Eichmann, dove inizia la notte. Un dialogo fra Hannah Arendt e Adolf Eichmann
- Autore: Stefano Massini
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Fandango Libri
- Anno di pubblicazione: 2020
A sessant’anni di distanza dalla cattura in Argentina di Otto Adolf Eichmann, il suo nome e la sua vicenda sono ancora vividi nella memoria della Storia.
Stefano Massini, in questo funesto anno, ci regala una nuova lettura su cui soffermarci a riflettere: Eichmann, dove inizia la notte. Un dialogo fra Hannah Arendt e Adolf Eichmann (Fandango Libri, 2020).
L’opera prende forma attraverso le incalzanti domande della filosofa tedesca Hannah Arendt (all’epoca docente universitaria negli Stati Uniti) a Eichmann, uno dei principali responsabili dello sterminio ebraico e dell’attuazione della “soluzione finale” durante la Seconda Guerra mondiale.
Il dialogo, fin dal primo scambio di battute, si trasforma in un interrogatorio serrato al quale il nazista non oppone alcuna resistenza, ma favorisce con naturalezza risposte che purtroppo non soddisfano le aspettative della donna.
“Lei non saprà mai né chi ero né chi sono: è troppo abbagliata da chi devo per forza essere. Lei lo ha già deciso.”
Inizialmente, Hannah Arendt crede di avere davanti a sé non un uomo ma l’incarnazione del male stesso, in realtà, l’aspettativa viene delusa: Eichmann racconta di sé, delle sue umili origini e di come avesse speso la sua intera esistenza nel tentativo di soddisfare il suo progetto di rivalsa economica e sociale.
“Mi stimavano. Himmler un giorno era a Vienna. Rimase stupito, quando gli tradussi il titolo di un giornale yiddish. [...] Fui pagato da quel giorno.”
Eichmann bramava considerazione, riconoscimenti, stima e affermazione. Un desiderio comune a molti uomini. Ma quand’è che l’uomo abbandonò la morale e si rivestì di male assoluto? Esiste un confine tra l’umano e l’inumano?
“Non c’è il bene e non c’è il male. C’è solo quello che va fatto.”
È di fronte a questa affermazione che Arendt comprende che non può portare avanti il colloquio così come lo aveva programmato: suscitare nel nazista il rimorso e una presa di coscienza delle sue azioni.
Fin dalla cattura in Argentina, Eichmann è sempre stato consapevole che il verdetto finale del suo processo in Israele sarebbe stato una condanna a morte, nonostante ciò egli non ha mai dimostrato il rimorso né l’intenzione di voler rinnegare se stesso e la sua condotta. Infatti, tra queste pagine è ben chiaro questo suo atteggiamento.
Eichmann, pagina dopo pagina, giustifica ogni sua scelta come una strada percorsa nella consapevolezza di aver agito nel migliore dei modi; e lo fa con una pacatezza e una tranquillità tale da inorridire sia lo stesso lettore sia Arendt.
Sconcertante è anche l’impegno messo dallo stesso Eichmann nello sgretolare la sua immagine pubblica di spietato boia, rivelando una natura inattesa, ossia quella di un uomo mediocre e meschino, privo di qualità intellettuali ma dotato di una bieca coscienza e di una morale opportunistica così forti da avergli permesso di realizzare la sua inarrestabile ascesa gerarchica nel Reich.
“Da dove parti non conta, l’essenziale è dove arrivi. […] Avrei voluto altro: un comando di polizia, l’ordine pubblico. Chiesi per anni di essere promosso”.
La sua sete di rivalsa non lo faceva dormire la notte, perché lui anche di giorno sognava ad occhi aperti: guardie personali, cene lussuose in ristoranti di classe, anatra speziata, domestici e macchine costose; ma per avere il potere, è necessario sacrificare qualcosa e nel caso di Eichmann si trattò di dignità e morale.
“Per meritarmi Berlino. […] Dove si decide, non dove si aspettano le decisioni. […] Mio padre a Berlino non c’era rimasto mai a dormire perché gli alberghi costavano troppo. […] Decisi che io a Berlino ci sarei andato a vivere, con uno stipendio che lui nemmeno si sognava.”
E lui ce la fece davvero. Eichmann sottrasse a Müller l’Ufficio Centrale per l’evacuazione ebraica di Berlino in cambio di 150.000 nomi. L’intera comunità ebraica di Praga pagò con la vita il prezzo della fame dell’arrivismo sociale di un nazista.
“Potere è questo: disporre di una vita non tua”.
E allora, chi era veramente Eichmann? Per noi, come per Hanna Arendt, fu la mano che firmò la condanna a morte di milioni di vite in cambio di una promozione.
Di tutt’altro parere fu Eichmann, che si identificò sempre come una vittima della Natura Matrigna che all’improvviso lo aveva buttato nella schiera dei vinti, tra le mani dei Vincitori che hanno il compito di scrivere la Storia; dunque, egli fino alla fine affermò di essere solo un uomo che per una serie di sfortunate coincidenze a suo danno si era ritrovato nel 1961 nel posto sbagliato (il processo in Israele) nel momento sbagliato (il verdetto della sua condanna a morte).
“Mi chiamo di nome Adolf, come Hitler. Ma non era Eichmann il Führer”.
Curiosità
Il processo del 1961 a Eichmann fu il primo contro un criminale nazista svoltosi in Israele; ricordo che il Processo di Norimberga (1945-1946) si svolse in territorio tedesco. Inoltre, quello di Eichmann fu il primo processo mass mediatico della Storia.
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