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Recensioni di libri

Di luce propria di Raffaella Romagnolo

Mondadori, 2021 - Antonio Casagrande è nato orfano, scartato, menomato. Eppure viene scelto da Alessandro Pavia per essere testimone di una tanto folle quanto visionaria missione: ritrarre tutti i partecipanti alla spedizione dei Mille di Garibaldi.

Alessandra Stoppini
Alessandra Stoppini Pubblicato il 30-03-2021
Di luce propria

Di luce propria

  • Autore: Raffaella Romagnolo
  • Genere: Romanzi e saggi storici
  • Categoria: Narrativa Italiana
  • Casa editrice: Mondadori
  • Anno di pubblicazione: 2021

Di luce propria (Mondadori 2021) è il nuovo romanzo di Raffaella Romagnolo. Nata a Casale Monferrato nel 1971, l’autrice vive sulle colline tra Piemonte e Liguria; i suoi libri La masnà (Piemme), Tutta questa vita (Piemme), Destino (Rizzoli), La figlia sbagliata (Frassinelli, candidato al Premio Strega nel 2016) e Respira con me (Pelledoca. finalista al Premio Strega Ragazze e Ragazzi 2020) sono tradotti in tedesco, francese, olandese, greco, ebraico, arabo e portoghese.

“Molti anni dopo la mattina di aprile in cui tutto ebbe inizio, trovandosi inaspettatamente, ma per l’ennesima volta, al cospetto della morte, il fotografo Antonio Casagrande pensò che la vita è sempre fuori fuoco”.

Nello schedario dell’Ospedale Maggiore detto di Pammatone, sezione Esposti di Genova, c’era scritto che Antonio Casagrande era nato nei pressi del porto di Genova, forse tra Sottoripa e porta Soprana. Non era noto il luogo esatto, la strada, il palazzo, il cortile o la cantonata, solo giorno, mese e anno: 13 giugno 1855. Ignoti i lombi che l’avevano generato e il grembo che l’aveva accolto. Il neonato Antonio era stato deposto sulla ruota dell’orfanotrofio, nessuna riga di accompagnamento, nessuna cesta o medaglione, niente di niente. Solo la pezza ruvida, sporca di sangue e liquido amniotico, che proteggeva il corpicino dal nudo legno. “Tela di Genova” veniva chiamata comunemente. “Jeans”, nelle Americhe. Roba da mozzi, garzoni di macchina o scaricatori.

“Ma io chi sono?”sSi chiedeva il bambino Antonio, uno dei tanti bastardi del Pammatone. Ma una mattina di fine aprile del 1867, il ragazzino, nella sala dell’orfanotrofio dove gli orfanelli schierati spalla a spalla attendevano di essere scelti, soprattutto dai contadini che scendevano in città tutte le settimane per prendere i migliori e contrattare il sussidio, il miracolo era avvenuto.
Antonio, ragazzino con un occhio color perla perché cieco, che finora nessuno aveva voluto adottare, era stato scelto dal fotografo Alessandro Pavia. Un omone grande e grosso che assomigliava a un orco o a Barbablù.
Nella bottega di Alessandro, Antonio avrebbe imparato l’arte di stare al mondo, avrebbe scoperto la passione per la politica, ma soprattutto il ragazzino si sarebbe appassionato alla nuova arte della fotografia. Aprire la mente alle novità e al progresso proprio mentre l’Italia stava diventando una nazione, era questa la meravigliosa opportunità che attendeva l’orfano Antonio Casagrande.

“Desidera solo continuare a studiare l’omone che il destino ha tenuto in serbo per lui”.

Raffaella Romagnolo scrive un grande romanzo storico, che racchiude in sé un tocco magico. Antonio Casagrande è nato orfano, scartato, menomato. Eppure viene scelto da Alessandro Pavia per essere testimone di una tanto folle quanto visionaria missione: ritrarre tutti i partecipanti alla spedizione dei Mille di Garibaldi. Durante quel viaggio magnifico alla scoperta di un’Italia appena fatta, ora “bisogna fare gli italiani” (Massimo D’Azeglio), Antonio scopre una dote meravigliosa e terribile: guardando attraverso l’obiettivo, riesce a vedere quello che gli altri non vedono, la sofferenza, i dolori, gli incubi e il destino di ciascuno dei fotografati.

Una storia ricca e travolgente, che riporta il lettore nel passato, ai funerali di Giuseppe Mazzini, celebrati a Genova nel 1872 o nella Milano del maggio del 1898, durante i moti popolari causati dall’aumento del prezzo del pane; moti e scioperi crudelmente repressi dal generale Fiorenzo Bava Beccaris. Quei “cannoni di Bava Beccaris”, che passarono alla storia come simbolo di un’insensata e sanguinosa repressione, vennero premiati da Umberto I di Savoia, il quale, in segno di riconoscimento, nominò senatore del Regno il generale. Due anni dopo, nel luglio del 1900 Umberto I venne assassinato a Monza dall’anarchico Gaetano Bresci, che dichiarò esplicitamente di aver voluto vendicare i morti del maggio di due anni prima e l’offesa della decorazione al criminale Bava Beccaris.

“I rivoltosi tirano sassi alle finestre. I questurini escono con le armi in pugno e sparano a bruciapelo. Il secondo battaglione del 57° Fanteria abbandona la postazione davanti alla Pirelli, raggiunge i manifestanti e fa fuoco. Muoiono due operai e una guardia, uccisa dalla pallottola di un commilitone. I feriti gravi sono quattordici. È solo l’inizio”.

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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Di luce propria

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