“Chi è questa che vèn, ch’ogn’om la mira” è l’incipit di uno dei sonetti più noti di Guido Cavalcanti, poeta fiorentino vissuto nella seconda metà del ’200.
Tra i massimi rappresentanti del Dolce Stil Novo, amico di Dante, ci ha lasciato un Canzoniere con ben 52 componimenti.
Le tematiche trattate sono sostanzialmente due, ovvero la lode della donna amata e lo sconvolgimento che l’amore provoca nell’animo umano, tipici della poetica del tempo e della corrente alla quale appartenne.
Chi è questa che vèn, ch’ogn’om la mira rappresenta una delle massime espressioni dell’arte di Cavalcanti e della sua epoca: analizziamone testo, parafrasi, analisi e figure retoriche.
“Chi è questa che vèn, ch’ogn’om la mira”: testo
Chi è questa che ven, ch’ogn’om la mira,
E fa tremar di claritate l’a’ re,
E mena seco Amor, sì che parlare
Omo non pùo, ma ciascun ne sospira?
Deh! che rassembla quando li occhi gira,
Dical Amor, ch’i’ nol porria contare:
Cotanto d’umiltà donna mi pare,
Ch’ogn’altra veramente la chiam’ ira.
Non si porria contar la sua piagenza,
Ch’a lei s’inchina ogni gentil vertute,
E la beltate per suo Dio la mostra.
Non fu sì alta già la mente nostra,
E non si posa in noi tanta vertute
Che propriamente n’abbiam conoscenza.
Chi è questa che vèn, ch’ogn’om la mira: parafrasi
Chi è questa che viene, questa che ogni uomo ammira,
che fa tremare di luminosità l’aria
e porta con sé Amore, così che
nessun uomo può parlare, ma ciascuno solo sospirare?
O Dio, che cosa sembra quando gira intorno lo sguardo!
Lo dica Amore, perché io non riuscirei a dirlo:
mi appare a tal punto una donna così piena di umiltà
che tutte le altre, rispetto a lei, io le definisco malvagie.
Non si riuscirebbe a definire la sua bellezza,
dato che a lei si inchina ogni nobile virtù,
e la bellezza la indica come sua dea.
La nostra mente non fu mai così alta
e non fu posta in noi (da Dio) tanta perfezione,
da poterne avere conoscenza in maniera adeguata.
“Chi è questa che vèn, ch’ogn’om la mira”: metrica e figure retoriche
Chi è questa che vèn, ch’ogn’om la mira è un sonetto composto da due quartine e due terzine di 14 endecasillabi.
Le quartine sono a rima incrociata ABBA ABBA, le terzine a rima invertita CDE EDC.
Lo schema metrico differenzia questo celebre sonetto di Cavalcanti dal sonetto classico inventato da Jacopo da Lentini, nel quale le quartine sono di solito a rima alternata ABAB ABAB e le terzine a schema vario.
Ad ogni verso corrisponde una frase di senso compiuto.
Per quanto concerne il lessico, alcune parole sono di chiara derivazione latina, altre sono tratte dalla lingua provenzale.
Numerose le figure retoriche presenti, ovvero:
- molte anastrofi (ad esempio che fa tremar di chiaritate l’âre, v.2 e Non fu sì alta già la mente nostra, v.12)
- metonimia (ira, che sta per l’ira di una donna superba)
- ossimoro (umiltà donna, in quanto la parola "donna" in latino è "domina", padrona)
- climax (è l’andamento dell’intero sonetto, con graduale progressione verso il concetto di negazione della conoscenza)
- domanda retorica (ovvero l’incipit stesso della poesia, Chi è questa che vèn, ch’ogn’om la mira)
- enjambement (vv. 3-4, parlare / null’omo pote)
- iperbato (ad esempio sì che parlare / null’omo pote)
- personificazione: dical’ Amor.
“Chi è questa che vèn, ch’ogn’om la mira”: analisi e commento
Nel sonetto Chi è questa che vèn, ch’ogn’om la mira, si intrecciano due tematiche: la lode della donna amata e l’ineffabilità della superiore essenza della donna, da cui deriva l’impossibilità di trovare le parole adatte a descriverla.
Più o meno dall’inizio alla fine del componimento, l’autore ribadisce la propria inadeguatezza di fronte a colei che gli appare come una creatura soprannaturale (angelicata), incapacità non esclusivamente soggettiva, personale, bensì oggettiva, della mente umana in generale.
Nei versi è evidente l’esperienza di Cavalcanti nel Dolce Stil Novo, ravvisabile principalmente nello schema di negazione attraverso il quale arriva all’evidenza che la conoscenza della natura della donna è impossibile per chiunque.
La lode, la sublimazione e l’ineffabilità della bellezza femminile sono tematiche tipiche dello stilnovismo che saranno riprese anche da Dante.
In Chi è questa che vèn, ch’ogn’om la mira, confluiscono elementi classici ed influssi eterogenei (latini, provenzali, biblici ecc.) che rispecchiano la cultura poliedrica e la perfetta conoscenza delle regole poetiche del tempo da parte dell’autore.
L’incipit, ovvero il primo verso del sonetto, Chi è questa che vèn, ch’ogn’om la mira, è un chiaro riferimento alla Bibbia e, nello specifico, al Cantico dei Cantici ("Chi è questa che avanza, VI, 9) e Isaia «Chi è questa che viene…», LXIII, 1.
Tutta la poesia è imperniata su un crescendo di sensazioni ed emozioni che si palesano di fronte all’apparizione della donna.
La parola è insufficiente e si può soltanto sospirare dinanzi a colei che è portatrice di una tale luce da illuminare tutto quanto le sta intorno; l’artista fiorentino non può avvalersi delle proprie capacità verbali pe spiegare la donna, in quanto essa è superiore a qualunque altra forma si bellezza o valore positivo.
Conoscenza ed espressione sono a lei inferiori.
Nessun uomo potrà mai pienamente conoscere dal punto di vista razionale la donna che ama, poiché la Grazia non gli ha concesso tale facoltà.
Temi e concetti questi, largamente presenti non solo nella poesia ma in gran parte dell’arte coeva a Guido Cavalcanti e che raggiunge la perfezione nel Paradiso dantesco.
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