I clienti di Avrenos
- Autore: Georges Simenon
- Categoria: Narrativa Straniera
- Anno di pubblicazione: 2014
Nella Turchia degli anni Trenta del XX secolo governata da Mustafa Kemal Ataturk (Padre dei turchi), l’ungherese Nouchi era arrivata ad Ankara, proveniente da un caseggiato operaio alla periferia di Vienna in cui era nata, in cerca di fortuna.
“Probabilmente non arrivava ai diciotto anni e aveva lineamenti irregolari, un naso aguzzo, due occhi penetranti come punte di spillo.”
La giovane era diventata una delle tante ballerine del cabaret Le Chat Noir, le quali, dietro compenso adeguato, non disdegnavano di intrattenere i numerosi clienti.
“Le ragazze correvano su per le scale che portavano al soppalco. Si mettevano il rossetto o la cipria, si accalcavano davanti a un pezzo di specchio.”
Funzionava così:
“... partono dall’Ungheria in gruppi di dieci o dodici, tutte più o meno ballerine, a volte accompagnate da un paio di madri, e fanno il giro dei night club del Medio Oriente.”
Ovunque fossero approdate queste ragazze, tra le quali Nouchi, avrebbero trovato gli stessi Tabarin e Chat Noir, gli stessi palchi con le tende, gli stessi proprietari poliglotti.
Le ragazze non dovevano saper fare granché: bastava un qualsiasi numero di danza, vestite il meno possibile, prima del lavoro vero e proprio che consisteva nell’indurre i clienti a bere. Uno di questi clienti era un uomo sui quarant’anni, diverso dai soliti frequentatori dei locali notturni, un tipo così Nouchi l’aveva visto solo al cinema. Bernard de Jonsac aveva i capelli biondi, un po’ radi, che lasciavano intravedere il cranio, con qualche filo bianco intorno alle orecchie. L’uomo aveva colpito Nouchi per la sua aria distinta “aveva persino un monocolo, che conferiva alla sua fisionomia un certo sussiego aristocratico” e in un dito delle sue mani bianche, curatissime, si notava un diamante incastonato in un anello di platino. La sessione parlamentare volgeva al termine, di lì a tre o quattro giorni il Gazi avrebbe sciolto l’Assemblea per la pausa estiva e alcuni deputati avevano già lasciato la capitale. Attorno allo Chat Noir che “si predisponeva con indolenza alla sua vita notturna, non sorgeva una vera e propria città, ma una specie di avamposto, come se ne vedevano in America all’epoca della conquista del West”.
Presto il locale avrebbe chiuso per ferie.
“Portami con te!”
Aveva chiesto Nouchi a Bernard, il quale il giorno dopo sarebbe partito per l’antica Costantinopoli. L’uomo e la ragazza si erano ritrovati lungo i binari della piccola stazione già arroventata dal sole.
“I tuoi amici di Istanbul sono turchi?” “Turchi, francesi, italiani, ebrei...”
Il viaggio in treno li aveva condotti sulla banchina di Haydar Pascià.
“Un traghetto li avrebbe portati sull’altra riva del Bosforo, a Istanbul, di cui già vedevano i minareti sulla sinistra e le case di cemento della città nuova sulla destra.”
"I clienti di Avrenos" di Georges Simenon (titolo originale del volume Les clients d’Avrenos, traduzione di Federica Di Lella e Maria Laura Vanorio), fu pubblicato da Gallimard nel 1935, mentre la prima edizione italiana del romanzo è del gennaio 1961 edito da Mondadori, del 2014 è la riedizione di Adelphi.
Questa volta lo sguardo acuto e indagatore dello scrittore belga si trasferisce in Turchia, nel Bosforo con la sua atmosfera languida, il suo sfarzo e le sue miserie. All’ombra dei caicchi che scintillavano al di là del Bosforo, Costantinopoli “allargava contro il cielo purpureo il ventaglio dei suoi minareti e delle sue cupole”.
In questa suggestiva cornice si svolgono le miserie umane legate alle vicende di due personaggi indimenticabili. De Jonsac, non era un avventuriero, non si arricchiva con traffici illeciti, non rubava e non era nemmeno una spia come pensava Nouchi. Bernard era un dragomanno cioè una specie di interprete dell’ambasciata e anche una specie di commesso, “nel senso che gli venivano affidate tutte le piccole incombenze presso le autorità turche”. Il bohémien de Jonsac era un misero signorotto di campagna che non avendo rendite sufficienti per vivere aveva cercato di sfruttare la sua conoscenza delle lingue. Nouchi disprezzava la povertà e i poveri probabilmente perché le ricordavano la sua infanzia.
Per comprendere l’atteggiamento della maliziosa e provocante ragazza che non si concedeva a nessun uomo, rivelatrice sarebbe stata una vecchia fotografia ingiallita.
“Mai e poi mai apparterrò a un uomo, neanche a te, ficcatelo bene in testa!”
Sullo sfondo oltre agli amici di de Jonsac, nobili decaduti, artisti falliti, tutti dediti all’alcol e a fumare l’hashish, brilla il personaggio di Leila Pastore, figura tragica e simbolica di quel mondo che Simenon con pochi aggettivi sa tratteggiare con sottile perizia.
“Si abbandonava di nuovo al dolce far niente, al kief, come dicono i turchi, il girovagare senza meta in balìa del vento e del caso.”
I clienti di Avrenos
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