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Recensioni di libri

Lo straniero di Albert Camus

Meursault è un modesto impiegato. Vive ad Algeri. La sua vita è monotona e abitudinaria e si svolge in un totale clima d’indifferenza. Trova ristoro, di tanto in tanto, solo nella braccia di Maria. Verrà coinvolto in una lite e ucciderà un uomo. Accetta la prigionia e la condanna a morte senza timore. Nel vuoto e nell’estraneità più totale.

Lucia Dell'Omo
Lucia Dell’Omo Pubblicato il 18-02-2010

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Lo straniero

Lo straniero

  • Autore: Albert Camus
  • Genere: Classici
  • Categoria: Narrativa Straniera

Meursault è un modesto impiegato. Vive ad Algeri. La sua vita è monotona e abitudinaria e si svolge in un totale clima d’indifferenza. Sembra non sentire nulla, nemmeno la morte di sua madre gli arreca un vero dolore. E lì davanti al feretro della madre e non pensa che al caldo di quel giorno, riesce a sentire fortemente con il suo corpo e per nulla con il suo spirito.
Le persone dell’ospizio nel quale sua madre aveva passato gli ultimi anni di vita lo guardano attoniti e restano turbati e imbarazzati dalla sua freddezza.
E’ un uomo che si sente costantemente estraneo, solo, invisibile, ma non si pone domande di nessun genere. Mai. Trova un po’ di conforto solo nella braccia di Maria. Ma è un conforto temporaneo e labilissimo. Nemmeno questa donna, che pur desidera, riesce a trasmettergli vita. Quando gli domanda se la ama, risponde candidamente di no. Quando gli chiede se vuole sposarla, risponde di sì. Perché tanto a lui non interessa nulla.
In un pomeriggio caldissimo passato in spiaggia con Maria e un suo vicino di casa, si troverà coinvolto in una lite e ucciderà un uomo. Si consegnerà senza interesse e paura, con la sua aria fredda e impassibile. Presto si abituerà alla vita da prigioniero e il solo problema sarà “ammazzare il tempo“, così si mette a ricordare piccoli dettagli come i colori di quella che era la sua stanza.
Accetta la condanna a morte senza batter ciglio e solo alla fine del libro, proprio nell’attesa della condanna finale, troverà un senso di pace e di felicità provata.

E’ un libro che non si può classificare o meglio non si riesce a spiegarlo davvero. Ci sono da dire solo i fatti, perché non vi è accesso alcuno all’essere umano. Ma forse è proprio questa la forza e la bellezza di questo libro. Pubblicato nel 1942, è scritto in maniera precisa.Le parole sono semplici ma accurate e riescono a “ tagliare “ le frasi e a catapultare il lettore in quel clima apatico del protagonista. Quasi ci si sente a disagio dinnanzi al cinismo di Meursault, al suo vuoto emotivo e all’egoismo con il quale si concentra solo su stesso e su piccoli piaceri che può ricavare.
Si lascia attraversare, tagliare dal destino, senza rabbia, paura, sconforto o dolore, non sente nulla e faccio fatica ad accettarlo. Quando lessi il libro la prima volta, mi dicevo che “sembrava non sentire nulla“. Invece, la verità è che è completamente vuoto, un essere umano che non avverte la propria anima, che non si cura di lenire in nessun modo quella voragine che ha dentro.
Camus non ci spiega il perché, non ci dice la ragione di quell’indifferenza: è così e basta.
Bisogna accettare il protagonista per quello che è.
Il libro è incantevole a suo modo, anche se non riuscirete a non sentire quella totale apatia ed estraneità alla vita.
Finito il libro avvertirete, però, anche la pace delle ultime righe e vi restituirà indietro lo sforzo fatto, l’imbarazzo che vi ha arrecato questo modesto impiegato.
La cosa terribile è che intorno a noi ci sono molti più Meursault di quello che possiamo immaginare.

Lo straniero

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© Riproduzione riservata SoloLibri.net

Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Lo straniero

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Commenti: 1

  • Toni Noar Augello, scrittore
    15 marzo 2012, 13:47

    La grandezza di questo romanzo sta tutta nel titolo.
    Un aggettivo che non appare mai nel testo, ma che lo impregna a tal punto da diventare la straordinaria sintesi dello stesso. La perfetta definizione del suo protagonista. Un uomo estraneo a se stesso, al mondo in cui vive, eppure lucido, dotato di grande intelligenza e non certo privo di sensibilità, come pure appare ai più.

    Un progetto letterario architettato con frasi brevi, sospese. Laconiche come scatti fotografici, ma dotate di ampie profondità. Periodi chiusi, in cui l’autore riesce a farci stare dentro al vuoto emotivo del protagonista e farci vivere il non dramma di un antieroe - figura che diverrà emblematica in tanta produzione artistica successiva – che vive al di fuori di regole e cliché.

    A noi che siamo abituati a dare un senso alle cose per tradizione ereditaria, Meursault da l’orticaria.

    A noi che nemmeno cerchiamo il senso delle cose, ma lo recepiamo così com’è, da fastidio la durezza di quest’uomo. Ma in fondo quello che forse ci accomuna è la stessa incapacità di avviare un percorso personale alla scoperta dell’uomo e della sua storia. Noi per abitudine, lui per scelta.

    E così come noi tante volte risultiamo insensibili per assuefazione alle cose, lui è insensibile per totale premeditata indifferenza.

    Così sia noi che lui rimaniamo distanti dalle cose, almeno fin quando non le andiamo incontro. E anche potrà capitare di restare del tutto indifferenti a se vivere o morire, ridere o piangere, sperare o disperare. Forse, per quanto vogliamo illuderci, non siamo cosi diversi dal protagonista. E la grandezza del romanzo sta nel venire a scompigliare l’ordinato mondo di pensieri che regola i nostri giorni, innescando la miccia del dubbio: siamo meglio di Meursault?

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