stesso di “assurdo”, il “non-senso” insito nella vita, dissezionandolo riga dopo riga nello sforzo perenne di capire. Tutta la letteratura dello scrittore di origine algerino, a ben vedere, è un tentativo di trovare risposte alla domanda esistenziale per eccellenza, per lui la prima e la più urgente delle domande: “Giudicare se la vita valga o non valga la pena di essere vissuta”. Per poi giungere alla conclusione che la felicità e l’assurdo sono figli della stessa terra e, di conseguenza, inseparabili.
Nelle righe finali del Mito di Sisifo troviamo la risposta suprema e la ragione per cui Camus ha vissuto:
Anche la lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo. Bisogna immaginare Sisifo felice.
Per Camus la grandezza dell’uomo risiedeva nella consapevolezza di essere più forte della propria condizione mortale.
Ma cosa accadde davvero quel 4 gennaio 1960? Proviamo a ricostruire gli ultimi istanti di vita di Albert Camus e le teorie che stendono su quel drammatico evento l’ombra oscura di un complotto politico.
La tragica morte di Albert Camus
Il 4 gennaio 1960 era un lunedì. La visibilità quella mattina è scarsa a causa della nebbia e le strade sono ricoperte di brina. C’è una macchina in viaggio nei pressi di Thoissey, nella Francia centrale. A bordo si trovano Michel Gallimard, la moglie Janine e la figlia Anne. Con loro anche un amico di famiglia: lo scrittore Albert Camus. I quattro sono partiti il giorno prima dalla Riviera e viaggiano alla volta di Parigi.
L’atmosfera nell’abitacolo è vivace e spensierata, regna un’allegria generale ravvivata dalla serenità vacanziera. La sera prima hanno festeggiato tutti assieme il compleanno di Anne, la figlia di Gallimard, che compiva diciotto anni.
La strada è rettilinea, poco trafficata a causa della visibilità compromessa. L’auto viaggia con prudenza, a velocità moderata. Sono partiti di buon’ora, alle nove del mattino. Sono quasi le dieci quando accade l’imprevisto. Tutto si verifica in una manciata di secondi; ma del resto gli istanti fatali sono sempre una questione di pochi secondi. Tutto è riassumibile in un grido “Merde!”, o almeno questo è ciò che sente Janine Gallimard seduta sui sedili posteriori accanto alla figlia. Sarà l’ultima parola che udrà pronunciare da suo marito.
Janine in seguito raccontò di aver sentito come un terremoto, “Sembrava che qualcosa crollasse”, e di aver poi visto l’auto andare a schiantarsi dritta contro un platano.
Michel Gallimard morì sul colpo. Albert Camus venne estratto dalle lamiere ancora vivo, ma già agonizzante. Lo schianto gli aveva causato una frattura al cranio e alle vertebre. Il grande scrittore dell’esistenzialismo morì poco dopo, nonostante i soccorsi. Aveva soltanto 46 anni.
Poco tempo prima, nel 1957, era stato insignito dall’Accademia di Svezia del Premio Nobel per la Letteratura con la seguente motivazione:
Per la sua importante produzione letteraria, che con perspicace zelo getta luce sui problemi della coscienza umana nel nostro tempo.
La scrittura di Albert Camus era luce chiarificante. Leggere le sue righe con la consapevolezza della sua morte oggi commuove e indigna.
Vi si può scorgere la parabola esistenziale dell’ “uomo in rivolta” che aveva ingaggiato la propria personale lotta contro l’assurdo per affermare un senso e, in ultima battuta, era stato inghiottito dal nulla cui aveva opposto strenua resistenza. Ma, infine, era stato ben più grande del suo destino.
La teoria del complotto sulla morte di Albert Camus
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Le circostanze dell’incidente in cui Albert Camus e Michel Gallimard persero la vita sono tuttora poco chiare. Nel 2013 nel libro Camus deve morire (Nutrimenti, 2013) lo slavista Giovanni Catelli teorizza un’ipotesi del complotto.
Secondo Catelli la morte di autore ed editore non è stata accidentale, ma si trattò di un attentato organizzato dal Kgb. La teoria espressa da Catelli nel libro-inchiesta è che gli agenti dei servizi segreti di Mosca danneggiarono intenzionalmente uno pneumatico dell’automobile di Gallimard, causando così l’incidente. L’ordine sarebbe stato dato dal ministro degli esteri sovietico Sepilov che, in effetti, aveva più di una ragione per condannare a morte lo scrittore. Alcuni anni prima lo scrittore premio Nobel aveva scritto vari articoli contro l’intervento dell’Urss in Ungheria che erano apparsi indigesti al regime. In uno di questi articoli Camus aveva attaccato direttamente Sepilov, accusandolo di essere il mandate di un massacro “compiuto in nome del realismo socialista”. Come se non bastasse, poco tempo dopo, Camus aveva appoggiato caldamente il Nobel a Boris Pasternak, inviso dal regime sovietico.
Secondo la teoria di Catelli, Albert Camus aveva firmato la propria condanna a morte con le sue stesse parole. Questo almeno è quanto emerge da una annotazione scritta sul diario del poeta ceco Jan Zàbrana, in cui si appuntava che con quelle affermazioni Camus aveva seriamente messo a repentaglio la propria vita. In una nota Zàbrana appuntava di suo pugno:
Da un uomo che sa molte cose, e ha fonti da cui conoscerle, ho sentito una cosa molto strana. Egli afferma che l’incidente stradale in cui nel 1960 è morto Camus è stato arrangiato dallo spionaggio sovietico.
Sapremo mai la verità? La morte di Albert Camus probabilmente rimarrà un giallo eterno. Ma se è vero che le parole scritte illuminano e chiarificano, che le parole sono verità, allora forse il verdetto finale è già scritto. Camus si condannò con le parole e, sempre attraverso di esse, il poeta ceco Jan Zàbrana cercò di riscattare l’ingiustizia della sua tragica scomparsa portando testimonianza.
La rèvolte tenace , come insegnava Albert Camus, è tutto ciò che resta dell’uomo e lo scopo più alto e nobile della parola scritta.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Il mistero della tragica morte di Albert Camus
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